Dal governo

Con la spesa in stallo al 6,8% la sanità va in deflazione

di Nadio Delai (Presidente Ermeneia, Studi Strategie di Sistema)

Fare annualmente un bilancio dell'andamento del sistema ospedaliero richiede di tener conto dei fenomeni specifici che hanno caratterizzato gli ultimi dodici mesi e di verificare se essi siano riportabili ad un processo unitario di fondo che caratterizza l'intero sistema e che si sviluppa non solo nell'immediato ma anche nel medio periodo.

Si è davanti innanzitutto ad un processo di deflazione da sottofinanziamento che ad esempio è rilevabile negli ultimi tre anni, visto che la spesa sanitaria pubblica risulta stabilmente bloccata in Italia al 6,8% del Pil, mentre risulta significativamente più alta e in crescita quella relativa ai Paesi del G7 (8,2%). Con l'aggravante che il Pil italiano ha registrato i segni “meno”, anno per anno, a causa della crisi e delle conseguenti politiche (salvo un +0,4% nel 2015). E ciò si è manifestato anche per la spesa ospedaliera pubblica complessiva, ferma in Italia al 3,9% del Pil.
Ma esiste anche un processo di deflazione aggiunta derivante dall'inefficienza, in quanto il sistema ospedaliero pubblico non riesce a “liberare” risorse come invece potrebbe, qualora fosse in grado di rivedere significativamente le proprie modalità organizzative e gestionali attuali: potendo così investire le risorse recuperate sul miglioramento delle strutture, delle attrezzature e dei servizi agli utenti. A questo proposito è stato stimato quest'anno il valore dei possibili “Sovraricavi” (mentre l'anno scorso si erano stimati i “Sovracosti”), con riferimento alla valorizzazione delle attività “a funzione”, riconosciuta alle Aziende Ospedaliere (tenendo presente i Conti Economici 2015) e quindi stimata anche per gli Ospedali a gestione diretta. Tali Sovraricavi, prudentemente valutati, sono compresi tra 2,6 e 3,2 miliardi di euro, su cui sarebbe necessario procedere con un'operazione combinata di efficientamento e di maggiore trasparenza. Ma queste cifre sono passibili di ulteriori aumenti a seguito dell'applicazione del riconoscimento forfetario delle attività “a funzione”, le quali potrebbero arrivare sino ad un massimo del 30% dei ricavi da produzione ospedaliera totale. La difficoltà dell'ospedalità pubblica nel fare effettiva ristrutturazione e riorganizzazione secondo una logica di maggiore efficienza alimenta un'ulteriore processo di deflazione a seguito del trasferimento di oneri economici e normativi ai soggetti di offerta di servizi ospedalieri privati accreditati nel loro complesso. Vale la pena ricordare a tale proposito che la spesa ospedaliera riconosciuta tali soggetti si contrae – tra il 2010 e il 2014 – del 4,8% contro una crescita sia pure lieve (+0,8%) di quella riconosciuta alle strutture ospedaliere pubbliche.
Ma è il caso anche di sottolineare che queste ultime utilizzano l'86,2% della spesa pubblica ospedaliera complessiva contro il 13,8% che afferisce invece agli ospedali privati accreditati nel loro complesso, i quali peraltro forniscono il 28,2% delle giornate di degenza complessive. E l'obiezione – che viene talvolta avanzata – riguardante le strutture private accreditate che sottrarrebbero risorse e offrirebbero per lo più prestazioni di modesta complessità richiede di precisare come in realtà:

− tali strutture contribuiscano a presidiare in maniera tutt'altro che marginale i diversi territori del Paese, visto che esse forniscono il 23,3% dei ricoveri totali per acuti in Italia (nell'anno 2014), ma arrivano a toccare anche quote molto più elevate in singole Regioni come nel caso della Lombardia (30,4%), della Puglia (32,4%), della Campania (34,1%) o del Lazio (45,9%)6. Senza contare che è lo stesso sistema ospedaliero pubblico (e non solo gli utenti) a prendere l'iniziativa, ricorrendo a strutture private accreditate per carenza di posti letto oppure al fine di liberare parte di questi ultimi (nel caso di alte specialità) a fronte di una domanda cui non si riesce a dare risposta in termini accettabili e/o con modalità appropriate; − e inoltre le strutture private accreditate offrano prestazioni che risultano mediamente di più elevata complessità rispetto a quelle che fanno capo agli ospedali pubblici: il 17,5% dei ricoveri presso le strutture accreditate sono di questo tipo rispetto al 13,9% dei ricoveri presso quelle pubbliche, a cui è il caso di aggiungere che tale situazione si verifica in quasi tutte le Regioni italiane. Ma è evidente che trasferire sistematicamente oneri economici aggiuntivi sulla componente accreditata finisce con l'innescare anche per quest'ultima un processo di erosione dei servizi forniti agli utenti. E infine esiste un processo di deflazione da razionamento di fatto dei servizi offerti nell'ambito dell'ospedalità pubblica. Quest'ultima infatti ha subìto l'impatto dei provvedimenti di spending review, che si sono succeduti in questi anni di crisi (nel quadro delle politiche di austerità), mentre non è stata in grado di incorporare quote significative di efficienza, anche per le ben note rigidità che presenta il sistema pubblico (a partire dalla normativa che riguarda il personale). E la conseguenza è stata perciò quella di un razionamento dei servizi rivolti ai pazienti, che ha assunto forme diverse e cioè:
− da un lato, quella della riduzione dell'offerta, connessa ad esempio, nel periodo 2009-2014, alla riduzione del numero di posti letto (-9,2%), alla contrazione del numero di ricoveri (-18,3%) e alla diminuzione delle giornate di degenza (-14,0%), tendenze queste che comprendono certamente anche uno sforzo di maggiore appropriatezza delle prestazioni e di riconduzione delle dotazioni a standard internazionali, ma a ciò si è affiancata la contrazione, il ritardo o il peggioramento delle prestazioni fornite, accentuato anche dalla progressiva riduzione del personale che è diminuito di 45 mila unità (-9,0%) tra il 2010 e il 2014 (a seguito soprattutto delle mancate sostituzioni dei pensionamenti);

− e dall'altro, quello di un aumento degli oneri per gli utenti (valore dei ticket, ricorso a prestazioni intramoenia a pagamento, ricorso a prestazioni di tipo privato, aumento delle addizionali Irpef e allungamento delle liste di attesa)9: col risultato di spingere i pazienti e le loro famiglie a cercare soluzioni alternative presso l'ospedalità accreditata e quella del tutto privata o ricorrendo a strutture ospedaliere presenti in Regioni diverse da quella di residenza oppure addirittura a rimandare o a rinunciare alle cure, queste ultime – tra l'altro – alimentano prospettive (tutte da valutare) di una certa preoccupazione sul possibile peggioramento nel medio periodo dello stato di salute della popolazione.

A quanto appena ricordato si aggiunga che i Piani di rientro hanno applicato la logica economico-finanziaria, avente come obiettivo primario la riduzione dei costi. Ma questo ha avuto un impatto ancora più pronunciato sulla quantità e sulla qualità dei servizi. La separazione tra sanità “finanziaria” e sanità “reale” ha potuto dunque migliorare i conti, ma a scapito delle risposte fornite ai pazienti.
A questo punto bisogna prendere atto che il sentiero si sta facendo stretto, in quanto non si può ragionevolmente ritenere di gestire permanentemente un modello basato su un processo di tipo deflattivo che viene rafforzato dall'accumulazione progressiva dei disagi degli utenti, col rischio di una possibile ipoteca nei fatti del principio universalistico e solidale che – formalmente almeno – si continua a ribadire essere alla base del Sistema Sanitario Nazionale.

Diventa perciò necessario procedere ad una manutenzione straordinaria di quest'ultimo che deve saper reinterpretare il principio suddetto alla luce:
− di un’inevitabile crescita di domanda di servizi a seguito in primis dell'invecchiamento progressivo della popolazione, ma anche di altri fattori connessi con maggiori flussi di informazione che creano attese sempre più ampie e diffuse (e peraltro non sempre necessariamente fondate) negli utenti;
− di una disponibilità di risorse economiche auspicabilmente maggiore (e magari più confrontabili con quelle di altri Paesi simili al nostro), anche se è più probabile che ci si trovi in una situazione di non automatica espansione di esse in modo da risultare coerente con l'espansione della domanda;

− di una divaricazione tra strutture di punta, caratterizzate da una elevata qualità delle prestazioni e strutture di tipo intermedio che non sempre riescono a garantire una qualità accettabile e diffusa dei servizi offerti (e un sistema “tiene” a condizione che il livello eccellente di alcuni ospedali si appoggi su un tessuto medio accettabile);

− e infine dell'esistenza di significative differenze interne tra strutture ospedaliere analoghe (siano esse di alto o di medio livello) quanto a capacità di efficientamento sul fronte gestionale e a capacità di pervenire ad esiti adeguati sul piano clinico. Di conseguenza bisognerà far crescere l'abilità di fare di più e meglio con meno, riuscendo così a liberare risorse, oggi “bloccate” dalle difficoltà di procedere ad una ristrutturazione e riorganizzazione sostanziale delle strutture pubbliche.
In tale quadro una maggiore trasparenza dei bilanci delle strutture pubbliche aiuterebbe a misurare, anno per anno, gli impegni di revisione gestionale effettivamente messi in atto e permetterebbe di effettuare più adeguati confronti tra prestazioni delle strutture ospedaliere pubbliche e di quelle private accreditate. Anche se a tutt'oggi si assiste ad un accumularsi di normative di controllo, nonché di certificabilità e di certificazione, che non sono seguite automaticamente dai comportamenti coerenti necessari.

In conclusione bisognerà ripensare lo stesso Patto con i Cittadini per quanto riguarda la tutela e la promozione della salute, in modo da tener conto delle mutate condizioni rispetto al passato, con in più una tendenza pronunciata della domanda orientata alla continua crescita e con la presenza di un'offerta ancora troppo irrigidita nel proprio modo di operare, nonché di una disponibilità più ridotta di risorse finanziarie pubbliche. Per questo sarà necessario intraprendere un percorso evolutivo che, oltre all'efficientamento, conduca verso forme di Neo-Welfare, in cui far convergere le responsabilità e le risorse del pubblico con a fianco le responsabilità e le risorse dei cittadini (singoli ed associati), delle aziende (a loro volta singole ed associate), del mondo della rappresentanza degli interessi e di quello del Terzo Settore: questo allo scopo di ridisegnare un sistema di protezione e di promozione della salute che rispetti ancora il principio universalistico e solidale, ma che sia anche compatibile con le condizioni che viviamo oggi e che vivremo domani. In tema di Patto con i Cittadini è il caso di ricordare che il 77% dei caregiver, appositamente intervistati per il Rapporto “Ospedali & Salute/2015”, dichiarava che “sarebbe importante preservare al meglio il Sistema Sanitario di cui disponiamo, pur sapendo che non sarà più possibile dare tutto a tutti, poiché i bisogni crescono, anche per l'invecchiamento della popolazione e per le attese dei pazienti, mentre le risorse pubbliche certo non si espandono di conseguenza”. E un parallelo 71% riconosceva che “è importante promuovere un nuovo sistema di welfare, in cui possano convergere le coperture pubbliche, le coperture assicurative private individuali, le coperture assicurative collettive, aziendali, di categoria o di territorio, allo scopo di creare una situazione di migliore equilibrio tra le esigenze crescenti delle persone e la possibilità di dare risposte eque e solidali nel loro complesso”. Bisogna dunque uscire dalla trappola deflattiva che oggi finisce col punire gli utenti più deboli e col delegittimare il sistema attraverso il suo progressivo logoramento nei fatti (oltre che nella percezione delle persone), specialmente quando si considerino le prestazioni fornite da strutture di tipo medio.
L'esercizio di far convergere i bisogni dei cittadini con le risposte (rinnovate) del Sistema Sanitario Nazionale costituisce – ed è bene ribadirlo – una parte fondamentale del necessario processo di ricostruzione del ruolo delle istituzioni, la cui adeguatezza è condizione essenziale per ristabilire il consenso e la fiducia tra cittadini e classi dirigenti, che mai come oggi sembrano essersi particolarmente consumati.


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