Dal governo
La vergogna di un’Italia senza Piano sanitario dal 2008 e l’urgenza di un gioco di squadra. Orazio Schillaci? Si ispiri a Lionel Messi
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
È un Dpr del 7 aprile 2006 l’ultimo Piano sanitario nazionale . Insomma una vergogna in assoluto. Tutto da allora si fermò, a cominciare dall’oramai coevo noto piano pandemico nazionale mai aggiornato, in quanto tale non idoneo a evitare gli enormi danni causati dal Covid. I danni di questa inerzia sono evidenti a tutti.
La sanità è materia per professionisti e per politici sensibili, non per questo in una ipotetica graduatoria di tutti coloro che si sono succeduti a capo del dicastero sino ad oggi emergono tre grandi donne:
- Tina Anselmi (1978/1979) fautrice della Riforma nota in tutto il mondo: la legge 833/1978, istitutiva del Ssn, che mandò a casa le mutue (tanto utili ma “classiste”) e introdusse il finanziamento impositivo, garante dell’universalità, in sostituzione di quello contributivo assolutamente discriminante per chi non avesse un lavoro e fosse povero;
- Rosy Bindi (1998-2000) che con la sua riforma ter (dlgs 229/1999), stravolse la riforma bis (dlgs 502/1992) e aggiustò il tiro all’aziendalismo “incompleto e per molti versi esasperato” introdotto nel 1992 in una fase emergenziale dell’economia;
-Livia Turco (2006-2008) alla quale si deve (in ovvia collaborazione con il ministro che la precedeva, Francesco Storace) l’ultimo Piano sanitario nazionale 2006-2008. Con un forte impegno sul tema della integrazione sociosanitaria.
Ovviamente, ci sono altri da ricordare come attenti ministri della materia. Tra questi, mi piace tenere a mente Giacomo Mancini (1963-1964), per il suo radicale contributo attraverso la diffusione del vaccino Sabin per lottare e sconfiggere la poliomielite, e Renato Balduzzi (2011-2013) per la sua capacità tecnica che portò non pochi miglioramenti al sistema delle regole erogative e strutturali del Servizio sanitario nazionale.
Al di là di chi ha eccelso tanto e chi, invece, è arrivato a tal punto da generare danni, soprattutto causata da inerzia e inappropriatezza delle misure adottare, c’è da giudicare tutti dalla primavera del 2006 con il pollice verso. Nessuno di nessuno ha lottato, proposto e guadagnato la Programmazione sanitaria nazionale triennale (Psn) dalla quale poi fare derivare, a cura dei ventuno sistemi regionali e delle due province autonome, altrettanti Piani sanitari regionali/provinciali (Pnr), a fronte dei quali imporre alle aziende un puntuale Piano attuativo locale (Pal). Insomma, si è preferito per la bellezza di diciotto anni navigare a vista, tanto da finire spesso sugli scogli. Nove Governi (Prodi II, Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte II e Draghi) a non interessarsi della programmazione nazionale della salute, generando così l’organizzazione della salute che la Nazione ha, la peggiore di sempre.
La speranza è che quello attuale si dia da fare di più, evitando di fare come han fatto tutti: di lanciare quotidianamente la palla in avanti, prescindendo dal costruire gioco (rectius, sistema ottimizzato da contrapporre al disastro vissuto dalle Alpi allo Stretto di Sicilia).
Quanto a tecnica, agonismo e tattica le politiche sociosanitarie sono assimilabili a grandi giochi a squadra.
Prendendo il più noto, il calcio:
- necessitano i saperi e le conoscenze per deliberare (Einaudi, prima dispensa delle prediche inutili, docet) ma soprattutto contrapporsi agli interessi che rovinano la qualità dell’assistenza
- occorre lottare all’interno della coalizione per ottenere per chi ha più bisogno di eguaglianza assistenziale e impedire tagli assurdi (del tipo quelli fatti all’edilizia sanitaria);
-urge un progetto (meglio, una riforma quater), che ancora non si ha, e una squadra che sappia dare la palla a chi deve fare i goal e un portiere capace di parare i rigori.
Si spera che l’attuale ministro, da buon bravo accademico e da meridionale che conosce bene le pene che affliggono il Sud, somigli un po’ di più a Lionel Messi. Non solo. Che la Premier prenda esempio da chi dal quasi nulla ha costruito una squadra da Champions League.
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