Dal governo

Autonomia differenziata: Regioni chiamate alla sostenibilità del Paese nel rispetto del Patto di stabilità

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Due gli interventi nella giornata del 10 luglio. Il botta e risposta, materializzotisi nel question time alla Camera, sul tema in generale del regionalismo differenziato che ha visto protagonisti i deputati interroganti e il ministro Calderoli. L’audizione del ministro Giorgetti alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff).

Due eventi di rilievo all’indomani dell’approvazione definitiva della legge “Calderoli” (la nr. 86/2024), in vigore da appena qualche giorno.

Vediamoli nel dettaglio. Nel confronto diretto alla Camera, il ministro Calderoli ha concluso scandendo il timing degli adempimenti sull’applicazione, soprattutto del federalismo fiscale. Nel particolare, si è impegnato a perfezionare la “trasposizione normativa” dei Lep, formalmente individuati, entro il 2024, promettendo il loro finanziamento da garantire a cura della legge di bilancio del 2026 (si veda NT+ Enti Locali & Edilizia dell’11 luglio scorso). Nel dibattito, è tuttavia mancata l’afferenza all’impegno temporale di definizione degli strumenti garanti della sostenibilità dei Lep (costi e fabbisogni standard), prefigurando al riguardo il solo impegno di trasferirli alla Commissione tecnica dei fabbisogni standard (comma 793 dell’art. 1 della legge di bilancio per il 2023). Con questo è stato poco toccato, sino ad essere eluso nelle conclusioni, il tema della sanità, sia da parte delle opposizioni che della maggioranza. Infatti sia le istanze che i riscontri si sono limitati al regionalismo asimmetrico, più esattamente alla parte che riguarda la individuazione e finanziamento dei Lep, senza toccare affatto il vero problema che affligge la tutela della salute. Ovverosia la metodologia e i tempi necessari a estimare i costi standard per singolo Lep e i fabbisogni standard relativi per ogni regione.

Un tema questo direttamente incidente sulla assistenza sociosanitaria che, proprio perché sventolato da chiunque come vessillo da piantare a terra, sarebbe dovuto essere trattato diversamente. I Lea ci sono dal 2001 (implementati nel 2017). Li ha riconosciti adeguati il Clep nella sua relazione finale della fine di ottobre del 2023. C’è il finanziamento del Fondo sanitario nazionale, reiterato da anni senza che passasse alle logiche del fabbisogno standard nazionale, generato dal più ineludibile fabbisogno epidemiologico. Di conseguenza, per passare dalla attuale erogazione della tutela della salute “federalista (fiscale“), le sarebbe sufficiente l’abbandono della compromettente spesa storica - ove hanno tra l’altro avuto modo di “nuotare” le peggiori cessioni di credito finanche dell’inesistente - e mettere in piedi i pezzi mancanti per l’applicazione dei costi/fabbisogni standard. Il tutto a partire con la prossima legge di bilancio per il 2025. Anticipare la sanità, rispetto alle previsioni, sarebbe un grande risultato politico e di ricaduta sulla popolazione, specie quella diseredata.

Ciò che manca, ma facilmente colmabile, è per l’appunto l’immediato passaggio dei Lea, già trasposti in normativa, alla Commissione tecnica dei fabbisogni standard perché li monetizzi in costi standard, con un lavoro serio del Governo nella determinazione dei fabbisogni regionali sulla base dei quali ripartire il fabbisogno standard nazionale in favore delle Regioni. Ciò sulla base delle loro esigenze epidemiologiche con l’applicazione della perequazione necessaria per colmare le insufficienze di gettito.

Un lavoro difficile? Difficilissimo, attesa l’inerzia di 23 anni. Ma che occorre fare se si ha davvero a cuore la salute della Nazione.

Sul punto, è stato davvero interessante l’intervento sviluppato dal ministro Giorgetti nel corso della coeva audizione alla Copaff, nel quale ha evidenziato che il regionalismo differenziato è un importante strumento normativo per pervenire ad «un bilanciamento tra garanzia dei diritti e costi». Ciò perché le Regioni saranno chiamate a contribuire (artt. 97.1 e 119.1 della Costituzione) alla sostenibilità del Paese nell’assoluto rispetto del Patto di stabilità.

E già perché il trasferimento delle funzioni amministrative delle Regioni, conseguenti alla materie differenziabili, determinerà - da una parte - il «ridimensionamento della spesa pubblica sotto il Governo centrale», ma – dall’altra - rimarrà comunque appartenente alla Repubblica, in quanto tale da portare, nel suo inseparabile insieme organico, al giudizio dell’UE, in perfetto ossequio dell’art. 81, c. 1 della Costituzione. Un intervento, quello del titolare del MEF, nel quale si è sottolineata una interessante verità, riguardante gli irrinunciabili adempimenti - tutti percorribili con il federalismo fiscale a regime ma anche con il regionalismo differenziato - da mettere in relazione alle pretese dell’UE in tema di riforma inscindibile dal godimento delle risorse del Pnrr, ai doveri sul Patto di stabilità, alla certezza dei conti di bilancio in rapporto al debito pubblico e all’obbligo del suo rientro.

In buona sostanza, un siffatto intervento ha fatto emergere una particolarità di non poco conto. Ha messo in costruttiva contrapposizione il regionalismo asimmetrico con un federalismo fiscale che, date le sue metodologie applicative e di godimento, può ben essere definito simmetrico, nel senso di rendersi garante, ai diversi livelli di governo territoriale, della uguaglianza sostanziale nell’esigibilità dei Lep, purché assistito da una efficace copertura perequativa nelle Regioni con minore gettito fiscale. Con l’aggettivo minore da leggersi come valore insufficiente per assicurarli alla collettività.


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