Aziende e regioni
Le posizioni del ministro Schillaci sulla sanità, le verità sulla manovra e lo stato dell’arte sul payback dispositivi
di Stefano Simonetti
24 Esclusivo per Sanità24
In una intervista rilasciata il 26 ottobre alla edizione fiorentina del Quotidiano nazionale, il ministro della Salute Schillaci ha trattato i principali temi dell’attuale dibattito pubblico sulla sanità. In cinque domande molto specifiche fatte dalla giornalista, sono stati toccati i punti più controversi a cominciare dal finanziamento del Ssn rispetto al quale, tuttavia, non entro in un dibattito che chiama in causa percentuali del Pil, inflazione, sprechi regionali, record di stanziamenti mai visti, ecc. : le posizioni contrapposte sono radicate e fortemente distanti per immaginare un qualsiasi punto di convergenza. Anche in merito alla presunta privatizzazione e smantellamento della Sanità pubblica, prendo atto solo della perentoria affermazione del ministro riguardo al privato accreditato e a “quanto sia impensabile abolirlo”. Anche la asserita volontarietà delle prestazioni aggiuntive, peraltro detassate, non mi appassiona perché è una questione che coinvolge tropi aspetti diversi e delicati. Quelle accennate sono tematiche controverse e molto influenzate in entrambe le parti da posizioni a volte precostituite e quasi sempre troppo trancianti.
Quello che invece merita alcune osservazioni sono dei passaggi dell’intervista nei quali si rilevano inesattezze o imprecisioni. Senza alcun intento polemico, tento di fare un intervento denotativo e non connotativo perché penso che una terminologia appropriata e la disambiguazione rendano più oggettivo il dibattito, anche perché, secondo la celebre battuta di Nanni Moretti, “le parole sono importanti”, specie quando il clima generale è così surriscaldato.
• quando viene detto “questo governo ha rimesso al centro la sanità”: forse manca la parola “pubblica”, ma non è detto che sia una dimenticanza;
• viene ricordato “con l’aumento in busta paga del 6%, con l’indennità di specificità”: il primo argomento – per la precisione è del 5,78% - non riguarda soltanto i medici ma è esattamente quanto previsto per tutti i dipendenti pubblici per il rinnovo del triennio 2022-2024 che è ormai a due mesi dalla scadenza e che per i dirigenti sanitari è lungi dall’arrivare perché, non solo non sono iniziate le trattative, ma non è neanche stato redatto l’Atto di indirizzo. Per la indennità di specificità gli importi previsti dal Ddl Bilancio 2025 sono i seguenti: indennità di specificità medico-veterinaria (art. 61) = € 32 mensili; indennità di specificità sanitaria (art. 62) = € 30 mensili; indennità di specificità infermieristica (art. 63, c. 1) = € 11 circa mensili ; indennità tutela del malato (art. 63, c. 2) = € 10 circa mensili;
• si fa riferimento “ad altri operatori sanitari come farmacisti e biologi” : la denominazione “operatori sanitari” non la accettano più nemmeno gli Oss e aver citato soltanto due professioni non credo abbia fatto piacere a chimici, fisici, psicologi e dirigenti infermieristici e tecnico-sanitari;
• l’affermazione “da medico conosco i medici meglio dei sindacalisti” è piuttosto impegnativa e la replica dovrebbe spettare ai sindacati. Forse per il suo passato da Rettore e Preside il ministro conosce meglio i medici universitari;
• se “le liste d’attesa sono un fenomeno dovuto a una cattiva organizzazione”, forse ci si dovrebbe rivolgere alle 15 Regioni governate dalla sua stessa parte politica.
Infine la questione più complessa, quella relativa alle vicende del cosiddetto payback che è intricatissima riguardo a una sorta di disallineamento diacronico che provo a riassumere. Lo strumento finanziario del payback sui dispositivi medici è un meccanismo che prevede che le aziende fornitrici di dispositivi medici debbano restituire una quota del proprio fatturato qualora la spesa complessiva delle Regioni superi i limiti stabiliti. Tuttavia, tale sistema, introdotto con uno scopo mirato a salvaguardare le finanze pubbliche e a rimediare a una cattiva programmazione e gestione delle spese, diventa un onere per le imprese, soprattutto quelle biomedicali. Nasce con l’art. 9-ter, comma 9, della legge 125/2015 mentre quello sui medicinali – molto più lineare - risale invece alla legge 296/2006 e da allora funziona abbastanza bene. Il primo, invece, è decisamente più complesso e, soprattutto, contestato in quanto non sono stati mai definiti con chiarezza i criteri applicativi. Per tale motivo per alcuni anni è rimasto lettera morta e il Governo è tornato ad attivarlo solo nel 2022. Tuttavia, circa 2.000 ditte produttrici avevano impugnato al Tar del Lazio il decreto del ministro della Salute, di concerto con il Mef, del 6 luglio 2022 e il Giudice amministrativo ha ritenuto di rimettere la questione alla Corte costituzionale con 16 ordinanze distinte. Nel frattempo il Governo subentrato ha adottato una norma cautelativa che, nelle more del giudizio davanti alla Consulta, garantisse in ogni caso alle Regioni la quota spettante. Si tratta dell’art. 8 della legge 56/2023, di conversione dell’ormai famoso “decreto bollette”. Le intenzioni dell’esecutivo erano chiare: assumere a carico dello Stato gli oneri finanziari del payback nell’ipotesi in cui il contenzioso fosse stato favorevole ai produttori; si tratta di una fondo di 1.085.000 milioni di €. Nel contempo si prevedeva che le aziende, qualora non avessero attivato un contenzioso o rinunciato allo stesso, avrebbero potuto versare a ciascuna Regione, entro il 30 giugno 2023, in luogo della quota intera, una somma pari al 48% di quanto dovuto a titolo di contributo al ripiano. Insomma, un accollo di costi da parte dello Stato per chi aveva fatto causa e un classico condono per gli altri. Questo diverso trattamento è stato ritenuto incostituzionale e il comma 3 del citato art. 8 dichiarato illegittimo “nella parte in cui non estende a tutte le aziende fornitrici di dispositivi medici la riduzione al 48 per cento della quota determinata dai provvedimenti”. Solo per completezza di esposizione, si segnala che la quota maggiore era della Toscana con 206 ml di € quella minore del Lazio e della Campania con 0 € e quest’ultima, infatti, ha ricorso alla Corte costituzionale che le ha dato torto (sentenza n. 139/2023, la stessa che ha cassato l’art. 8, comma 3, di cui sopra).
Così ricostruito lo scenario come è evoluto negli anni 2022 e 2023, si deve dare atto che gli avvenimenti successivi hanno preso una direzione diversa perché la Corte Costituzionale, con la sentenza dello scorso luglio pubblicata lo stesso giorno di quella già ricordata relativa all’impugnazione della Regione Campania, ha ritenuto legittimo il payback sanitario. La sentenza n. 139 del 24.7.2024 ha ritenuto non fondate, quanto al quadriennio 2015-2018, le questioni di legittimità costituzionale della legge del 2015 sollevate dal Tar Lazio in relazione ai rimborsi dovuti dai produttori/fornitori.
Le basi giuridiche su cui si fonda la decisione della Consulta e come esse si conciliano con i diritti delle imprese del settore biomedicale possono essere sintetizzate dalle stesse affermazioni contenute nelle motivazioni della pronuncia: “esso non è irragionevole poiché pone a carico delle imprese un contributo solidaristico che trova giustificazione nell’esigenza di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute”. Prosegue la sentenza con una precisazione utile per comprendere la odierna diatriba: “individua esplicitamente sia i soggetti su cui grava l’obbligo (le imprese che hanno venduto agli enti del Ssn dispositivi medici) ….”.
Ecco perché il ministro dice “non ho capito perché io governo devo pagare i conti di altri”: gli “altri” sono le ditte produttrici e se, come ha proseguito, la trova “una legge sbagliata”, la legge in questione va semplicemente cancellata. In conclusione - e al netto di ulteriori interventi legislativi - allo stato attuale i rimborsi devono essere pagati dalle ditte e non certo dallo Stato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA