Aziende e regioni
Le compartecipazioni ai costi delle Rsa tra Lea, contenzioso e riforma nazionale
di Laura Pelliccia *
24 Esclusivo per Sanità24
Nello scorso decennio si sono alternati diversi orientamenti giurisprudenziali rispetto alla misura del concorso del Ssn ai costi delle Rsa. La questione è tornata all’attenzione delle cronache negli ultimi mesi a seguito di pronunce che hanno disposto il pagamento del 100% degli oneri da parte del Ssn a singoli assistiti; i ricorrenti hanno dimostrato di aver ricevuto prestazioni sanitarie durante la permanenza in struttura. Pur avendo le sentenze effetti diretti solo tra le parti, hanno indotto aspettative nei cittadini, i quali hanno cominciato a interrompere il pagamento delle rette, con un impatto sull’equilibrio economico finanziario delle strutture; il contenzioso in tema di compartecipazione al sociosanitario è in costante aumento, con un impatto che si propaga anche in altri ambiti come quello ospedaliero (pazienti non autosufficienti, dopo la fase acuta, rifiutano le dimissioni e richiedono l’inserimento in Rsa, con costi interamente a carico del Ssn, rallentando il turn-over nosocomiale).
Per l’assistenza residenziale agli anziani oggi i Ssr spendono circa 3,6 miliardi. Un valore analogo è finanziato a carico delle famiglie a titolo di compartecipazione ai costi in strutture di lungoassistenza.
Nel Paese è in corso l’implementazione della riforma delle politiche per le persone anziane, pilastro previsto dal Recovery Plan (Legge delega 33/2023 e Dlgs 29/2024).
Cosa prevedono i Lea per questa casistica e quale assistenza viene oggi assicurata nelle Rsa
Le regole di riparto tra quota sanitaria (a carico del Ssn) e quota sociale (a carico di famiglie/ comuni) sono state definite dal Dpcm Lea del 12/1/2017. Il recente provvedimento di riforma dell’assistenza agli anziani (Dlgs 29/2024, art. 31) ha confermato che i criteri di compartecipazione del Ssn per l’assistenza residenziale agli anziani non autosufficienti sono quelli dell’art. 30 del Dpcm Lea.
Il legislatore nel citato articolo 30, non usa il termine Rsa, ma individua due categorie funzionali per classificare tale servizio:
a) I trattamenti estensivi che hanno l’obiettivo di assicurare cura e recupero funzionale per gestire esigenze temporanee (“di norma non superiori a 60 gg”);
b) I trattamenti per assicurare lungoassistenza, recupero e mantenimento funzionale, ivi compresi interventi di sollievo per chi assicura le cure, a persone non autosufficienti.
Solo per la prima casistica, quella per inserimenti temporanei (per cui sono definiti standard superiori, ad esempio la presenza infermieristica sulle 24 ore), i Lea prevedono il totale carico da parte del Ssn, mentre per la fase di lungoassistenza il Ssn compartecipa al 50% dei costi complessivi del servizio. Il Dpcm prevede che la lungoassistenza si sostanzi in prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative, assistenza infermieristica e protesica, attività di socializzazione e animazione: quindi un mix di prestazioni sanitarie e socioassistenziali.
A partire da questo zoccolo comune di regole nazionali le regioni hanno definito le proprie tipologie di servizi. Le Rsa, a seconda delle scelte organizzative regionali, possono essere coinvolte su entrambe le categorie. Negli stessi nuclei Alzheimer, a seconda della mission assegnata dagli standard che le regioni hanno definito per questo servizio, si può ricevere assistenza estensiva per inserimenti con obiettivi temporanei o lungoassistenza. Il diritto al totale carico del Ssn è previsto nei Lea solo nella prima categoria.
Quale tipo di assistenza viene oggi erogata nelle Rsa? La componente sanitaria è quella prevalente? I dati sul mix professionale delle strutture e alcune analisi sugli standard previsti dalle normative regionali fotografano un assetto tale per cui, sul totale degli organici, le figure sanitarie sono presenti ma con un peso limitato (l’incidenza degli infermieri è inferiore al 20% e, il totale dei professionisti sanitari non arriva al 25%), con una netta prevalenza delle figure socio-assistenziali .
Le difficoltà nel reperimento di personale non incoraggiano l’adeguamento degli organici alle caratteristiche dell’utenza. La recente riforma dell’assistenza agli anziani ha operato a risorse invariate, non consentendo l’adeguamento degli standard alla sempre maggiore compromissione degli ospiti delle residenze e senza introdurre strumenti per migliorare l’attrattività del lavoro in questo settore. È utile ricordare peraltro che, proprio per l’assenza di risorse aggiuntive, il decreto di riforma approvato a marzo non ha trovato il consenso della Conferenza delle regioni.
Le criticità contingenti, i rischi e le aspettative
Ci si domanda che relazione ci sia tra le pronunce giurisprudenziali e i Lea applicati dai Ssr: nel riconoscere il diritto all’esenzione dai costi a singoli anziani inseriti in Rsa per esigenze di lungoassistenza (ovvero ai tipici ospiti di queste strutture), sembra che la giurisprudenza si aspetti i Ssr un’erogazione extra Lea da parte dei Ssr. Un evidente disallineamento tra l’interpretazione giurisprudenziale e l’applicazione dei Lea da parte delle regioni che meriterebbe un tempestivo intervento chiarificatore della programmazione nazionale per assicurare equità a livello Paese. C’è bisogno di chiarezza sulle regole sulle tipologie/standard dei vari servizi e sui criteri di eleggibilità per accedervi.
Nell’attuale contesto della finanza pubblica è irrealistico immaginare che il Ssn – che oggi tendenzialmente copre il 50% degli oneri - possa trasformare la propria compartecipazione al 100% per tutti gli ospiti. Nella consapevolezza della necessità di garantire l’equilibrio economico di sistema, sarebbe iniquo perpetuare una situazione, come quella attuale, in cui il beneficio del 100% viene garantito solo a chi può permettersi di intraprendere un contenzioso (spesso sono gli eredi a fare ricorso, con il risultato che sembrano più tutelati i defunti rispetto alle persone che oggi avrebbero bisogno di poter accedere alle Rsa a una tariffa per loro sostenibile).
La programmazione dovrebbe invece intervenire per assicurare il carattere universalistico di tale servizio, in un contesto in cui, invece, elevati livelli di compartecipazione sulle famiglie già oggi ostacolano l’effettiva accessibilità alle residenze per chi non ha disponibilità economiche elevate o costringono le famiglie che non possono fare a meno di tale servizio all’impoverimento (non a caso crescono gli episodi di contenzioso con la P.A.).
Ci sarebbe bisogno di un intervento dei policy maker anche per evitare che, l’eco delle pronunce, diffonda un’aspettativa per un intervento del Ssn del 100% nelle residenze, generando una disparità tra i diritti dei cittadini in questo setting e gli interventi assicurati alle stesse persone non autosufficienti gestite al domicilio o nei centri diurni (al domicilio la responsabilità del Ssn è molto più limitata).
Se il legislatore volesse estendere rispetto alle attuali previsioni/applicazioni dei Lea le condizioni in cui la sanità si fa carico del 100% dei costi delle residenze, oltre a reperire le risorse necessarie, dovrebbe scegliere quali esigenze meritano di più il rafforzamento del sostegno del Servizio sanitario. La scelta potrebbe ricadere sulle situazioni in cui le persone raggiungono il più elevato livello di compromissione nelle funzionalità (nella fase terminale quando necessitano di interventi di ventilazione meccanica, ossigenoterapia continua, nutrizione enterale/parenterale); le politiche sanitarie potrebbero dunque ricercare il potenziamento dei nuclei di assistenza residenziale extraospedaliera ad elevato impegno sanitario (art. 29 dei Lea). Questo tipo di scelta risponderebbe in toto ai bisogni delle famiglie? Spesso il ricorso da parte delle famiglie alle Rsa (specie in presenza di Alzheimer) avviene nelle fasi in cui l’anziano è ingestibile al domicilio a causa di problemi comportamentali e per il venir meno di alcune autonomie. Bisognerebbe evitare che sia quella la fase in cui il servizio residenziale risulta più oneroso per gli utenti e il paradosso che, solo dopo l’aggravamento, nelle condizioni cliniche estreme/terminali, il servizio diventi a totale carico del Ssn. Una tale regola non incoraggerebbe peraltro gli sforzi delle strutture per il mantenimento delle funzioni dell’anziano e per rallentarne il decadimento. Diverse proposte di riforma da parte di esperti del settore avevano auspicato, per le demenze, il passaggio di un concorso del Ssn dal 50 al 70%.
Infine, una questione di cui la giurisprudenza non sembra essersi sinora occupata, è quella del rapporto tra gli oneri a carico del Ssn e gli altri benefici a carico della finanza pubblica per la non autosufficienza. Si ricorda infatti che non si ha diritto all’indennità di accompagnamento per i periodi di inserimento in strutture con oneri a totale carico della finanza pubblica. I cittadini che ottengono in giudizio l’esenzione retroattiva dai costi delle strutture devono restituire l’indennità di cui hanno goduto e i benefici fiscali sulle quote di compartecipazione? Cosa succederà per il futuro? Ci dobbiamo aspettare un trasferimento di oneri dall’Inps al Ssn? In una fase di riforma dove si dovrebbero promuovere logiche di sistema per fare rete tra i vari programmi pubblici, il legislatore dovrebbe occuparsi anche di questo raccordo. Una policy di sistema dovrebbe peraltro prevedere un rafforzamento dei sostegni di welfare sociale (il Dlgs 29/2024 non sembra aver inserito gli interventi dei comuni per l’assistenza residenziale nel perimetro degli interventi su cui si costruiranno i Leps).
* Analista di politiche sociosanitarie, collaboratrice di lombardiasociale.it e welforum.it
Una versione più estesa del presente articolo è disponibile in https://www.welforum.it/le-compartecipazioni-nellassistenza-residenziale-agli-anziani-tra-ricorsi-e-lea/ a cui si rimanda per maggiori dettagli
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