Dal governo
Programmazione inchiodata al palo e legge di stabilità ancora in agguato: Ssn indietro tutta?
di Nino Cartabellotta (presidente Fondazione Gimbe)
Se nel 2014 l’autunno iniziava sotto i buoni auspici del Patto per la Salute, quest’anno arriva in un clima ben diverso: per il Ssn, infatti, aleggia lo spettro di nuovi tagli con la Legge di Stabilità 2016, con la realistica consapevolezza di aver bruciato un anno, di non aver ancora assorbito il colpo della manovra d’estate e di poggiare su un traballante tavolo a tre gambe (Governo, Parlamento, Regioni) fortemente disallineate sulle priorità politiche, economiche e sociali della sanità pubblica.
Infatti, interviste e dichiarazioni d’estate non lasciano trasparire un disegno chiaro e univoco sul destino del Ssn, che da un lato viene idealizzato come conquista sociale irrinunciabile per tutte le persone, dall’altro utilizzato come salvadanaio a cui attingere per esigenze di finanza pubblica.
Il premier Renzi in 19 mesi di Governo non ha mai fatto conoscere le sue idee sulla sanità, intervenendo (di rado) con due tormentoni: ridurre il numero delle poltrone dei manager e uniformare il costo delle siringhe. Ha confermato che in sanità non ci saranno nuovi tagli, ma solo riduzione degli sprechi e che «male che vada, avremo le stesse cifre di quest’anno, cioè nel 2016 le stesse cifre del 2015», ovvero 3,3 miliardi in meno rispetto a quanto stabilito.
Il supercommissario alla spending review Gutgeld ha seminato il panico con il roboante titolo di inizio agosto, che ventilava 10 miliardi di tagli, senza più intervenire per smentire o confermare.
Il ministro Padoan ha dichiarato che sulla sanità «Si può spendere meno e meglio» e che nella prossima legge di Stabilità il Governo «guarderà a tutte le fonti possibili di risparmio».
Il ministro Lorenzin difende il Patto per la Salute perché solo l’applicazione delle misure ivi contenute permettono di recuperare risorse, accusa di irresponsabilità le Regioni per aver rinunciato ai 2 miliardi ed è pronta al braccio di ferro con il Mef per ottenere nel 2016 le risorse previste dal Patto. Nel contempo non riesce a smuovere dalle sabbie mobili il Ddl omnibus che porta il suo nome, fermo da un anno in commissione Bilancio, segnale più di ostacoli politici che di problemi tecnici.
Chiamparino è d’accordo a mantenere in sanità le risorse risparmiate a condizione che i 3,3 miliardi previsti per il 2016 vengano confermati, pena la non sostenibilità del Ssn. Tuttavia, il Presidente è portavoce di una “Conferenza Unificata” solo nel nome, ma di fatto troppo eterogenea per decidere della salute dei cittadini, sia perché non è in grado di sostenere un federalismo solidale, sia perché la politica in diverse Regioni è stata ripetutamente capace di mettere insieme inadempimento dei Lea, conto economico-finanziario negativo, aumento dell’addizionale Irpef ed elevata mobilità passiva. In questo scenario, molte Regioni vogliono ridefinire obiettivi e risorse del Patto dopo che la manovra d’estate ha annullato quanto concordato un anno fa. Il paradosso è che la riduzione del finanziamento, conseguente all’incapacità delle Regioni, permette loro di rinegoziare il Patto in virtù di quanto previsto dall’articolo 30.
Emilia Grazia De Biasi - Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato - rifiuta categoricamente ogni ipotesi di ulteriori tagli alla sanità, teme l’ingresso delle assicurazioni e chiede al ministro Lorenzin e al Governo un maggior coinvolgimento del Parlamento sulle decisioni che riguardano la sanità.
Federico Gelli - responsabile PD per la sanità - sostiene che l’idea di sanità pubblica del suo partito coincide con il dettato costituzionale e che il Ssn è un baluardo fondamentale perché il diritto alla salute dev’essere garantito, affermando senza mezzi termini «Basta tagli, la sanità ha già dato. La difenderemo con le unghie e con i denti. Con i tagli si mette a rischio il Ssn».
A fronte delle parole più o meno rassicuranti dei protagonisti, i fatti testimoniano che il Ssn oggi è vittima di una schizofrenia normativa e legislativa che permette, in ogni caso, alla politica di concorrere al suo “suicidio assistito” senza assumersi alcuna responsabilità, come dimostra la cronistoria:
16 ottobre 2014. La Legge di Stabilità 2015 non prevede “ufficialmente” tagli alla sanità, ma chiede alle Regioni di recuperare 4 miliardi; si riaccende il conflitto istituzionale tra Governo e Regioni che congela l’attuazione del Patto per la Salute;
26 febbraio 2015. Dopo oltre 4 mesi di consultazioni le Regioni, incapaci di formulare una proposta concreta, rinunciano all’incremento del fondo sanitario di oltre 2 miliardi previsto dal Patto; le imminenti elezioni in sette Regioni rimandano continuamente la decisione su “dove tagliare”;
2 luglio 2015. La Conferenza Stato Regioni raggiunge l’accordo sulla proposta di intesa per i tagli alla sanità: 2,352 miliardi per il 2015 e il 2016;
4 agosto 2015. La Camera vota la fiducia al decreto Enti locali che recepisce i tagli.
Nell’ultimo anno, dunque, l’agenda politica della sanità è stata occupata inizialmente dal conflitto istituzionale tra Governo e Regioni riacceso dalla Legge di Stabilità 2015 (ottobre-febbraio), quindi paralizzata per lasciare la scena alle elezioni regionali (marzo-maggio), infine dedicata alla manovra d’estate (giugno-luglio). Questo ha inasprito il clima di grande incertezza aumentando il disagio di pazienti, professionisti e organizzazioni sanitarie che continuano ad aspettare risposte concrete da numerosi provvedimenti rimasti al palo: attuazione dei nuovi Lea, nuovi ticket ed esenzioni, attuazione degli standard ospedalieri, riorganizzazione delle cure primarie, nuove competenze delle professioni sanitarie (comma 566), legge sulla responsabilità professionale, etc.
Nonostante i protagonisti della politica facciano spesso riferimento a un sistema sanitario “tra i migliori del mondo”, la realtà della sanità pubblica italiana è ben diversa e, oggi come non mai, necessita di un riallineamento degli obiettivi politici, economici e sociali di Governo, Parlamento e Regioni, al fine di attuare un’adeguata programmazione sanitaria in grado di disinvestire realmente da sprechi e inefficienze e riallocare in servizi essenziali e innovazioni.
I cittadini italiani e, in particolare, tutti i professionisti e gli operatori della sanità, meritano chiarezza: la politica non può permettersi di sprecare altri 12 mesi fomentando il conflitto tra Governo (che difficilmente si asterrà dall’attingere al salvadanaio del Ssn nella Legge di Stabilità 2016) e Regioni (che continueranno a trincerarsi dietro lo slogan “no money, no Patto”), lasciando al Parlamento il ruolo di “spettatore innocente”. Anche perché, se la politica rilascia continue (e discordanti) dichiarazioni, l’intermediazione assicurativa si insinua strisciando tra le incertezze delle Istituzioni e contribuisce a demolire impietosamente l’articolo 32 della Costituzione e il modello di un Ssn pubblico, equo e universalistico.
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