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Liste d’attesa: le Regioni danno parere negativo al decreto, necessari più fondi e cambiare l’art.2

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24 Esclusivo per Sanità24

Parere negativo al decreto legge sulle liste d’attesa da parte della Conferenza delle Regioni che chiede “l’accoglimento della proposta di modifica all’articolo 2, tesa, in una logica di leale collaborazione, a migliorare il testo del decreto e a renderlo rispettoso delle competenze e delle prerogative di ciascun livello istituzionale come previsto dalla Costituzione”. L’articolo 2 che le Regioni vogliono stralciare prevede “un Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria che ha il compito di vigilare e svolgere verifiche presso le aziende sanitarie locali e ospedaliere e presso gli erogatori privati accreditati”. Secondo il parere delle Regioni, presentato in sede di Conferenza Stato-Regioni, tale formulazione è “quanto meno lesiva del principio di leale collaborazione” e presenta “dei profili di illegittimità costituzionale”. Per questo è “quantomeno necessaria una riscrittura condivisa di questo articolo, che, nel prevedere lo svolgimento dei monitoraggi e dei controlli delle prestazioni sanitarie sulla base di dati raccolti nella Piattaforma nazionale delle liste di attesa di cui all’articolo 1, abbia un chiaro riferimento nella collaborazione interistituzionale e nel rispetto delle rispettive competenze istituzionali: lo Stato controlla le Regioni, le Regioni controllano le aziende sanitarie e si confrontano con il livello ministeriale”. “Non è condivisibile che gli esiti delle verifiche costituiscano elementi di valutazione del ministero della Salute - ribadiscono le Regioni - ai fini dell’applicazione di misure sanzionatorie e premiali nei confronti dei responsabili regionali o aziendali, inclusa la revoca o il rinnovo dell’incarico in quanto tale valutazione rientra nelle competenze regionali”.

Le Regioni fanno poi notare che “un’efficace attuazione di misure di contenimento dei tempi di attesa non può prescindere dalla disponibilità di congrue risorse economico-finanziarie aggiuntive e di adeguate risorse umane”. “L’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati, l’assunzione di personale ed il ricorso alle prestazioni aggiuntive (preferibili rispetto all’attività libero professionale intramuraria), lo svolgimento di attività sanitaria in orario notturno, prefestivo e festivo, gli indispensabili adeguamenti tecnologici e gli aggiornamenti informatici, necessitano di un’adeguata disponibilità di risorse economiche e di personale - si rimarca nel parere -. E’ necessario procedere alla quantificazione dei maggiori oneri attesi, all’esplicitazione delle risorse disponibili a legislazione vigente ed al reperimento delle risorse eventualmente mancanti. Occorre, infatti, considerare che le risorse dell’articolo 1, commi 232 e 233, della Legge di bilancio per l’anno 2024 potrebbero essere già state utilizzate dalle Regioni e dalle Province autonome per l’attuazione dei propri Piani regionali e provinciali di contenimento dei tempi di attesa, nel qual caso il decreto sarebbe privo di qualunque finanziamento”.

“Considerato che il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale è notoriamente sottodimensionato rispetto a quello dei principali Paesi europei - ricorda il documento - e sta determinando serie difficoltà in tutte le Regioni, incluse quelle che il ministero della Salute ha collocato ai primi posti per la qualità dell’assistenza sanitaria, ad assicurare l’equilibrio economico-finanziario dei bilanci sanitari, le Regioni non sono nelle condizioni di finanziare il costo di misure ed interventi aggiuntivi, seppur condivisi per la finalità, poiché il Fondo sanitario nazionale è già largamente insufficiente”.

Secondo le Regioni poi, con riferimento alle disposizioni in materia di personale, “è necessario che con molta chiarezza vengano superati i tetti di spesa esistenti in materia di personale e che tale superamento sia adeguatamente accompagnato da ulteriori risorse economico-finanziarie destinate a coprire effettivamente, in tutti i sistemi sanitari regionali, il fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale determinato secondo standard uniformi e condivisi”. Nel testo del decreto sulle liste d’attesa, “l’articolo 5 è intitolato ’Superamento del tetto di spesa per l’assunzione di personale sanitario’, ma introduce limitate ed insufficienti novità per l’anno in corso - si avverte nel parere - e poche novità anche per l’anno 2025, peraltro condizionate alla definizione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Ssn ed alla conseguente approvazione del Piano dei fabbisogni triennali regionali del personale. La definizione di tale metodologia rischia però di rivelarsi priva di reale efficacia, atteso che la norma prevede che la sua adozione avvenga comunque ’in coerenza con i valori di cui al comma 1’ dello stesso articolo 5, vale a dire nell’ambito degli attuali tetti di spesa per il personale. Peraltro, trattandosi di una misura organizzativa in attuazione di una metodologia ministeriale, la prevista approvazione da parte del ministero della Salute appare invasiva delle competenze regionali”.

“Non è pensabile che un solo provvedimento possa risolvere una criticità di rilievo nazionale (in quanto interessa tutte le Regioni) in tempi brevi - concludono le Regioni -. Soprattutto, un decreto non può raggiungere questo risultato in assenza di adeguate risorse finanziarie, delle necessarie risorse umane, senza l’implementazione di misure che possano affrontare il problema per quanto concerne sia l’offerta che la domanda di prestazioni che deve essere appropriata. Non a caso, finora nessun Paese europeo aveva affrontato la problematica delle liste di attesa con un approccio esclusivamente inquisitorio e sanzionatorio”.


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