Dal governo
Spesa digitale, investimenti pubblici in caduta libera (-10%)
di Paolo Colli Franzone (Advisor ICT S@lute e direttore Osservatorio Netics)
I dati sulla spesa informatica della sanità italiana, presentati dall'Osservatorio Netics, rappresentano una situazione ancora molto distante dai valori medi dei Paesi OCSE. In particolare, la sanità pubblica italiana, nel 2016, ha speso in acquisto di beni e servizi informatici (al netto quindi dalle spese per telecomunicazioni) 1.040 milioni di euro, con un incremento del 9% circa rispetto all'anno precedente.
Le previsioni per il 2017 lasciano intravedere un risicato 3% di ulteriore aumento, derivante in maniera pressoché esclusiva dai nuovi investimenti effettuati da Regioni dell'Italia meridionale. Al Centro e al Nord siamo di fronte a valori praticamente invariati rispetto al 2016.
L'insieme delle entità pubbliche afferenti al Servizio sanitario nazionale spende in informatica meno dello 0,9% del valore complessivo della spesa sanitaria. Siamo abbondantemente al di sotto dei valori medi Ocse, dove si arriva a spendere sino al 2-2,5%.
Il sistema dell'offerta, partendo dai grandi vendor di tecnologie di dimensione multinazionale e arrivando ai produttori di software applicativo e ai provider di servizi di system integration e assistenza tecnica, manifesta non poche difficoltà sul mercato italiano, in un contesto mondiale che vede la spesa in Healthcare Information Technology crescere a doppia cifra anno su anno.
Investimenti Ict in picchiata
Per il 2018 Netics prevede un drastico calo della spesa IT delle Asl e degli ospedali pubblici (-10% rispetto al 2016), dovuto soprattutto a un quadro normativo incerto (le norme sulla “spending review”) e alla scelta di alcune Regioni italiane di centralizzare la spesa informatica con l'obiettivo di razionalizzarla. Sempre nel 2018, infatti, la spesa informatica delle Regioni per la Sanità crescerà di 68 milioni di euro soprattutto grazie alla partenza di alcuni grandi progetti localizzati soprattutto al Nord-Est e al Sud.
Il tema della “spending review” rischia di paralizzare il mercato dell'Healthcare IT almeno sino a quando non diventeranno certi i tempi di attuazione del “Piano Triennale per l'informatica pubblica” redatto dall'Agenzia per l'Italia Digitale e approvato nel mese di giugno 2017 dalla presidenza del Consiglio dei ministri.
Nel suddetto Piano (che è stato pubblicato dopo una gestazione di quasi 18 mesi) si prevede la riduzione della spesa corrente per l'informatica, in tutta la PA compresa la Sanità, non inferiore a 800 milioni di euro. Siccome la Sanità “pesa” circa il 20% della spesa complessiva IT della PA italiana, significa che le Regioni e le Aziende Sanitarie e Ospedaliere dovranno tagliare 160 milioni su un miliardo di spesa (assumendo come punto di partenza la spesa IT del 2016). Un taglio del 16% nella spesa corrente rischia di non poter essere sostenibile se non tagliando la quantità e la qualità dei servizi acquistati, consistenti prevalentemente in costi di manutenzione hardware e software e di giornate/uomo di presidio di assistenza tecnica in loco.
L'assunto di base di AgID, quello in base al quale la spesa corrente IT della Pa italiana è elevata in quanto i prezzi praticati dai fornitori sono alti, è sbagliata. Soprattutto se parliamo di Sanità, dove già da almeno 4 anni vari provvedimenti di legge o “raccomandazioni” sono state attivate e concluse operazioni massive di rinegoziazione dei contratti coi fornitori.
Il 46% dei responsabili dei sistemi informativi di aziende sanitarie e ospedaliere italiane, intervistati telefonicamente da Netics nel periodo fra marzo e giugno 2017, dichiara di non essere in condizione di ridurre la spesa corrente se non tagliando servizi necessari e/o indispensabili.
Risulta difficilmente praticabile anche l'opzione, prevista nel Piano Triennale, di poter derogare al taglio della spesa dirottandola su Consip o sulle centrali d'acquisto regionali: la maggior parte dei servizi di manutenzione software in Sanità riguarda software applicativo specializzato (sistemi informativi ospedalieri e territoriali, software di gestione delle immagini cliniche, ecc.), non coperti da alcuna convenzione Consip attiva. Ed è praticamente impossibile pensare che Consip possa avviare e portare a conclusione nuove convenzioni nel giro dei 4-5 mesi che ci separano dalla fine dell'anno, data in cui le aziende sanitarie e ospedaliere dovranno preoccuparsi di rinnovare i contratti in essere, pena l'interruzione delle attività di supporto prestate dai fornitori.
Piace l’opzione Cloud
Almeno un terzo dei responsabili intervistati da Netics manifesta interesse verso quella che potremmo definire “l'opzione Cloud”: migrare tutto o parte dei sistemi informativi sanitari sul cloud, tagliando significativamente la spesa corrente relativa alla gestione dell'infrastruttura IT (data center). Peccato che anche in questo caso AgID sia in ritardo con la pubblicazione delle proposte operative per la razionalizzazione dei data center, attività iniziata col Governo Letta e ora probabilmente sospesa in attesa di unificare questo documento con la parte di “Piano Triennale” che riguarda lo stesso tema.
In pratica, forse l'unica soluzione percorribile risulta impraticabile entro i termini di spending review imposti dal Piano.
La domanda potenziale di Healthcare IT che potrebbe trasmigrare su Consip è stimata da Netics (sempre a partire dalle interviste effettuate qualche mese fa) intorno ai 350 milioni di Euro l'anno. Più di due terzi di questo potenziale, però, è in grado di trasformarsi in domanda reale solamente a fronte di nuove convenzioni specifiche che Consip farebbe bene ad attivare il più presto possibile.
Non è pensabile una spending review che tagli servizi di manutenzione sul software, soprattutto per quanto riguarda gli ospedali. I motivi sono evidenti a tutti.
Non è neppure immaginabile continuare a far pagare la spending review ai fornitori, che in Sanità hanno già dato ampiamente negli anni scorsi.
AgID ha probabilmente sbagliato considerando l'IT Sanità equivalente a quello di tutto il resto della PA, dove spesso i software impiegati sono obsoleti e quindi la loro gestione risulta economicamente non conveniente. In Sanità non è così: di obsolescente, in molti casi, c'è solamente il parco PC (età media: oltre 5 anni) e forse qualche data center. Ma qui la soluzione è il cloud, e per il cloud la PA italiana non è ancora pronta a causa di lungaggini burocratiche.
Ancora una volta, siamo di fronte al bivio: continuare a rimanere fanalino di coda rispetto alla media dei Paesi OCSE, oppure accelerare drasticamente i tempi del cambiamento. AgID deve fare un gran bel balzo in avanti, molto probabilmente crescendo in termini di risorse umane e in capacità di rispettare i tempi di execution.
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