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Conto annuale 2015: personale Ssn sceso di oltre 10mila unità, retribuzioni in stallo
di Ernesto Diffidenti
Il Servizio sanitario nazionale continua a perdere pezzi. In un solo anno, tra il 2014 e il 2015, secondo il Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, il personale ha registrato un calo di 10.444 unità (-1,6%) passando da 663.795 a 653.352 addetti. Si tratta della riduzione più significativa degli ultimi anni che ha portato a quota 29mila i posti di lavoro andati in fumo dal 2007. Tra questi, sottolinea Ipasvi, 2.788 (il 27% del calo totale) sono infermieri (-1%), seguiti ai primi posti dal personale del ruolo tecnico con -1.873 unità (-1,5%) tra cui assistenti sociali e operatori sociosanitari e quindi sempre con un danno diretto sull’assistenza alla persona e dai medici che perdono 1.797 professionisti (-1,7%).
In aumento, invece, il lavoro “ flessibile” (+9% circa) cresciuto da 28.273 a 30.686 unità.
Le retribuzioni sono pressoché in stallo ad una quota media di circa 38.621 euro. In sostanza aumentano, sempre in media, per tutto il Ssn di 51 euro in un anno, +0,1% (4,3 euro al mese), per gli infermieri di 93 euro, +0,3% (7,7 al mese): nemmeno il valore della vacanza contrattuale. E questo contro una perdita di potere di acquisto dovuta alla mancanza di contratto ormai da sette anni che da sola ha eroso circa il 25% della busta paga.
La spesa complessiva del Ssn scende di 170 milioni (-0,2%) passando da 39,133 a 38,964 miliardi di euro.
Secondo Ipasvi per gli infermieri l’analisi diventa più preoccupante, al di là del dato nazionale, se si guarda alle singole Regioni. Le perdite maggiori, infatti, sono quasi tutte nelle otto Regioni in piano di rientro, quelle con organici già al di sotto dei livelli accettabili per un’assistenza appropriata che da sole comprendono il 70% circa dell’intera perdita di professionisti e fanno registrare situazioni che, ad esempio, contro il calo medio dell’1% a livello nazionale, registrano il -3% in Molise e oltre il -2% nel Lazio e Campania.
«Senza essere Cassandre – dichiara Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi – avevamo già da tempo ipotizzato un ulteriore possibile calo di personale. I servizi fanno fatica a essere erogati con la massima appropriatezza dovuta ai cittadini e sul territorio c’è il vuoto, come già sottolineato in occasione della nostra proposta per una revisione organica del Pronto soccorso che parte proprio dal potenziamento dell’assistenza extra ospedaliera. Ora i dati lo confermano. E se questi sono i numeri su cui si deve lavorare per il prossimo contratto, davvero non è il piede giusto per partire: un numero sempre più basso di professionisti e retribuzioni ancora più asciutte rispetto agli anni precedenti non sono una buona base su cui cercare un recupero di risorse, sia umane che economiche. E' da tempo ormai che abbiamo formalizzato una carenza minima di almeno 47mila infermieri di cui 18mila sarebbero necessari solo per rispettare le regole Ue sugli orari di lavoro che, invece, ancora sembra siano in alto mare».
«Ora – prosegue - la situazione evidentemente si aggrava. E' ora dei nuovi contratti, è vero, ma anche di disegnare un nuovo modello e una diversa organizzazione assistenziale e dei servizi ascoltando e premiando quella che universalmente è riconosciuta come prima risorsa per il successo delle politiche sanitarie: il personale».
«Come infermieri – conclude Mangiacavalli - vogliamo ribadire e ricordare solo alcuni dati elaborati a livello internazionale. Secondo un recente studio inglese, il tasso di mortalità risulta del 20% inferiore quando ogni infermiere ha in carico un numero di pazienti pari a 6 o meno, rispetto a quei contesti dove ogni singolo infermiere ha in carico 10 o più pazienti e in Italia lo scorso anno, con più professionisti, la media era di 12 pazienti. Un altro studio ha sottolineato che il rischio di morte aumenta con l’esposizione a turni con ore di presenza infermieristica inferiori di almeno 8 ore rispetto al monte-ore programmato o nei quali il turnover dei pazienti è molto elevato. Il rischio aumenta del 2% per ogni turno con presenze di professionisti al di sotto del monte ore e del 4% per ogni turno con elevato turnover dei pazienti. Un brutto segnale visto che meno personale si traduce in più straordinario e turni necessariamente più lunghi. Questi dati, che peggiorano ancora la situazione nazionale e in modo grave in alcune Regioni pesantemente sotto l'effetto dei tagli, davvero non confortano rispetto a ciò che un’organizzazione più efficiente potrebbe garantire grazie ai suoi professionisti, ai cittadini e ai pazienti».
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