Dal governo

Previdenza: investimenti e tasse per le casse dei professionisti

di Claudio Testuzza

S
24 Esclusivo per Sanità24

In Italia vi sono circa 1,6 milioni di liberi professionisti ( medici, architetti, ingegneri, geometri, avvocati, notai, biologi, geologi etc. ) iscritti agli Ordini, di cui metà donne. Professionisti che producono circa 10 punti di Pil dell’intero Paese ed hanno notevoli obblighi ( scadenze, adempimenti, pagamenti ), responsabilità e nessuna sicurezza in caso di perdite economiche. Tre decenni fa si decise infatti di affidare ai professionisti intellettuali regolamentati da Ordini, il compito di gestirsi la previdenza obbligatoria in un quadro di riforma previdenziale generale. I Professionisti hanno un sistema previdenziale autonomo rispetto all’Inps/Inpdap, gestito e organizzato dalle così dette Casse privatizzate, nate con il d.lgs. n. 509/94 , nel cui primo articolo, comma 1 , è scritto che “ Gli enti … sono trasformati … in associazioni o in fondazioni … a condizione che non usufruiscano di finanziamenti pubblici o altri ausili pubblici di carattere finanziario”.

Le Casse di previdenza sono dunque autonome finanziariamente. Svolgono funzioni pubbliche ma sono organizzate privatamente. Inoltre sono vigilate da 2 Ministeri ed hanno altri vari livelli di effettivo controllo (collegio sindacale, Covip etc.). Hanno, inoltre, tanti obblighi come quello di garantire la sostenibilità finanziaria nel lungo periodo, 50 anni, e pochi o nulla “ diritti ”. A 30 anni di distanza le Casse del lavoro autonomo professionale hanno tutte rispettato gli impegni presi con i propri iscritti, pagando tutte le prestazioni pensionistiche e, in seguito, le prestazioni di welfare aggiuntivo che hanno promesso. In questo considerevole lasso di tempo nessuna cassa di lavoro autonomo è mai fallita. L’unica andata in crisi – è bene sottolinearlo – è stata la parte dell’Inpgi riferita al lavoro dipendente, gravata degli oneri sociali riferiti al lavoro subordinato. E’ stato, poi, costruito un patrimonio notevole, che prima non c’era, e che ha funzionato da sostituto della fiscalità generale nel garantire le prestazioni. Patrimonio, costruito per sorreggere le prestazioni, e proficuamente investito, con rendimenti che ogni anno hanno contribuito alla fiscalità generale. Inoltre gli enti giocano un ruolo di pilastro dell’economia nazionale. Nel suo ultimo rapporto, infatti, la Covip ha certificato che il patrimonio degli enti dei professionisti ha superato i 114 miliardi di euro, il 38,5 per cento dei quali (pari a 44 miliardi) è investito in Italia, con un aumento di quasi tre punti percentuali in un anno. Contando anche le risorse, oltre agli investimenti in senso stretto, in totale oltre la metà del patrimonio delle Casse è in Italia, e il 75 per cento è nello Spazio economico europeo, cioè nel mercato al quale l’Italia si rivolge. Un settore particolarmente interessato è rappresentato dalle piccole e medie imprese ( Pmi) che rappresentano l’ossatura del sistema produttivo italiano ma che pur se quotate, vengono trascurate dai capitali. Assicurazioni, fondazioni e fondi pensione investono poco su di loro. Un elemento che viene spesso sostenuto è che in Italia i suoi investitori istituzionali non fanno sistema e che fanno affluire troppo pochi investimenti alle imprese quotate e in particolare alle Pmi.

Ma qualcosa sta cambiando. Intanto c’è l’impegno preso dal Governo, tramite il sottosegretario all’Economia Federico Freni, di far decollare a breve un Fondo dei fondi promosso dalla Cassa depositi e prestiti, che metterà circa il 49% del capitale, mentre il resto sarà riservato agli investitori istituzionali. Il fondo investirà in Fondi dedicati prevalentemente alle Pmi. Il governo è già a lavoro per mettere a terra un sistema di finanziamento strutturale indiretto a favore delle piccole e medie imprese italiane, Anzi viene annunciato che si sia ad un passo da realizzare un adeguato contenitore che possa investire in comparti differenziati a seconda di quelle che sono le necessità delle piccole e medie imprese italiane, e che possa investire, con un partner di scopo, capitale pubblico e capitale privato insieme, in contenitori che investono in modo indiretto e non in modo diretto con apporto di equity. In pratica un “ fondo dei fondi “ pubblico che investa in fondi di private capital che a loro volta raccolgano altri capitali e li facciano confluire in aziende. Le aziende possono avere un soggetto che stia per un periodo piuttosto lungo, e poi, raggiunto l’obiettivo, ne esca. Nella sostanza andrebbe proprio cambiato il meccanismo di apporto di fondi in particolare alle Pmi in Italia. Il nostro paese è terribilmente bancocentrico, che in un’altra epoca era un vanto, ma in questa, sembra essere diventato un cruccio.

I fondi del patrimonio delle Casse sono, oggi, investiti in azioni, fondi di investimento mobiliare, ed altri fondi di investimento. In particolare, undici Casse hanno il 25 per cento del capitale della Banca d’Italia. Gli investimenti riguardano, poi, reti strategiche nazionali, come Snam, Italgas e Terna, settore bancario come Intesa , Bpm, Montepaschi. Anche altri settori sono sottoposti al loro interesse. E non è il caso se la legge 21 ( il Ddl Capitali ) abbia fatto delle Casse “ controparti qualificate ”.

Le Casse, infine, non solo non pesano sullo Stato ma sono usate dallo Stato indebitamente per fare cassa. Oltre 2.650.000.000 di euro nelle casse dell’erario: 1.853.467.570 Euro sono versati a titolo di IRPEF, 44.558.662 di Euro per le addizionali comunali e 115.766.030 per le addizionali regionali. Tutti importi che gravano su pensionati e beneficiari delle azioni di Welfare. A ciò, poi, si aggiungono, cosa davvero strana per degli enti preposti al pagamento di pensioni, 640.569.517 di euro di tassazione sui rendimenti. Questi oltre 600 milioni all’anno rappresentano un di più rispetto agli standard degli altri Paesi europei, dove è, invece, chiaro che se investi il patrimonio per pagare delle pensioni che saranno tassate, quel patrimonio non deve essere a sua volta decurtato. Le Casse di previdenza privata svolgono la loro attività con investimenti responsabili perché devono, sempre, pensare ai propri iscritti e alle prestazioni di cui sono artefici. Ultimamente è stato affermato il concetto che non ci può essere una buona previdenza se non c’è un buon lavoro sottostante.

Dunque, oltre a tutelare il bisogno attraverso l’assistenza tradizionale, le Casse hanno cominciato a curare l’opportunità professionale. Questo perché la qualità e quantità del lavoro intellettuale si riflette sul flusso dei contributi.

Appare, dunque, abnorme la discriminazione tra Casse privatizzate, Inps e i fondi pensione. Discrasia tra l’imposizione dell’obbligo di garantire la sostenibilità di lungo periodo ma addossandogli anche una insostenibilità fiscale ingiustificata. Tutto questo è attualmente motivo di approfondimento del Governo e ultimamente anche del Cnel che ha, a febbraio, iniziato a lavorare su una riforma e sulle prospettive del sistema previdenziale. Si vedrà nei prossimo mesi cosa nascerà dai diversi incontri proposti e sulle analisi relative.


© RIPRODUZIONE RISERVATA