Dal governo

Attivazione dei nuovi servizi territoriali e razionalizzazione della spesa

di Alberto De Negri*

S
24 Esclusivo per Sanità24

Il programma di evoluzione del SSN abilitato dal PNRR e dal DM 77 affronta, per la prima volta in modo congiunto, i tre assi su cui la trasformazione di un sistema sanitario dovrebbe svilupparsi: i servizi al cittadino (ad esempio la presa in carico della cronicità), le strutture fisiche che li ospitano (ad esempio le case di comunità), i sistemi digitali abilitanti. Il tutto accompagnato da cospicui finanziamenti per gli investimenti e da strumenti di procurement flessibili e rapidi da attivare, ad esempio per le soluzioni informatiche e per i servizi professionali a supporto. In linea di principio, dunque, un quadro favorevole per “dare gambe” alle trasformazioni necessarie ad affrontare le sfide e le criticità del SSN.
In questo contesto generale, le numerose progettualità avviate in tutte le regioni paiono affrontare con decisione priorità strategiche. Tra le tante iniziative a livello regionale, ne citiamo, a titolo di esempio, due significative. La Regione Lombardia, con lo sviluppo del Sistema di Gestione Digitale del Territorio, affronta la sfida della “transitional care”, della presa in carico territoriale della cronicità, della creazione e gestione dei Piani Assistenziali Individuali. La Regione Campania, con lo sviluppo del sistema unico regionale per la prenotazione ambulatoriale, fornisce a tutti i propri assistiti un punto unico di accesso dal quale poter prenotare prestazioni presso qualunque erogatore pubblico o privato accreditato.
Il complesso delle iniziative attivate sul territorio nazionale ha molte analogie con il quadro che emerge da un report internazionale appena prodotto da KPMG, “Healthcare Horizons Revisited”, che presenta una raccolta da tutto il mondo di case studies di trasformazione della sanità. Il report evidenzia, tra le “lessons learned”, cinque principi guida per lo sviluppo di sistemi sanitari inclusivi. Su tre di questi principi anche l’Italia pare essere in deciso movimento (lo sviluppo dei servizi di comunità, l’integrazione delle cure, la focalizzazione della mission degli ospedali). Più incerto sembra invece il cammino sulle altre due direttrici chiave: la riforma delle cure primarie e della medicina di famiglia, il ripensamento dei modelli di gestione delle risorse umane.
In ogni caso, affinché nel nostro paese il percorso di progettazione e di implementazione dei nuovi servizi possa condurre all’erogazione effettiva e sistematica dei servizi stessi, è necessario che agli investimenti “a monte” (coperti dal PNRR) vengano progressivamente affiancate le risorse necessarie alla gestione a regime. È infatti fuori di dubbio, ad esempio, che lo sviluppo del territorio comporti non solo la riorganizzazione di servizi già esistenti ma anche, e forse soprattutto, l’aumento di prestazioni oggi erogate solo limitatamente (si pensi alle cure domiciliari) ed anche delle attivazioni ex novo.
Come reperire le risorse necessarie?
La parte più ovvia della risposta riguarda l’incremento del finanziamento alla sanità. Questa parte del ragionamento, per quanto importante e correlata all’attuale posizionamento italiano nell’indicatore “spesa sanitaria su PIL” rispetto agli altri paesi sviluppati, è ampiamente coperta dal dibattito pubblico corrente ed eviteremo quindi di riaffrontarlo in questa sede. Resta il fatto che il “combinato disposto” della moltitudine di temi politicamente prioritari, da una parte, e dei vincoli esistenti per la finanza pubblica, dall’altra, assai difficilmente può generare per la sanità uno spazio aggiuntivo commisurato al gap da colmare.
L’unica altra possibilità, a complemento di quanto deciso sul fronte del finanziamento, è legata al recupero di risorse derivante dalla razionalizzazione dei servizi esistenti.
Ma si tratta di uno spazio di manovra effettivo, per quanto complesso, o i servizi sono già erogati in modo efficiente ed i recuperi possibili sono dunque marginali? Qualche indizio ci porta a ritenere che gli spazi possano essere interessanti.
Se guardiamo ad esempio all’efficienza cosiddetta “allocativa” (dove e come vengono collocati ed aggregati i servizi), l’ultimo rapporto AGENAS sul Piano Nazionale Esiti ci testimonia di una realtà ospedaliera ancora molto frammentata in cui svariate tipologie di interventi specialistici sono distribuiti su troppe strutture con bassi volumi. Con conseguenze negative sugli esiti clinici generabili da unità operative che non trattano la casistica necessaria per avere tutta l’esperienza richiesta, ma anche sull’efficienza per il mancato raggiungimento delle economie di scala. Un caso, tra l’altro, significativo di qualità ed efficienza che richiedono azioni nella stessa direzione, come sotteso al DM 70 sugli standard ospedalieri che pare essere ancora largamente inapplicato.
Se consideriamo poi l’efficienza “produttiva”, ovvero il rapporto tra risorse assorbite e produzione generata, una decina di anni fa nell’ambito del programma di “spending review” si era calcolato che (senza tornare ora sui tecnicismi della metodologia), solo per le Aziende Ospedaliere, i costi potevano essere in eccesso rispetto al valore massimo di finanziamento compatibile con la normativa per un ammontare di un paio di miliardi di euro. L’eventuale riapplicazione di quel medesimo conteggio agli ultimi bilanci pubblicati porterebbe a riconfermare quegli ordini di grandezza, forse rivisti al rialzo. Tutto questo senza contare, per indisponibilità di dati attendibili, l’equivalente fenomeno relativo ai presidi ospedalieri delle ASL.
Ora, pur con tutti gli ampi limiti delle letture “top down”, è evidente che la significatività di questi ordini di grandezza meriterebbe un interesse di approfondimento e di azione che invece ci paiono piuttosto tenui, anche nel dibattito pubblico.
In conclusione, l’attivazione dei nuovi modelli di servizio territoriali trascina inevitabilmente con sé nuovi costi. Le risorse per coprire questi costi, nella componente non garantita dai maggiori finanziamenti concessi alla sanità, non possono che venire dalla razionalizzazione dei servizi preesistenti. L’efficienza dovrebbe dunque assumere un ruolo prioritario nell’agenda politico-tecnica, al pari dell’incremento del Fondo Sanitario Nazionale.
A ben vedere esiste anche una terza opzione, quella più temuta da alcuni, ovvero che l’attivazione di una parte dei nuovi servizi possa avvenire solo sulla carta.

*Partner KPMG, Head of Healthcare


© RIPRODUZIONE RISERVATA