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Previdenza: con l'inflazione all'8% la spesa Inps cresce di 24 miliardi, ecco gli effetti sulle pensioni

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

L’inflazione rappresenta una grave condizione riguardo la vita dei cittadini così come per i bilanci pubblici. Con la svalutazione dell’attività economica il problema dell’impoverimento si amplia a diverse categorie. Ma quelli che più degli altri soffrono di questa evenienza contraria sono certamente coloro che vivono con un reddito fisso, operai, dipendenti, salariati, e, soprattutto, pensionati.
I pensionati sono i più colpiti essendo il loro reddito poco variabile e collegato ad un recupero annuo, la perequazione automatica, assolutamente modesto per poter recuperare il valore d’acquisto di quanto da loro percepito.
Tuttavia, anche se singolarmente i pensionati avranno dall’anno prossimo un ristoro a parziale della diminuzione del valore delle loro pensioni, i bilanci del sistema previdenziale saranno colpiti da una crescita di spesa annua non indifferente.
La spesa per pensioni in rapporto al Pil, tenendo conto dell'indicizzazione al costo della vita prevedrebbe un aumento della spesa per pensioni sostenuta dall’Inps di 24 miliardi nel 2023. Questa la ricaduta sull'andamento dei costi della previdenza nel caso in cui la corsa dell’inflazione si fermasse a fine anno, speriamo, a quota 8%.
La stima è stata indicata dai tecnici dell’Istituto nel chiarire i dettagli delle oltre 500 pagine del XXI rapporto annuale Inps, che è stato presentato in luglio alla Camera.
Un dato, quello sugli effetti della crescita dei prezzi, alimentata dal perdurare del conflitto russo-ucraino e dallo strascico della pandemia, che è parzialmente assorbito nelle previsioni dell’ultimo Def in cui si indica per il prossimo anno una aumento, appunto, dell’ 8 % della spesa pensionistica. E che fa riflettere sul futuro del sistema previdenziale. Un sistema che senza crescita economica e produttività non riuscirebbe a restare in equilibrio, come lascia intendere lo stesso pool di esperti dell’ente.
Senza considerare che la campagna elettorale di tutti i partiti ha come caposaldo varie forme di interventi per favorire la flessibilità in uscita. Interventi giustificati dal fatto che fine anno saranno in scadenza la quota 102, l'opzione donna e l'ape sociale
Nel 2021 a circa 16 milioni di pensionati, di cui 8,3 milioni donne e 7,7 uomini, sono stati versati trattamenti per un importo lordo complessivo di 312 miliardi.
E il conto è destinato a salire con i correttivi che potrebbero scattare per evitare nel 2023 il ritorno integrale alla legge Fornero.
L’Inps, ha stimato i possibili costi di tre opzioni sul tavolo.
La prima è quella che poggia sul ricalcolo contributivo della pensione nel caso di uscite con 64 anni di età e almeno 35 anni di versamenti e avendo maturato un trattamento pari ad almeno 2,2 volte l'assegno sociale, che costerebbe quasi 900 milioni il primo anno (5,9 miliardo nel triennio 2023-25) per arrivare a oltre 3,7 miliardi nel 2029. La seconda ipotesi è quella della penalizzazione del 3% della parte retributiva dell’assegno per ogni anno di anticipo prima della soglia di vecchiaia sempre con un pensionamento in formato “64+35”.
La maggiore spesa sarebbe di un miliardo nel 2023 (6,7 miliardi nel primo triennio) con un picco di oltre 5 miliardi nel 2029. La terza opzione è rappresentata dalla proposta-Tridico, che prevede l’anticipo alla maturazione di 63 anni d’età e 20 di contribuzione della quota contributiva dell’assegno (recuperando quella retributiva al raggiungimento del requisito di vecchiaia) per un costo di circa 500 milioni il primo anno (meno di 4 miliardi nel triennio) e di 2,5 miliardi nel 2029.
Dal rapporto emerge, poi, il dato che nel 2021 il 40% dei pensionati ha percepito un reddito pensionistico lordo inferiore ai 12mila euro l'anno. Anche se la platea scende al 32 % tenendo conto delle integrazioni al minimo associate alle prestazioni, delle varie forme di Indennità di accompagnamento, della quattordicesima mensilità e delle maggiorazioni sociali associati alle prestazioni. E sempre nel report dell’Inps si mette in evidenza come nel futuro della “Generazione x”, quella con un salario minimo di 9 euro lordi l’ora, ci sia una pensione a 65 anni, con trent’anni di contributi, non superiore ai 750 euro.
Per quanto attiene la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici,
secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio, ipotizzando un’inflazione superiore di due punti rispetto al 5,8% previsto nel DEF per il 2022, la rivalutazione delle pensioni all’inflazione costerà allo Stato circa 32 miliardi lordi nei prossimi 3 anni (5,7 miliardi nel 2023, 11,2 nel 2024, 15,2 nel 2025). 32 miliardi che andranno agli oltre 16 milioni di pensionati, la metà dei quali è già oggi parzialmente o totalmente a carico della collettività. In realtà, l’esborso per le finanze pubbliche sarà inferiore di almeno un quarto, perché sui pensionati, a partire da quelli che hanno pensioni superiori a 2-3 volte il minimo (1.050 o 1.575 euro) grava l’IRPEF che, nel 2021, è stata pari a 56 miliardi circa su un totale di 235 miliardi di spesa pensionistica (circa il 24%), per gran parte a carico dei 5 milioni di soggetti con rendite sopra 3 volte il minimo dato che la metà circa dei pensionati è parzialmente o totalmente assistita e, quindi, anche esente IRPEF.
Ricordiamo che è stato il governo Draghi, nella Legge di Bilancio per il 2022, dopo anni di rinvii, a ripristinare le rivalutazioni piena delle pensioni adottata dal governo Prodi nella manovra finanziaria del 1996, che prevedeva una rivalutazione per “scaglioni” del 100% fino a 4 volte l’importo minimo (2.097 a valori 2022), al 90% sulla quota da 4 a 5 volte il minimo (tra 2.097 e 2.622 euro) e al 75% sulla quota di pensione sopra tale ultimo importo. E ricordiamo, anche, che il primo governo Conte 1 non si era limitato a ridurre le rivalutazioni. Ma ha addirittura tagliato senza alcun criterio i cosiddetti pensionati d’oro che hanno il solo torto di avere pensioni sopra i 100mila euro lordi. In questo caso la Consulta ha detto che andava bene così, salvo, ridurre il periodo dei tagli proposti da Conte da cinque a tre anni.
Quindi, da gennaio 2023 le pensioni verranno almeno rivalutate all'inflazione del 2022 in modo automatico alla luce dell’attuale normativa, senza bisogno di ulteriori provvedimenti né di accantonamenti di bilancio. Del resto, negli ultimi 8 anni, a fronte di un’inflazione inferiore al 3%, le pensioni non sono state praticamente rivalutate. Ulteriori ripensamenti, oltre a essere ingiusti, sarebbero complicati sia per evitare un no della Corte Costituzionale sia perché a breve ci saranno le elezioni.


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