Dal governo

Previdenza complementare: crescita a singhiozzo, necessaria una nuova spinta fiscale

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Una evidente sollecitazione ad aderire alla previdenza complementare è rappresentato dal trattamento fiscale. Lo schema delineato dal nostro legislatore è del tipo ETT: Esenzione in fase di contribuzione – Tassazione dei rendimenti – Tassazione delle prestazioni. I contributi versati a un fondo pensione/pip sono infatti deducibili dal reddito complessivo tassato con l’Irpef ordinaria fino a un importo massimo di 5.164,57 euro l’anno. I rendimenti delle forme previdenziali sono, poi, soggetti ad un’imposizione annuale di tipo sostitutivo delle imposte sui redditi mediante l’applicazione di un’aliquota del 20% (e non del 26% come per gli altri redditi di natura finanziaria). Per quel che riguarda le prestazioni ( 100 % capitale o max 50 % capitale e 50 % rendita ), dal 2007 sono soggette ad una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta con aliquota del 15 %. Aliquota ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari per i quali l’aderente non abbia esercitato il diritto di riscatto totale della posizione individuale, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali ( aliquota minima del 9% ).
Ciò di cui forse non si discute ancora abbastanza è come incentivare la contribuzione. Il tema è fondamentale perché dall’importo dei versamenti contributivi dipende inevitabilmente l’ammontare della prestazione pensionistica integrativa che verrà poi erogata dal fondo pensione.
Analizzando gli ultimi dati elaborati dall’Autorità di Vigilanza nella sua Relazione Annuale, una delle sfide più importanti per i fondi pensione sembra essere a quella di centrare l’obiettivo di favorire un risparmio previdenziale adeguato facendo i conti con almeno due fenomeni che sono all’attenzione della COVIP già da diversi anni e che possono compromettere l’adeguatezza delle prestazioni: le interruzioni contributive e le posizioni doppie o multiple.
Il fenomeno delle interruzioni contributive riguarda quella parte di iscritti che, per diverse ragioni, non partecipa con continuità ad una forma di previdenza complementare e, di conseguenza, corre il rischio di non poter accedere a una prestazione pensionistica correlata ai propri bisogni. Escludendo i PIP “vecchi”, per i quali non sono disponibili dati a livello individuale, gli iscritti che nel corso del 2022 non hanno versato contributi sono 2,472 milioni, pari al 27,6% del totale (nel 2017 era il 23,5%).
Per una quota rilevante di iscritti la condizione di non versante ha assunto natura strutturale e diventa più complicato immaginare una soluzione per ripristinare una partecipazione attiva alla previdenza complementare. Oltre la metà degli iscritti non versanti, 1,251 milioni, non versa infatti contributi da almeno 5 anni. Al totale iscritti non versanti corrispondono 3,251 milioni di posizioni non alimentate.
Alla crescita delle posizioni prive di versamenti ha contribuito anche il fenomeno delle posizioni multiple facenti capo a uno stesso individuo. Nel 2022 gli iscritti con posizione multiple sono 965mila (80mila in più rispetto al 2021). A tali iscritti fanno capo circa 2,015 milioni di posizioni, di cui 1,215 milioni alimentate da contributi. Restano quindi circa 800mila posizioni, appannaggio di soggetti con adesioni multiple, sulle quali nel 2022 non sono stati accreditati contributi. Considerando che alla fine del 2022 il numero complessivo delle posizioni (10,022 milioni) in essere supera quello degli iscritti (8,972 milioni) di 1.050.000 unità, circa tre quarti della differenza è pertanto costituita da posizioni di iscritti che, pur aderendo a più forme pensionistiche, versano soltanto su una di esse.
Al fine di migliorare questa condizione limitativa sarebbe importante, come più volte sostenuto dal professor Padula nel corso del suo mandato da presidente COVIP, una proposta che potrebbe essere quella di valorizzare schemi di incentivazione fiscale dei contributi che prevedano la possibilità di riportare ad anni di imposta successivi i benefici che non si sono utilizzati in una fase di incapienza fiscale, rivedendo le disposizioni già presenti nell’art. 8 del Decreto lgs. 252/2005 ed estendendone l’ambito di applicazione, attualmente limitato soltanto ai lavoratori di prima occupazione.
In particolare, il riferimento è alla possibilità, prevista per i lavoratori di prima occupazione, limitatamente ai primi 5 anni di partecipazione al sistema di previdenza complementare, di dedurre dal reddito, nei 20 anni successivi al quinto anno di adesione, i contributi eccedenti il limite di 5.164,57 euro pari alla differenza positiva tra l’importo di 25.822,85 euro (5.164,57 euro x 5 anni) e i contributi effettivamente versati nei primi 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche e comunque per un importo non superiore a 2.582,29 euro annui.
Anche rispetto al fenomeno delle posizioni doppie o multiple, così come per le interruzioni contributive, sarebbe quantomeno auspicabile una maggior informazione da parte dei fondi pensione rivolta agli iscritti non versanti al fine di incentivare una maggiore partecipazione attiva.


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