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Sostenibilità e accesso ai farmaci oncologici. Come uscire dalla tempesta perfetta

di Francesco De Lorenzo (presidente Ecpc e presidente Favo) e Umberto Tirelli (primario e oncologo, Istituto Nazionale Tumore CRO Aviano)

La disponibilità e l'accessibilità alle migliori cure disponibili rappresenta un diritto imprescindibile per i malati di cancro e un elemento fondante di ogni sistema sanitario. La sopravvivenza media della popolazione italiana affetta da malattie neoplastiche è aumentata nel corso degli anni. Secondo il più recente rapporto Aiom - Airtum sui Tumori in Italia, nel 2015 le persone vive dopo una diagnosi di tumore erano 3.037.127, ovvero circa il 5% dell'intera popolazione italiana, con una sopravvivenza media a cinque anni dalla diagnosi di un tumore maligno del 57% fra gli uomini e del 63% fra le donne. Parallelamente, cresce la ricerca sui nuovi farmaci oncologici, che rappresentano il 30% del totale.

Negli ultimi anni si parla sempre più spesso di sostenibilità finanziaria del sistema e di equilibrio di bilancio pubblico in riferimento alla sanità. I progressi fatti dalla medicina, sia in ambito diagnostico che terapeutico, hanno certamente portato dei risultati straordinari in termini di salute per i malati di cancro, dall'altro però sono cambiati e aumentati i bisogni di salute ed i servizi di assistenza per loro e familiari.

È aumentata di conseguenza la pressione sugli interventi di contenimento della spesa sanitaria, soprattutto su alcuni farmaci, tra cui gli oncologici. Il fulcro del dibattito sulla sostenibilità dei sistemi sanitari si sta quindi velocemente spostando sul tema della spesa farmaceutica e dell'accesso ai nuovi farmaci, sempre più efficaci, ma sempre più costosi. La tempesta perfetta cui secondo alcuni autori la sanità pubblica sta andando incontro ha nell'oncologia il suo nucleo centrale in ragione di una peculiare combinazione di fattori: sempre più malati, per un tempo sempre più lungo, costi unitari elevati e crescenti.

In particolare, la spesa per i farmaci oncologici è passata da poco più di un miliardo di euro nel 2007 a oltre tre miliardi nel 2014. Nel suo complesso, l'oncologia rappresenta una delle voci di spesa più rilevanti per il Servizio Sanitario Nazionale: per la prima volta, nel 2014, la spesa per i farmaci antineoplastici si è infatti collocata al primo posto. Inoltre dal più recente Rapporto OsMed, i farmaci antineoplastici e immunomodulatori si posizionano al secondo posto nell'elenco delle categorie terapeutiche a maggiore impatto di spesa farmaceutica, con una spesa riferita al 2015 di 4.175 milioni di euro (18,9% sul totale)6. Tale impatto ha inevitabilmente portato allo sfondamento del tetto di spesa (ovvero la programmazione economica definita per la spesa territoriale ed ospedaliera) fissato dal Fondo Sanitario Nazionale.

Si è aperto un dibattito a livello internazionale e anche al livello istituzionale con la “Risoluzione del Parlamento Europeo sulle opzioni dell'UE per un miglior accesso ai medicinali “ del 14 febbraio 2017.

Nel documento vengono richieste misure a livello nazionale e di Ue per garantire il diritto dei pazienti ad un accesso universale , a prezzi contenuti, efficace, sicuro e tempestivo alle terapie essenziali e innovative; gli Stati membri sono stati invitati a sviluppare una più stretta collaborazione per contrastare la frammentazione del mercato, in particolare mettendo a punto processi e risultati comuni di valutazione delle tecnologie sanitarie (approccio basato sul valore - value based-pricing model - generato per il paziente e per la società), nonché a lavorare alla definizione di criteri condivisi da impiegare nelle decisioni a livello nazionale in materia di prezzi e rimborsi. La Commissione e il Consiglio sono stati inoltre invitati a formulare una definizione migliore del concetto di carenza di medicinali e ad analizzarne le cause e, in questo contesto, a valutare l'impatto del commercio parallelo e delle quote di fornitura, a istituire un meccanismo mediante il quale poter riferire annualmente in merito alla carenza di medicinali in tutta l'Ue, a rivedere la base giuridica
dell'Ema e a considerare il rafforzamento del suo mandato per coordinare l'attività paneuropea intesa ad affrontare la carenza di medicinali negli Stati membri.

Problemi di disponibilità e di accesso, non riguardano quindi soltanto i farmaci innovativi, di cui tanto abbiamo parlato in questi ultimi tempi, ma si presentano anche in caso di prodotti cosiddetti maturi, non più protetti da brevetto. Questo fenomeno, definito shortage, è stato denunciato innanzitutto negli Stati Uniti nel 2006 e successivamente, in Canada, Brasile, Australia e in altri Paesi. I problemi sono comuni, sia pure in forme molto diverse, anche in tutti i paesi Ue, compresa l'Italia. In particolare, nel nostro Paese periodicamente mancano alcuni chemioterapici, quali il 5-fluorouracile, bleomicina, doxorubicina liposomiale, metotrexate e altri essenziali nella terapia delle leucemie acute e per il trapianto di midollo.

Queste categorie di farmaci, comprese alcune molecole a brevetto scaduto, essenziali e insostituibili, spesso non sono disponibili sul mercato perché le aziende ne dismettono la produzione in quanto non più economicamente convenienti. Indisponibilità e carenza nelle scorte di farmaci arrecano gravi danni ai pazienti, aggiungendo costi ai sistemi sanitari, i cui budget sono già ampiamente sotto pressione.

I motivi dell'esaurimento delle scorte di farmaci sono vari e hanno a che fare ad esempio con la scarsa disponibilità dei principi attivi, errori nei processi produttivi (ad es. contaminazione di lotti), inefficienze nella gestione delle dinamiche di domanda e offerta e di gestione dei magazzini, utilizzi inappropriati dei farmaci e, soprattutto più recentemente, necessità di aggiornare processi produttivi e molecole particolarmente datate a standard produttivi e regolatori più moderni. Quest'ultimo aspetto può determinare lunghe e complesse attività di ridefinizione dei processi produttivi e riformulazione dei prodotti, che possono rendere necessari anche nuovi studi di stabilità delle molecole e nuovi processi autorizzativi presso gli enti regolatori, come se si trattasse di nuovi farmaci. Si tratta quindi di attività che comportano investimenti rilevanti da parte delle aziende produttrici e un livello troppo basso dei prezzi dei farmaci può in questi casi renderne antieconomica la produzione.

È quindi molto importante anche in questi casi ricercare il giusto bilanciamento tra quanto rappresenta un prezzo equo (fair price) per i pazienti e il sistema sanitario e i costi necessari a sostenere la produzione di questi prodotti – che in alcuni casi riguardano volumi contenuti e produzioni di nicchia, pur non configurandosi come farmaci orfani – secondo le buone pratiche e i requisiti di qualità e sicurezza definiti dagli enti regolatori. Questo per evitare il rischio di uscita dal mercato delle aziende produttrici di maggiore qualità e affidabilità.

Un Advisory Group di esperti dell'Oms ha recentemente affrontato il tema dell'equilibrio tra fair price e sostenibilità per tutti gli attori del sistema, evidenziando il legame tra shortage e prezzi bassi di alcuni farmaci che ne rendevano insostenibile la produzione, date le specifiche esigenze di qualità e sicurezza (esempio citato nel caso di API), con esempi riferiti ai mercati degli Stati Uniti, del Brasile e proprio dell'Italia.

Come evitare quindi che si verifichino shortage di farmaci per i nostri malati? Come definire un prezzo equo per questi farmaci, sia per i produttori che per i payers? Questi sono importanti quesiti che un sistema sanitario universalistico che vuole mettere al centro i pazienti deve porsi. I bisogni e gli interessi dei malati devono essere sempre il faro su cui la politica sanitaria deve lavorare, promuovendo un dialogo aperto tra comunità scientifica, regolatori, pagatori e industria, per costruire un Patto tra il pubblico e il privato, una sorta di New Deal della Salute.


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