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Tumore al seno, estendere lo screening alla fascia 45-74 anni costa 140 milioni. Oggi adesione inchiodata al 55,4% con 40% al Sud fanalino di coda

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«Nell’ultimo decennio la sopravvivenza delle pazienti a cinque anni dalla diagnosi di tumore al seno è aumentata di circa l’88%. Un dato forte e significativo che dobbiamo sia ai progressi della ricerca, che offre sempre migliori possibilità di cure, sia ai programmi di screening. La diagnosi precoce è infatti un elemento cruciale per la presa in carico ottimale delle pazienti: nella maggior parte dei casi, garantisce interventi chirurgici più conservativi e maggiore efficacia delle terapie. Nonostante queste evidenze, tuttavia, i dati di adesione ai programmi di screening organizzati dalle Regioni sono ancora troppo bassi: l’ultimo rapporto dell’Osservatorio nazionale screening 2023 riporta un’adesione media nazionale all’invito pari al 55,4%, così ripartita: 65,3% al Nord, 54% al Centro e 40,1% al Sud e nelle Isole». Lo ha detto Paola Mantellini, direttrice dell’Osservatorio nazionale screening, in occasione della presentazione alla Camera del Policy Brief di Europa Donna Italia “Diagnosi e Screening: obiettivi e richieste per un concreto diritto alla salute”. Il documento analizza le ragioni alla base della ridotta partecipazione agli screening mammografici organizzati nel nostro Paese, con l’obiettivo di indirizzare scelte politiche, nazionali e regionali, che migliorino l’adesione delle donne e incrementino l’equità e l’efficacia dei programmi di diagnosi precoce del tumore al seno.
«Sono dati che fanno riflettere – ha affermato Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia – e ci obbligano a fare la nostra parte per proporre alle istituzioni azioni di intervento volte ad aumentare l’adesione allo screening e superare le inaccettabili diseguaglianze all’accesso, oggi ancora molto forti. Basti pensare che solo 5 Regioni su 20 oggi offrono alle donne lo screening nella fascia di età allargata 45-70 anni, e chi ha un aumentato rischio per familiarità di tumore al seno non ha un percorso di prevenzione dedicato».
Sono sintetizzate in tre punti le richieste presenti nel Policy brief, rivolte a istituzioni e decisori politici, e riguardano, per l’appunto: l’allargamento della fascia di età in cui viene proposto lo screening mammografico; le modalità e gli strumenti comunicativi utilizzati dalle Regioni per invitare le donne ad aderirvi, che superino la tradizionale lettera a casa per prediligere forme di comunicazione più moderne ed efficaci; e la necessità di identificare in modo puntuale e tempestivo, fin dal primo accesso, un eventuale rischio eredo-familiare della donna, per poterla inserire in un percorso di prevenzione personalizzato.
Mentre la comunità scientifica e sanitaria internazionale sta suggerendo di estendere la fascia d’età degli screening mammografici dai 45 ai 74 anni, Europa Donna Italia registra una forte disparità di programmazione nel nostro Paese, con alcune Regioni disponibili a questa estensione, ed altre – ad oggi sono quindici – restie ad avviare programmi più vasti di quelli attualmente in vigore, che prevedono lo screening dai 50 ai 69 anni di età.
«Per garantire una copertura uniforme a livello nazionale, includendo tutte le donne tra i 45 e i 74 anni nei programmi di screening mammografico, con il patrocinio di Europa Donna abbiamo sviluppato un’analisi economica – dichiara Eugenio Di Brino, Co-Founder & Partner di Altems Advisory, spin- off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – in cui stimiamo un costo complessivo pari a circa 140 milioni, che rappresenta la somma del costo necessario per mantenere la copertura nelle Regioni in cui l’estensione è già attiva e la somma necessaria per estenderla alle Regioni che non lo hanno ancora fatto. Questo incremento dei costi è giustificato dall’importanza della diagnosi precoce del carcinoma mammario, che può ridurre non solo la mortalità, ma anche i costi associati ai trattamenti oncologici avanzati, comportando un impatto positivo sia sulla salute delle pazienti che sulla sostenibilità economica del nostro Servizio sanitario nazionale».
«Ci auguriamo che a questo nostro Quaderno di Policy Brief – conclude Rosanna D’Antona – seguano al più presto risposte concrete e risolutive da parte delle istituzioni, in un periodo che ci sembra particolarmente favorevole, vista la spiccata attenzione che autorevoli rappresentanti della politica sanitaria, tra cui lo stesso ministro della Salute, hanno dedicato a questo tema. Siamo certamente consapevoli che la realizzazione di quanto richiediamo nel nostro documento debba essere sostenuta anche dalle istituzioni regionali impegnate a rendere attuative le proposte sul territorio: a questo proposito, le associazioni di volontariato della nostra rete – più di 190 in tutta Italia – sono sin d’ora disponili a collaborare con gli assessorati e le Direzioni di competenza, affinché si possa guardare con speranza e fiducia al prossimo futuro».


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