Dal governo

Pnrr: l’occasione dei Lep per riorganizzare l’assistenza e chiudere l’epoca delle politiche non politiche

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Da una parte il PNRR, che con la sua elaborazione finanzia la rete assistenziale territoriale “nuda” però del personale occorrente, dall’altra una cultura sempre più ospedalocentrica, diffusa nella società e finanche nella mentalità degli operatori, che la privilegiano. In mezzo, tre grandi problemi: un sistema di ricovero e cura vintage, sia nella sua condizione strutturale che nella mentalità; il privato che attrae sempre di più la domanda, non solo di ricovero, perché più ricettivo e tecnologicamente più avanzato; un sistema decisorio regionale non propriamente all’altezza delle riforme riorganizzative, che occorrerebbero per rivitalizzare l’offerta dei relativi servizi sanitari, perché incapace a ridefinire, secondo ragione e conoscenze, le politiche sociosanitarie. Quest’ultimo brutto limite si registra per conseguire due “comodità” che sono nelle aspettative della politica: quella di (supporre di) togliersi il problema di essere responsabile delle ricorrenti défaillance, che registrano i loro Ssr, puntando su una offerta imprenditoriale privata che investe liberamente perché piena zeppa di utili di esercizio; quella, meno nobile, di essere compiacente con il conseguente business, del quale in tanti sono affascinati.
La tutela della salute, così come deve essere concepita nel senso di essere un tutt’uno con la assistenza sociale, costituisce una materia che - soprattutto alla luce dell’identificazione dei LEP rimessa al CLEP presieduto da Sabino Cassese - impone tanto lavoro. La sua circoscrizione, proprio perché investe vari campi della esistenza della persona, è così iper dimensionata da interessare molte materie, sia di competenza statale che concorrenti, e tantissime di quelle residuali nonché di quelle differenziabili.
Non si può infatti non tenere a mente che le politiche sociosanitarie debbano individuare, oltre che nella “tutela della salute” (materia concorrente), le loro fonti legislative in diverse regolazioni, riguardanti (nel rispetto della scansione delle competenze appena rappresentata:
-la tutela della concorrenza, la perequazione e la previdenza, quest’ultima soprattutto riferita a quella di carattere non contributivo, riferibili all’invalidità e agli assegni di accompagnamento per i non sufficienti (statale);
-la tutela e sicurezza del lavoro (quanto ai luoghi di esercizio), l’istruzione (quanto ad attribuirle un ruolo curricolare nella educazione sanitaria), la ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all’innovazione per i settori produttivi (quanto a renderla godibile dalle persone e dalle imprese), l’alimentazione (quanto alla tutela delle sue prerogative igienico-nutritive), l’ordinamento sportivo (quanto ad un suo esercizio salutare), il governo del territorio (quanto alla salvaguardia dalla insidie naturali), i porti (quanto alla igienicità delle acque), le reti di trasporto (quanto alla loro fruibilità sicura e di facilitazione al raggiungimento dei siti assistenziali), coordinamento della finanza pubblica (quanto alla previsione di risorse integrative), valorizzazione dei beni ambientali (concorrenti);
-l’agricoltura, l’assistenza sociale e scolastica, l’edilizia, l’industria, i lavori pubblici, i trasporti e viabilità, turismo e urbanistica (residuali regionali);
-le norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, tutela dell’ecosistema (differenziabili).
Immaginiamo di cosa la tutela della salute abbia bisogno per divenire tale, ponendo attenzione a quanto sia successo sino ad oggi ove il legislatore, soprattutto regionale, ha lavorato con una mano destinata ad organizzare l’assistenza sanitaria alla persona salvo confliggere con l’altra, ricorrendo anche ai calci per distruggere il tutto. Una tale situazione ci ha portato all’attuale situazione ove è sufficiente pensare, solo per fare qualche esempio, all’inquinamento dell’Ilva, ai tumori polmonari di Monfalcone e dintorni, ad un mare avvelenato da rifiuti occultati e dal contenuto fognario, alla agricoltura piena di veleni, all’alimentazione adulterata, alla scuola a rischio e non già educativa sulle tutele della salute, alla viabilità pessima che rende inaccessibili ai bisognosi il ricorso alle strutture salutari, all’assoluta precarietà dei trasporti pubblici locali. E, chi più ne ha più ne metta!
Oggi è uno dei momenti favorevoli per cambiare. L’occasione è offerta dai LEP da individuare, dai costi standard da definire per LEP, dai fabbisogni standard da individuare per Regione, dalla perequazione che fa pareggiare le persone che risiedono nelle regioni povere con quelle che vivono in quelle ricche.
A fronte di questo, una esigenza inderogabile: quella di finire con le politiche non politiche. Di quelle che si suppongono di esercitare con gli spot, con il confondere l’assistenza territoriale con ciò che non lo è, con la medicina di famiglia allo sbando totale per cultura e tolleranza eccessiva, con l’errore di ipotesi di tenere a riferimento l’ospedale che invece occorre pensare a svuotare utilizzando la medicina di prima istanza, quella specialistica diffusamente impiegata e l’assistenza domiciliare.
Dimenticavo (non è vero) un gran peso, in temi di corsa all’intelligenza artificiale, alla telemedicina, con l’avvertenza però di non trattarla come un business, così come si arguisce da ciò che si legge e da ciò che non c’è.


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