Aziende e regioni

Un nuovo Ssn possibile tra analisi delle performance e “progetto Schillaci”. Ma sulla dorsale di ospedali pesano i temi risorse e mappa dei centri

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Occorre tirare fuori la capacità di mantenere il più possibile in salute la persona umana, così come la chiama la Costituzione. Questo è l’indicatore per assicurare alla Nazione una assistenza sociosanitaria equa e parimenti distribuita.
Due grandi temi sul tappeto: uno riguarda l’improrogabile interesse a ben leggere il fabbisogno epidemiologico e organizzativo del Ssn e l’altro di offrire una soluzione strutturale per incrementare l’offerta del suo potenziale terapeutico e riabilitativo.
Il primo fonda il suo strumento di lettura e apprendimento nel report pubblicato dall’Agenas sulla “Valutazione della performance delle aziende sanitarie pubbliche, ospedaliere e territoriali” (si vedano qui due articoli del 28 e 29 novembre scorso ). Ciò perché è funzionale a individuare la messa a confronto delle cause delle patologie con l’inadeguatezza dell’offerta, una comparazione utile anche per disegnare la migliore prevenzione possibile. Un documento prezioso da studiare al di là dei saldi, ma soprattutto nei particolari costituenti le origini degli esiti valoriali finali. Negli addendi insomma, atteso che “l’essenziale non è visibile agli occhi” (Il Piccolo principe docet).
Il secondo trova la riscrittura nell’insediamento a sistema di circa una dozzina di strutture ospedaliere di riferimento nazionale (si veda un articolo di Bartoloni su IlSole24Ore del 29 novembre scorso).
Nella sostanza, dall’insieme dell’elaborato scientifico e della proposta ministeriale si comprende la necessità di:
- cambiare i modelli erogativi sociosanitari e di implementare quelli di ricognizione delle esigenze improrogabili di salute dell’intera collettività destinataria di una tutela non propriamente efficace, distinta per comunità regionali e aziendali;
- mutare le reti assistenziali, dal momento che quelle attuali non sono affatto sufficienti a risolvere il grande problema della mobilità passiva, eccessiva nel Mezzogiorno, tanto da sfiancarlo nella sostenibilità dei bilanci.
Il tutto, tenuto conto della occorrenza di dovere affrontare l’immissione nelle fasi della determinazione dei dati che costituiscono la base ineludibile per l’attività gestoria e operativa che si andrà, tra non molto, ad affrontare con l’intelligenza artificiale. Vediamo di iniziare ad affrontare l’utilità dei due eventi in procinto di mettere in campo l’IA nella tutela della salute. Una entry dai contorni ancora non definiti, caratterizzata dalla preoccupazione di non potere godere di dati certi sui quali potere fondare una elaborazione e da una messa terra di soluzioni autoalimentate.
Il Report Agenas
Così come fa un buon sarto, al momento del taglio della stoffa principe di Galles, nel prestare la dovuta attenzione “scientifica” a che il vestito si ritrovi la esatta combinazione dei quadri sia nel davanti che nel dietro, la stessa cosa dovrà avvenire con i dati in pasto alla IA, per evitare che la stessa fornisca risultati affetti da schizofrenia. Bene a questo si potrà lavorare tenendo a base il gran lavoro fatto dall’Uosd “Statistica e Flussi informativi sanitari” dell’Agenas” che costituisce “nu bon ‘ncuminciu” (alias un buon inizio, scritto nel dialetto del grande Renato Guttuso) per conseguire l’efficienza del Ssn, sino ad oggi al di sotto dell’accettabile. Un modo, questo, per fare guadagnare all’IA il diritto a un siffatta specifica denominazione, atteso che il lavoro preparatorio ad essa richiede minuziosità e correttezza di rilevazione, da parte dell’intelligenza umana, per assicurare una elaborazione dei dati e un risultato - per l’appunto – intelligente.
Ciò in quanto la ratio iniziatica e la metodologia seguita per pervenire all’anzidetto risultato si caratterizzano, rispettivamente, per la non procrastinabile esigenza storica insoddisfatta di sapere le reali condizioni di salute della popolazione e per una elaborazione di rilevazioni non affatto assunte superficialmente bensì raccolte su basi severamente scientifiche.
Il Report Agenas – allo stato delle cose limitato all’esame performativo delle aziende sanitarie pubbliche ospedaliere e in attesa che venga perfezionato quello dell’assistenza territoriale - costituisce uno strumento interpretativo di fondamentale importanza, in attesa di una puntuale rilevazione di quest’ultima. Ciò, in quanto una parte consistente di quanto le compete è stata sino ad oggi delegata all’attività di pronto soccorso, a causa di una più che evidente carenza di una continuità assistenziale efficiente. Di conseguenza, è proprio da quella ospedaliera che può essere desunto il fabbisogno epidemiologico del territorio di riferimento, attraverso la riconducibilità ad esso della domanda dell’utenza.
Insomma, questa tipologia di report può, a ben donde, essere considerata attraverso il saldo performativo di spedalità - sino a quando non prenderà corpo una efficiente assistenza distrettuale - il “vocabolario” interpretativo di ciò che accade nel territorio e, a fronte di questo, rappresentare lo strumento per riscrivere la grammatica dell’assistenza alla persona, ove questa vive e lavora, ed elaborare le mappe di rischio epidemico endemico e sopravveniente.
Una nuova mappa dell’assistenza ospedaliera
L’idea di costruire una “dorsale” (Bartoloni dixit”) lungo l’Appenino di strutture ospedaliere che assumano “uno status speciale”, di apprezzabile e rinnovata offerta assistenziale, costituisce una idea felice e, per molti aspetti, di tutela alla emergenza che pone in essere la mobilità passiva dal sud verso il nord. Non sono tollerabili, sia per gli equilibri dei bilanci regionali che per le famiglie spesso destinate a vendere tutto per guadagnare un po’ della sanità che spetta loro, quattro miliardi di euro che viaggiano sui treni di lungo raggio. Prescindendo dalla generazione della insostenibilità di un siffatto fenomeno, l’idea di lavorare a nuovi standard di riferimento assistenziale lascia trasparire l’idea del ministro Schillaci di volere mettere mano da subito ai Lea. Ciò indipendentemente dalle difficoltà di tempo create alla loro rideterminazione da parte del Clep, generate dalla recente decisione della Consulta sul regionalismo differenziato, appresa solo in nota stampa e in attesa di essere studiata in sentenza. Un accaduto che di certo ritarderà l’introduzione a regime del federalismo fiscale – e con esso dei costi e fabbisogni standard – e il conseguente abbandono dell’odiosa spesa storica.
Il fatto rappresenta comunque il “coraggio” di un ministro di andare oltre il finanziamento, oramai obsoleto, del Fondo sanitario nazionale. Eh già perché suppone di finanziare un tale passo innovativo - di insediare lungo lo Stivale, almeno 10 «ospedali nazionali di riferimento» di avanguardia, attrattivi per tutta la Nazione, specie per quella più diseredata – con fondi certamente vincolati allo scopo. Ciò sia nella parte riguardante l’intervento di ristrutturazione immobiliare che in quella afferente alle attrezzature, dotazioni e personale, quest’ultimo da assumere senza vincoli e in valori sufficienti a coprire gli organici occorrenti.
Il tema sarà quello di comprendere da dove usciranno i quattrini. Orazio Schillaci da uomo accorto avrà, di certo, già individuato le fonti finanziarie cui accedere, per generare una sorta di “urbanistica” nazionale dell’offerta ospedaliera di pregio, alternativa ai blasonati Hub del nord e ai sempre validi Irccs che attirano pazienti da tutto il Sud.
Il problema che troverà sarà la definizione del suo “piano regolatore”, nella parte in cui individuare dove nel Paese e dove nelle regioni, nel senso di scegliere in quali strutture esistenti effettuare il magnifico programmato intervento di riqualificazione dell’offerta di salute del Ssn.


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