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Previdenza: le Casse privatizzate un esempio virtuoso con la prospettiva di entrare nel capitale Cdp

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Il sistema delle Casse di previdenza privatizzate, fino ad ora, si è dimostrato d virtuoso, come riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale in diverse sue analisi. Soprattutto dovendosi reggersi solo sulle proprie gambe.
Tuttavia le cautele sono d’obbligo. Le Casse di Previdenza sono nate nella metà degli anni ‘90 staccandosi dalla fiscalità generale ( che invece continua a sostenere l’Inps ), e sono organizzate come Fondazioni senza scopo di lucro con finalità pubblica e sottoposte a Vigilanza pubblica. Raccolgono i contributi delle cosiddette professioni liberali, 18 per la precisione, di cui le più importanti sono quelle dei medici, avvocati, commercialisti, architetti, agenti di commercio, giornalisti. Cioè quelle la cui attività è regolamentata da un Albo e che svolgono un lavoro autonomo, indipendente e responsabile a cui è attribuita una valenza pubblica.
Per un totale di oltre un milione e settecentomila iscritti.
Il patrimonio delle Casse, ammonta, ormai a circa 104 miliardi : 103,7 miliardi di euro di totale attivo a fine 2022. Valore quasi raddoppiato in dieci anni. Erano 55,7 nel 2011. Nel 2022 le entrate contributive sono state di 12 miliardi a fronte di 7,7 miliardi di prestazioni erogate
Le Casse di previdenza sono pertanto considerate un esperimento di successo.
Di quei 104 miliardi di totale attivo il 75% è controllato dalle prime cinque Casse : Enpam ( la Cassa dei medici che è la più grande con 26,2 miliardi ), Cassa Forense (la cassa degli avvocati con 17,85 miliardi ), Inarcassa ( architetti e ingegneri, 13,43 miliardi ), Cnpadc ( la Cassa dei commercialisti con 11,89 miliardi ) ed Enasarco ( agenti di commercio, 8,71 miliardi ). Alla fine del 2022 il sistema Casse aveva 18,5 miliardi impiegati in immobili ( il 17,8% sul totale, in diminuzione dal 18,3% del 2021 ), 37,5 miliardi investiti in titoli di Stato e obbligazioni ( 36,1% dell’attivo in diminuzione dello 0,5% ), 18,1 miliardi in titoli di capitale, cioè azioni di società quotate, fondi azionari e azioni non quotate ( 17,5% dell’attivo, in diminuzione ). Gran parte è investito nei mercati finanziari italiani e stranieri sia direttamente sia attraverso mandati a società finanziarie specializzate.
Un esempio positivo è rappresentato da quanto stanno registrando le undici Casse che hanno investito 1,9 miliardi nel capitale della Banca d’Italia e che oggi rappresentano il secondo gruppo di investitori dopo le banche.
Il resto rimane liquidità o altre attività tra cui polizze assicurative e derivate.
Quando c’è da fare un grosso investimento che presenta anche finalità pubbliche, in settori dell’economia reale con ritorni nel medio lungo periodo, si pensa sempre alle Casse come un possibile contributore. Il segnale che arriva è che di soldi facili però non ce ne sono e che non è così semplice mobilitare queste risorse.
Le Casse hanno infatti come primario obiettivo quello di erogare le prestazioni previdenziali ai loro associati ed una serie di servizi per gli iscritti.
Se il saldo tra contributi incamerati e pensioni erogate è positivo, questo viene accantonato a riserva e tutela della sostenibilità del sistema. Le riserve in eccedenza vengono poi investite sui mercati finanziari alla ricerca di un rendimento positivo che possibilmente ecceda il tasso di inflazione e faccia aumentare il patrimonio.
È stato questo mix virtuoso, fatto di saldi e rendimenti positivi, che ha permesso di raddoppiare il patrimonio dal 2011.
Pertanto quando si propone che le Casse debbano investire nell’economia reale del Paese bisogna sempre tener conto che quel risparmio è vincolato, innanzitutto, al pagamento delle pensioni e all’assistenza dei propri iscritti e a formare un cuscinetto a garanzia della tenuta del sistema. Bisogna stare molto attenti a non fare investimenti prospettici ma illiquidi, non avendo la fiscalità generale a sostenerle, come succede per l’Inps. Un asso nella manica potrebbe essere una partecipazione delle Casse al capitale della stessa Cdp ( Cassa Depositi e Prestiti ) al fianco delle Fondazioni di origine bancaria, che attualmente detengono il 13 %, e del Mef ( Ministero Economia e Finanze) che ha in portafoglio l’87% e potrebbe venderne una parte. Un’operazione di questo tipo, al momento, non è stata formulata alle Casse, ma non è escluso possa arrivare in futuro.
C’è sempre però da considerare, nel contesto dei bilanci anche positivi, quanto ogni anno viene versato al fisco. Ogni anno le Casse versano allo Stato 2,65 miliardi di euro. Più di 1,8 miliardi vengono versati a titolo di Irpef, oltre 44 milioni per le addizionali comunali e più di 115 milioni per quelle regionali. Tutti importi che gravano su pensionati e beneficiari delle azioni di welfare prodotti dalle stesse Casse. A ciò si aggiungono poi 640 milioni di tassazione sui rendimenti finanziari.
“ Non è possibile che lo Stato che ci chiede di investire nell’economia del paese poi ci tassi sia l’albero, cioè il patrimonio, sia il frutto, ovvero le pensioni !”.
Ha dichiarato Oliveti, presidente dell’Adepp, l’associazione che raccoglie tutte le Casse privatizzate e della stessa Enpam, la Cassa dei medici ed odontoiatri.


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