Aziende e regioni

Federalismo: sul territorio l’assistenza sociosanitaria è diventata frammentaria e diseguale

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

L’evoluzione dell’assistenza sta arrivando dove sarebbe stato più logico farla partire: l’assistenza sociosanitaria. Quel modus operandi che si pone l’obiettivo di realizzare concretamente il sistema integrato dei servizi sociali, socio-sanitari e sanitari. In buona sostanza, il welfare delle comunità territoriale, regionale e locale, attuativo della programmazione elaborata dalle Regioni e pianificata dai Comuni in una logica di insieme ugualitario e uniforme. Il tutto condotto a buon fine attraverso l’impegno continuativo e costante di una regia regionale, tenendo conto della normativa sviluppata dalla Regione nell’esercizio della competenza esclusiva quanto all’assistenza sociale. Ciò in una logica di sviluppo concertato tra amministratori locali e decisori regionali e sviluppato nelle politiche sociali.

Peccato che, dal 2001 in poi, con la revisione del Titolo V, Parte II, che ha assegnato alle Regioni l’assistenza sociale alla competenza residuale, legislativa e regolamentare, tutto è divenuto frammentario e diseguale. L’unica fortuna è stata quella che le molte Regioni inattive nel regolare la materia hanno tenuto conto, erroneamente, che la stessa fosse da considerare materia concorrente e, dunque, da trattarsi in armonia alle legge nazionale 328/2000. Una legge voluta da Livia Turco per avviare una complessiva riorganizzazione della sicurezza sociale, da ritenersi sino ad un anno prima della revisione costituzionale del 2001, come la normativa quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. E’ così avvenuto che le Regioni hanno continuato a trarre da essa, omettendo ciò che avrebbero dovuto fare con una propria regolazione, non solo di dettaglio bensì anche in relazione ai principi fondamentali, la modalità e i termini di messa a terra la propria assistenza sociale. Tutto è quindi avvenuto con questa regola ma senza quattrini, tanto da registrare differenze negative tali tra l’indispensabile e il finanziato, da consentire uno speso che ha lasciato scoperto la gran parte dell’essenziale, con notevole disagio delle Regioni più povere. Una modalità della quale il legislatore attuativo del federalismo fiscale ebbe nel 2009 (legge delega nr. 42) e con i successivi decreti delegati ad assicurare all’assistenza sociale la copertura ovunque dei servizi al 100%, mediate una perequazione del 100% per quelle Regioni incapaci a coprirne i relativi Lep per insufficienza del proprio gettito fiscale. Si è venuta così a creare una situazione angosciosa per i bisognosi di assistenza sociale, soprattutto per i disabili, per come configurato nel recente “Rapporto annuale sull’assistenza sociosanitaria” del Ministero della Salute ancorata ai dati riconducibili al 2022. Nello stesso vengono infatti certificate le vergognose differenze di finanziamento ad personam, che segnano quote pro capite cosi differenziate da rendere impossibili in alcune aree finanche il minimo dei servizi utili.

I 1.300 euro a persona disabile residente in Lombardia contro i 750 euro per quelli che vivono in Calabria sono dimostrativi che l’unità sostanziale della Repubblica dei diritti sociali è di là da venire. Una consistenza giuridico-economica fatta di acute diseguaglianze, tenendo conto che l’anzidetto finanziamento a disabile è comprensivo sia delle prestazioni economiche (previdenze non contributive) che di costi per i servizi sociosanitari resi. Praticamente un fallimento, ove il disabile e la sua famiglia vivono sulle loro spalle gli esiti di questa triste bancarotta sociale. Non solo. Continuando così, senza mettere a terra il federalismo fiscale, andrà sempre peggio, specie in quelle regioni, del tipo la Calabria, che rimarranno abitate solo da anziani.

Quanto ai deboli occorrerà fare altro e tanto. Arrivando ogni Regione ad assumersi il carico totale della persona in difficoltà sin dalla nascita e per sempre, rendendo disponibile una integrazione attiva sia nella frequenza scolastica e nei supporti facilitativi nel lavoro, nonché assicurando una tutela dopo di loro, intendendo per questi ultimi i loro genitori, impegnati una vita a garantire una funzione ancillare.


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