Dal governo
Previdenza: la tagliola sulle indicizzazioni prevista per il 2023 estesa anche al 2024
di Claudio Testuzza
24 Esclusivo per Sanità24
Che, ormai da decenni i pensionati siano stati posti nel mirino dei conti pubblici ed individuati come elementi da emungere. Basti ricordare le famose “ pensioni d’oro ” e le invidie da esse scaturite, per comprendere che anche per la legge di bilancio per il 2023 a costoro sono stati dedicati solamente interventi economicamente restrittivi.
L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto ad una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie, peraltro, non specificate nel provvedimento in dettaglio. La perequazione, che correlata all’inflazione permetterebbe un ristoro dei trattamenti in essere, nella sua nuova formulazione, riduce fortemente quanto già previsto per il 2023, come già realizzato nel 2022, dalle nome in vigore che dopo tanti anni ricomponevano un diritto troppo spesso vanificato.
Risultano, infatti, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita ( art. 36, primo comma, Cost .) e l’adeguatezza ( art. 38, secondo comma, Cost. ). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost. Una norma limitativa è stata, pertanto, già in passato ritenuta costituzionalmente illegittima ( Corte Costituzionale Sentenza n. 70/2015 ).
I pensionati colpiti in base agli ultimi censimenti dell’Inps sono oltre tre milioni e sono quelli che ricevano un trattamento superiore a quattro volte il minimo Inps : circa 2.100 euro lordi al mese. E’ un esercito di pensionati : un pensionato su cinque ! Ma è un esercito senza armi. Nessuno interviene a sua difesa. Neanche le confederazioni sindacali che, peraltro, hanno fra i propri iscritti una maggioranza di pensionati. E’, quindi gioco, facile infierire su costoro.
Per accontentare i sindacati è bastato prevedere una crescita maggiorata al 120 % per le pensioni minime : 46 euro in più ! Mentre per i pensionati d’oro si è passati da un incremento previsto del 7,3 % ad, addirittura per le pensioni superiori a 5.000 euro lordi, al 2,55 %. Ma il provvedimento del Governo Meloni comprende, cosa che pochi hanno rilevato, che la tagliola sulle indicizzazioni non valga solo per il 2023 ma sia estesa anche al 2024. Va, poi considerato che, i pur modesti incrementi, non vengono attivati con riferimento agli scaglioni, così come previsto dall’Irpef, ma in funzione della fascia in cui l’importo totale della pensione si colloca. Per cui l’incremento del 2,55 % , come previsto per le pensioni di 5.000 euro mensili lordi, incide su tutta la cifra non recuperando gli incrementi maggiori per gli importi sottostanti.
Infine l’effetto restrittivo si cumula nel tempo dal momento che l’indicizzazione del futuro sarà applicata ad importi più ridotti di quanto sperato e correttamente dovuto negli ultimi due anni. La perdita è quindi strutturale e crescente impedendo qualsiasi ristoro a fronte di una inflazione galoppante che falcidia fortemente proprio i pensionati che non hanno altro possibile recupero.
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