Dal governo
Case di Comunità nel DM77: tanti mattoni e poco personale?
di Angelo Barbato, Alessandro Nobili, Livio Garattini*
24 Esclusivo per Sanità24
Dopo aver esposto qualche mese fa delle valutazioni in merito alla bozza di decreto ministeriale (https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/aziende-e-regioni/2022-03-11/revisione-cure-territoriali-confusione-non-giova-necessario-obiettivo-integrazione ), allora noto come DM71, ci sembra utile aggiungere alcuni commenti sull’ultimo documento ministeriale, in particolare sull’Allegato 2 della versione definitiva del decreto nel frattempo diventato DM77, che ne costituisce la parte più applicativa. Infatti, tale allegato contiene indicazioni ‘prescrittive’, cioè obbligatorie, per le regioni, a cui spetta il compito di attuarle; quindi, si differenzia dall’Allegato 1, che contiene indicazioni ‘descrittive’, cioè raccomandate, ma non vincolanti.
L’Allegato 2 è un breve documento dedicato a varie strutture amministrative e sanitarie, a partire dalle Case di Comunità (CdC), e la decisione di circoscrivere l’ambito delle indicazioni prescrittive solamente ad aspetti specifici è già di per sé limitante. Restringendo volutamente la nostra analisi alle CdC, constatiamo fin da subito che viene fornito un elenco di servizi obbligatori, per i quali nella maggior parte dei casi non vengono però fornite specifiche indicazioni operative, come del resto accade successivamente per altri servizi. Con particolare riferimento alle cure primarie, la situazione delineata dal decreto presenta aspetti paradossali. I servizi di cure primarie sono posizionati al primo posto nella prima tabella dell’allegato 2 riferita alle CdC, che elenca i servizi obbligatoriamente presenti, con l’indicazione che le cure primarie vanno erogate da équipes multiprofessionali composte da medici di medicina generale (MMG), pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali, infermieri di comunità e altri. Tuttavia questa affermazione non viene poi tradotta in indicazioni precise e vincolanti sulla composizione effettiva delle équipes, con particolare riferimento alla dotazione di personale. Ad esempio, negli standard di personale per le CdC prescritti nell’allegato, sono menzionati solo 7-11 infermieri, 1 assistente sociale e 5-8 unità di personale genericamente definite di supporto, senza chiarire se questa dotazione si riferisca a operatori isolati o a componenti di un gruppo di lavoro. Inoltre, in nessun punto è specificato se e come i MMG debbano svolgere la loro attività nelle CdC e quindi nelle équipes multiprofessionali. Peraltro, la presenza medica è indicata come obbligatoria h24 per tutti i giorni alla settimana nelle CdC hub, mentre viene dimezzata a h12 nelle CdC spoke per 6/7 giorni, cioè quelle in cui la presenza degli MMG dovrebbe essere più diffusa. D’altro canto, nell’Allegato 1, dove è riportata la medesima tabella con gli stessi orari di cui sopra, viene solamente accennato che l’assistenza medica nelle CdC deve essere svolta come attività ambulatoriale aggiuntiva rispetto alle attività svolte dai MMG nei confronti dei propri assistiti, mentre le prescrizioni dell’Allegato 2 sanciscono genericamente l’obbligo per le CdC di garantire una presenza medica e infermieristica continuativa e quotidiana.
Visto che i MMG sono autorizzati a continuare a svolgere la propria attività nei loro ambulatori, rimane del tutto vago anche nell’allegato quale sia la tipologia e (soprattutto) la quantità di medici presenti nelle due tipologie di CdC, nonché quali utenti possano accedervi. Eccezion fatta per la quantificazione specifica di standard di personale, lo stesso concetto vale per la presenza infermieristica, che appare del tutto svincolata dall’organizzazione sistemica delle équipes multiprofessionali per le cure primarie.In sintesi, siamo ben lontani da una ricomposizione unitaria delle cure primarie mirata a un’assistenza integrata e si prefigura un doppio binario difficilmente gestibile tra i MMG, che continuano la loro attività secondo le modalità tradizionali, e le CdC, che potrebbero alla fine assomigliare a una sorta di poliambulatorio eterogeneo, con annesso un servizio di guardia medica per le urgenze, funzionante secondo i canoni classici della medicina di attesa, in barba all’enfasi posta sulla sanità d’iniziativa e sull’integrazione delle cure. Anche senza entrare troppo nel dettaglio sulla lista dei servizi che le CdC sono tenute a offrire, ci sembra sufficiente rilevare che la caratteristica principale dell’Allegato 2 è quella di configurare un contenitore in cui non solo i singoli servizi, ma anche le singole figure professionali sono presenti come separate e autonome. Questo approccio niente affatto integrato viene utilizzato anche per funzioni della sanità territoriale, quali l’assistenza domiciliare e l’unità continuativa assistenza, che vengono anch’esse considerate alla stregua di singoli servizi.
Tenendo conto anche del fatto che l’intero impianto del DM77 è subordinato alla clausola di invarianza finanziaria dell’art.4, in cui si specifica che le regioni attuano il presente decreto senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e nell’ambito della cornice finanziaria programmata per il SSN, ivi ricomprendendo le risorse del PNRR, questa impostazione, basata su silos separati e a volte pure contrapposti, favorirà inevitabilmente l’appalto di singoli settori di intervento a soggetti privati se non verrà modificata, con la più che probabile richiesta di estese e variegate forme di co-pagamento agli utenti che se ne avvarranno.
Concludendo, siccome è noto che il PNRR prevede investimenti per interventi edilizi e tecnologici, ma non per risorse umane (eccezione fatta per l’assistenza domiciliare), le regioni dovrebbero ricorrere alle risorse attualmente messe a disposizione dal FSN per finanziare la spesa corrente aggiuntiva indotta dai nuovi servizi territoriali come le CdC . E, siccome la disponibilità del FSN è stata giudicata da tutti gli osservatori palesemente insufficiente anche per il mero mantenimento dei servizi esistenti così come sono attualmente configurati, le prescrizioni dell’Allegato 2 rischiano di rimanere tutte sulla carta, cioè del tutto velleitarie e inefficaci alla stregua delle grida di manzoniana memoria. Un risultato prevedibile quando un impianto legislativo è basato essenzialmente sull’elencazione delle prestazioni da erogare in assenza di un quadro generale di programmazione correlato ai bisogni di salute dei singoli cittadini e della comunità di cui fanno parte. E intanto l’inquadramento professionale di figure anomale come quelle dei MMG, tuttora convenzionate e non dipendenti del SSN, rimane ambiguo e incerto anche dopo aver aggiunto all’elenco strutture potenzialmente innovative come le CdC.
*Centro Studi di Politica e Programmazione Socio-Sanitaria del Dipartimento di Politiche per la Salute dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano
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