Dal governo
Il segnale «politico» da cogliere
di Roberto Napoletano (direttore de Il Sole 24 Ore )
La storia di questo risultato “politico” del primo turno delle elezioni amministrative, che coinvolgono 1342 Comuni, inizia e finisce con la storia italiana che appartiene al disagio sociale mai domato e a una persistente fragilità della sua ripresa economica. Perché il consenso di chi è chiamato al governo del Paese negli anni di una crisi senza fine più pesante di quella degli anni Trenta non venga consumato dai tanti populismi, tra loro molto differenti e con alcune spinte civiche al cambiamento da non sottovalutare, bisogna fare le cose difficili.
Bisogna sporcarsi le mani con la più oppressiva e ottusa delle amministrazioni pubbliche nazionali e territoriali (non priva peraltro di valori e intelligenze individuali) e fare in modo che cambino le teste e i comportamenti collettivi prevalenti: uscire dalla cultura delle angherie e delle corruttele per entrare in quella del servizio al cittadino e all'impresa e, soprattutto, nello spirito dei sistemi economico-politici più illuminati al passo con i tempi dove chi vuole rischiare in proprio e creare lavoro qualificato per tutti non è visto come un nemico da osteggiare e angustiare con ogni mezzo ma come un soggetto positivo da incoraggiare nella sua azione e nel suo slancio di intrapresa. Bisogna dare segnali lineari, riscontrabili, con certezza per l'oggi e per il domani, sulla strada della riduzione dell'insostenibile fardello di oneri contributivi e fiscali che ancora grava sul sistema produttivo italiano per trasferire a chi è in casa fiducia duratura e, altrettanto importante, per testimoniare a chi è fuori casa in modo riscontrabile che le cose stanno cambiando e che, quindi, si può, anzi si deve, tornare a scommettere sull'Italia della manifattura, dei servizi e del suo capitale “nascosto” di innovazione, un Paese con il più grande patrimonio storico-artistico-museale al mondo e un talento giovanile ora più consapevole, che non teme confronti. Questa è la dura realtà di cui prima si prende atto meglio è.
Il dato di Milano, da questo punto di vista, è esemplare. Dove l'amministrazione è più efficiente, dove la comunità civile resta un presidio riconoscibile e si percepisce un disegno di sviluppo in cui le forze sane dell'economia si intrecciano positivamente con quelle della cultura e della politica, dove il carico delle diseguaglianze è meno forte, quasi per incanto, la spinta delle correnti populiste si attenua dentro le coalizioni e fuori di esse. Vorrà dire o no qualcosa? Si è detto troppo e fuori luogo sulla storia dell'Expo, prima quando era un disastro assoluto poi quando era un successo mondiale, quello che mi piace sottolineare qui è che in questi anni Milano è tornata ad essere la capitale mondiale della creatività, i servizi pubblici sono migliorati, il ceto imprenditoriale è tornato a scommettere sulla sua capitale economica, il profilo di testimonianza civile e di respiro internazionale si sono accentuati. Questa comunità ha selezionato due candidati che sono espressione della borghesia produttiva e manageriale, ora la contesa si sposta sulla capacità di intercettare la spinta di maggiore partecipazione che pure viene dai movimenti che il voto popolare ha tenuto fuori dai ballottaggi.
L'esito del primo turno delle elezioni, a Roma, offre valutazioni speculari rispetto a quelle di Milano: il degrado morale, politico e amministrativo della Capitale riduce la capacità di selezionare classe dirigente che possa esprimere la parte illuminata della borghesia e quella più sana della storica classe politica e apre, quindi, praterie da percorrere a chi si fa interprete del disagio sociale crescente, della spinta al cambiamento, e dovrà dimostrare di essere all'altezza di gestire l'uno e l'altra offrendo, sul campo, competenze e capacità di governo. Dovrà dimostrare di sapere fare le cose difficili che gli altri non hanno saputo fare, soprattutto, sul terreno della buona amministrazione. Si accorgeranno presto di quanto poco sarà di aiuto la forza delle parole. Ovviamente i romani diranno la loro al ballottaggio ed è buona regola non escludere mai sorprese.
Ha fatto bene il premier e segretario del Pd, Matteo Renzi, a dire chiaro e tondo: non sono soddisfatto, il Pd ha problemi. Queste dichiarazioni confermano il fiuto e la capacità di leadership politica che tutti gli riconoscono. Non commetteremo l'errore di rivendicare il merito di avere sempre segnalato l'esigenza di una politica economica di lungo termine, riscontrabile per linearità e coerenza di impianto, senza indulgenze elettoralistiche vere o presunte che siano, e neppure vogliamo mettere in discussione la spinta riformista che c'è stata ed è sotto gli occhi di tutti sui temi del mercato del lavoro, di riduzione della pressione fiscale, della pubblica amministrazione, della giustizia civile e di un nuovo assetto costituzionale con i necessari contrappesi che non vanno sottovalutati per nessuna ragione al mondo. Quello che vogliamo dire è altro: c'è un passaggio ineludibile, di dura fatica, che può segnare lo spartiacque tra l'oggi e il domani, ed è quello che permette di dare un contenuto effettivo alla riforma della pubblica amministrazione e una linearità visibile di lungo termine negli interventi (che pure ci sono stati) in tema di politica fiscale e di riduzione dei suoi prelievi.
A ben vedere, passa di qui, da queste cose difficili, la capacità di creare quella fiducia piena, indispensabile per innescare una ripresa robusta e duratura in casa e la conquista di quella piena legittimazione di leadership europea necessaria perché arrivi anche nelle nostre famiglie ciò che l'Europa può dare ai cittadini europei e si ostina sciaguratamente a negare. Forse, questo voto amministrativo potrà essere ricordato per il segnale “politico” che è stato capace di lanciare. A patto che venga raccolto e lo si sappia mettere a frutto. Noi speriamo che avvenga.
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