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G7 Salute/ Alzheimer, una sfida globale e un’emergenza che grava per l’80% sulle famiglie

di Patrizia Spadin *

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24 Esclusivo per Sanità24

La malattia di Alzheimer rappresenta una grande sfida globale. Il suo impatto sulle persone, sui familiari e sui sistemi sanitari è enorme e il futuro, se non si interviene, rischia di essere ancora più drammatico. Il tema è stato al centro dell’evento dello scorso 8 ottobre, collaterale al G7 Salute di Ancona, “Promuovere la collaborazione globale per la demenza, la salute del cervello e l’invecchiamento sano: Continuare l’impegno del G7”, promosso da Davos Alzheimer’s Collaborative (DAC), insieme all’European Brain Council, alla Global CEO Initiative on Alzheimer’s Disease, all’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer e a Fondazione Prada.
Dal confronto degli esperti provenienti da tanti Paesi (all’evento sono intervenuti rappresentanti di UK, Canada, Giappone, Germania, Irlanda e USA) emerge un quadro davvero tragico con numeri spaventosi: 55 milioni di persone colpite dalla malattia di Alzheimer nel mondo per una spesa globale di 15.000 miliardi di dollari nell’ultimo decennio, e un trend di crescita di tutti i numeri, a causa dell’invecchiamento della popolazione, che fa “tremare le vene dei polsi”: ci si aspetta che entro il 2050, mezzo miliardo di persone siano colpite dalla demenza.
All’evento di Ancona è stato ricordato che a Londra nel 2013, al G8 Dementia Summit, i leader, tra i vari impegni, hanno annunciato l’obiettivo di trovare una terapia che – entro il 2025 – potesse rallentare il declino cognitivo o, nella più rosea delle ipotesi, una cura definitiva per le demenze. Ebbene, negli ultimi anni la ricerca ha dato i suoi frutti, portando allo sviluppo di terapie che possono contrastare il declino cognitivo legato alla malattia di Alzheimer, e che sono disponibili e approvati negli Stati Uniti, in Giappone, in Corea del Sud, nel Regno Unito, in Israele, in Cina, a Hong Kong, negli Emirati; non in Europa, dove Ema (l’agenzia regolatoria europea) non li ha approvati. Questa iniqua disparità di accesso alle terapie è la prima grande sfida messa in luce da tutte le voci che si sono alzate all’evento organizzato da DAC. Ma non l’unica.
Investire nella preparazione dei sistemi sanitari, creare le condizioni per una diagnosi precoce e accurata, espandere la collaborazione globale per promuovere la ricerca, l’accesso e soprattutto l’equità in tutto il mondo: queste sono le sfide che le organizzazioni leader nel campo dell’Alzheimer hanno posto ai Paesi del G7, perché si trasformino in azioni di alto livello, in grado di modificare la risposta alla malattia e permettere un intervento efficace ed equo su scala mondiale.
E in Italia? L’equità di accesso è una vecchia battaglia rilanciata da almeno vent’anni da pazienti e familiari. Le differenze regionali in sanità colpiscono profondamente le famiglie vittime della malattia, che con uno sforzo immane sostengono più di un milione di persone con demenza (700.000 malati di Alzheimer), caricandosi dell’80% del costo della malattia e di più dell’80% dell’assistenza al loro caro malato. Senza l’aiuto e il drammatico lavoro svolto dai caregiver familiari (per lo più donne tra i 50 e i 60 anni, che perdono lavoro e salute nell’assistenza al paziente), il sistema di welfare italiano non potrebbe reggere.
Le sfide per le azioni globali proposte ad Ancona sono sfide attualmente in campo anche in Italia: preparare il Ssn all’arrivo delle nuove terapie (le cure devono essere accessibili a tutti, non solo riservate ai ricchi), ma anche renderlo capace di diagnosi precoce e tempestiva, diffusa equamente sul territorio, investendo risorse sulla rete dei Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (i Cdcd) per colmarne le lacune organizzative, infrastrutturali e di personale. Ma anche sostegno ai caregiver e formazione degli operatori, campagne di sensibilizzazione della popolazione nei confronti dei primi segnali di deterioramento cognitivo e complessivamente sulla “salute del cervello” che si persegue anche con corretti stili di vita.
Possiamo dire che la ricerca con i risultati raggiunti e con quelli che ci fa intravvedere, ha acceso una luce in fondo al tunnel. Dobbiamo essere capaci di raggiungerla, per i malati di oggi e per quelli di domani. Il futuro è qui: noi l’abbiamo capito.

* Presidente Aima - Associazione italiana malattia di Alzheimer


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