Aziende e regioni

Liste d’attesa/ Decreto legge in filigrana: l’unica novità è l’articolo 7

di Stefano Simonetti

S
24 Esclusivo per Sanità24

Finalmente il Consiglio dei ministri del 4 giugno ha sciolto ogni riserva sulle contestate e intricate vicende relative alle liste di attesa. Al netto di ogni polemica (mancata concertazione con le Regioni, incertezza dei finanziamenti, critiche sostanziali dei sindacati) e delle circostanze estranee alla tematica (quattro giorni dalle elezioni, effetto annuncio privo di effetti concreti, apprezzamento delle Federazioni ordinistiche, parziale soddisfazione dei privati accreditati) proviamo a vedere i contenuti tecnici dei due provvedimenti, tralasciando gli aspetti di strumentalizzazione politica rispetto ai quali, francamente, lo scenario è avvilente da entrambe le parti.
Cominciamo dal decreto legge. La prima sensazione che si ha leggendo i testi conosciuti all’entrata in Cdm rispetto a quelli poi deliberati, è che nella sala di Palazzo Chigi, da una finestra lasciata aperta, una improvvisa corrente d’aria abbia scompaginato i documenti malauguratamente non spillati e, nel ricomporre i due testi per l’esame, si siano invertite alcune pagine: in altre parole e al di là della facile ironia, è agevole constatare come alcuni interventi del Dl non hanno alcuna caratteristica di urgenza e necessità mentre altri di impatto ben più impellente – tra tutti, la defiscalizzazione dell’accessorio – erano inseriti nel disegno di legge. Quest’ultimo aspetto è particolarmente delicato e costituisce la chiave di volta dell’intervento governativo. Ma cosa è successo? Nelle bozze diffuse e pubblicate proprio il 4 giugno il Dl contava sei articoli e non sette come nel testo deliberato e la norma mancante era proprio la più importante, quella della parziale defiscalizzazione. Già dalla conferenza stampa del ministro Schillaci si è però appreso che la disposizione era stata traslata dal Ddl al Dl: se così non fosse stato, credo che ci sarebbero state sommosse negli ospedali.
Ciò detto, vediamo la struttura generale del decreto per poi passare all’esame dei singoli articoli. Come già anticipato, l’unica norma veramente sostanziale è l’art. 7, mentre per il resto si fatica a riconoscere i tratti caratteristici della necessità e urgenza imposti dall’art. 77, comma 2, della Costituzione. Molti interventi sono discrezionali, molti sono ripetizioni inutili di norme già in vigore e, in buona sostanza, si può dire che, a parte l’art. 7, nei confronti di cinque o sei Regioni il decreto non consegna alcuno strumento in più perché quegli interventi da tempo già li attuano.
Alcuni articoli sono di natura meramente organizzatoria, proiettata addirittura nel medio periodo (artt. 1, 2 e 3); uno è di natura organizzatoria immediata, ma appare del tutto ridondante, se non inutile (art. 4); uno costituisce una disposizione di carattere finanziario abbastanza importante ma, come si vedrà, fortemente limitata (art. 5); uno interviene su una tematica specifica in modo generale (art. 6); infine, uno introduce quello che chiedono da anni i sindacati – forse non proprio come si aspettavano - ed è il nocciolo del decreto (art. 7).
Emerge, inoltre, la solita, perversa questione della normazione di secondo livello, cioè l’adozione dei provvedimenti attuativi, che già di per sé stride concettualmente con la decretazione d’urgenza. Come avviene ormai da lunghi anni, viene rinviata a decreti successivi la definizione di dettaglio di molti aspetti operativi, vanificando di fatto l’intervento d’urgenza, tenuto anche conto della notoria circostanza che i termini indicati delle disposizioni legislative non vengono assolutamente mai rispettati e siamo a tutt’oggi in attesa di centinaia di decreti mancanti all’appello. Nel decreto in esame sono individuati ben sette adempimenti successivi, con tempi e modi differenziati e, a volte, piuttosto singolari.
Il contenuto articolo per articolo
Art. 1 = viene istituita una Piattaforma nazionale liste d’attesa presso Agenas. Nel merito è stato affermato da parte governativa che non esisteva un vero monitoraggio per prestazione e per Regioni e la nuova piattaforma è interoperabile per ogni Regione. La Piattaforma persegue l’obiettivo di garantire l’efficacia del monitoraggio di livello nazionale in merito a sette specifici items ma per la sua realizzazione si dovrà attendere il decreto di cui al comma 3. Il comma 6, stabilisce che, a fronte di inefficienze o anomalie emerse a seguito del controllo delle agende di prenotazione, Agenas potrà attuare meccanismi di audit nei confronti delle Regioni nei cui territori insistono le aziende sanitarie titolari delle suddette agende, con finalità di verifica del corretto funzionamento del sistema di gestione delle liste di attesa. È plausibile che per tutto quest’anno la piattaforma non partirà tenuto anche conto delle difficoltà tecniche – numerose e note da anni – relative al far parlare tra loro sistemi operativi molto diversi. In ogni caso, è arduo capire come una conoscenza completa della situazione a livello nazionale possa sul piano pratico e sul campo risolvere il problema della mancanza di personale.
Art. 2 = si istituisce presso il ministero della Salute un Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria. L’Organismo ha il compito di vigilare e svolgere verifiche presso le aziende sanitarie locali ed ospedaliere e presso gli erogatori privati accreditati sul rispetto dei criteri di efficienza e di appropriatezza nella erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie e sul corretto funzionamento del sistema di gestione delle liste di attesa e dei piani operativi per il recupero delle liste medesime. L’Organismo è costituito da una trentina di addetti tra dirigenti e personale de comparto e costerà a regime quasi un milione di €. Come per l’articolo precedente, è difficile comprendere come possano migliorare i tempi di attesa per la semplice costituzione – quando avverrà – di questo organismo.
Art. 3 = si estende il Cup regionale e infra-regionale anche alle strutture private accreditate. Il privato convenzionato dovrà mettere a disposizione in modo trasparente tutte prestazioni a cittadini. La piena interoperabilità dei centri di prenotazione degli erogatori privati accreditati con i competenti Cup territoriali costituisce condizione preliminare, a pena di nullità, per la stipula degli accordi contrattuali. L’implementazione, da parte delle strutture sanitarie private autorizzate, di una piena interoperabilità del proprio sistema di prenotazione e di accesso alle prestazioni con il sistema dei Cup costituisce specifico elemento di valutazione, nell’ambito delle procedure di rilascio dell’accreditamento. Gli appuntamenti presi saranno ricordati 48 prima ai cittadini con un servizio recall per chiedere conferma o per eventuali modifiche o cancellazioni. In caso di assenza non comunicata né giustificata il cittadino potrebbe dover pagare – la norma nemmeno lo prevede in via obbligatoria - la quota ordinaria di partecipazione al costo per la prestazione richiesta. Il sistema non è per nulla nuovo perché in tante Regioni è in vigore da anni un meccanismo identico, definito bonum/malum: ad esempio, la Toscana fin dal 2006 (Dgr 143 del 27.2.2006 e successive modificazioni) fa pagare a chi non disdetta entro 48 h l’importo del ticket, anche se esente, e la sanzione è applicata pure a chi non ritira i referti. Nei commi 9 e 10 vengono dettate disposizioni ridondanti e già esistenti. Il divieto di cui al comma 9 esiste da quasi vent’anni ed è curioso che riguardi soltanto “aziende sanitarie e ospedaliere”: e gli Irccs, i policlinici e gli altri soggetti citati nell’art. 2, comma 3 che possono essere visitati dai Nas ? il percorso alternativo fornito dal comma 10 ignora completamente che il d.lgs. 124/1998 prevedeva già il diritto del cittadino ad ottenere la prestazione pagando e ad essere successivamente rimborsato. La circostanza che la legge di 25 anni fa non sia mai stata applicata non cambia i termini della questione, anzi può far plausibilmente ritenere che fallirà anche questa nuova disposizione. Punto di assoluta criticità è il finanziamento della norma perché non vengono stanziate risorse fresche ma si deve ricorrere a quelle già previste nella legge di bilancio 2024 e cioè lo 0,4 % vincolato del fondo indistinto (comma 232), pari a circa 500 ml di € e un aumento dell’1% sul valore 2011 per gli accreditati privati, pari a 123 ml nel 2024 e 370 milioni nel 2025 (comma 233). La differenza sostanziale è che le risorse per il sistema pubblico sono un “di cui” già in cassa in base alla infelice formulazione “a valere” mentre quelle per il privato accreditato sono realmente aggiuntive.
Art. 4 = norma difficile da commentare per la sua vaghezza e assenza di effettività. Tra l’altro, fino a oggi chi impediva di estendere le visite diagnostiche e specialistiche anche al sabato e domenica, oltre ad ampliare la fascia oraria per l’erogazione delle prestazioni ? Il vero problema è che per realizzare l’estensione occorrono molte risorse “fresche”, senza contare che si porranno sicuramente problemi con i vincoli tassativi del d.lgs. 66/2003 in tema di orario massimo settimanale e riposi obbligatori. Nella conferenza stampa è stato chiesto al Ministro se hanno calcolato quanto costerà l’operazione e la risposta è stata che “stanno facendo i conti”! Il decreto legge entra in vigore in pratica con l’arrivo dell’estate: chissà come saranno contenti i medici quando le Direzioni proporranno loro di lavorare anche il sabato e la domenica dopo una intera settimana lavorativa. Il vincolo dettato dal comma 2 esiste da una vita nell’ordinamento, sia a livello legislativo che contrattuale. Anche in questo caso i destinatari sono indicati in modo limitativo.
Art. 5 = norma molto complessa e a incastro che interviene sulle radicate disposizioni del “decreto Calabria”. Sembra che venga finalmente sancito il superamento del tetto di spesa per il personale ma l’abrogazione dell’art. 11 della legge 60/2019 doveva essere contestualmente accompagnata dall’abrogazione dell’art. 2, comma 71, della legge 191/2009, altrimenti si è in presenza di un vorticoso circolo vizioso. È singolare che il comma 1 dell’art. 11 risulta “disapplicato” dal 1° gennaio 2024 e “abrogato” dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Il tetto attuale sarà portato dal 10 a 15% nel 2024 per le Regioni che ne faranno richiesta e questo già è segnaletico di come la sua applicazione sarà a pelle di leopardo. Infatti, le situazioni locali appaiono estremamente differenziate e i vincoli finanziari vigenti non riguardano soltanto la spesa per il personale poichè sussiste sempre e comunque quello generale ricordato proprio nel comma 2: “fermo restando il rispetto dell’equilibrio economico e finanziario del Servizio sanitario regionale”. Come potranno applicare questo articolo le sette Regioni in piano di rientro è un mistero, a meno che non ricorrano alle maggiorazioni delle addizionali regionali e comunali – che credo già attuino con l’aliquota massima – ovvero reperiscano risorse finanziarie in altri capitoli del bilancio regionale a scapito di differenti interventi istituzionali di loro competenza. Infine, il sistema sarà abrogato dal 1° gennaio 2025 in favore di una metodologia di calcolo del personale basata sul fabbisogno elaborata insieme ad Agenas. Benissimo le intenzioni ma non si può non ricordare che questa fantomatica “metodologia” è attesa da cinque anni. La realizzazione dell’obiettivo del superamento del tetto di spesa per il personale è estremamente difficile che si realizzi alla luce delle tre severe precondizioni che pone la norma stessa: l’approvazione dei decreti previsti, la sussistenza di una organizzazione dei servizi coerente con quella prevista nei decreti, la percorribilità da parte della Regione del percorso di liberalizzazione finanziaria nel rispetto dell’equilibrio generale.
Art. 6 = questa disposizione riguarda il potenziamento dell’offerta assistenziale e per il rafforzamento dei Dipartimenti di salute mentale. La norma ha carattere programmatorio e non è finanziata in modo specifico perché le risorse necessarie sono “a valere” su quelle del Programma Nazionale Equità.
Art. 7 = come anticipato più volte, questa è la norma di maggiore – forse unico – impatto concreto. Si potrebbe quasi affermare che se tutto il decreto legge si fosse limitato a questo solo articolo, i risultati tangibili sulle liste di attesa non ne avrebbero risentito, sempre che anche con questa norma il cittadino possa trarre benefici rispetto ai tempi di attesa. Infatti, uno dei punti di maggiore aleatorietà dell’intervento è quello della risposta che ne daranno i diretti interessati, cioè i dirigenti medici. Senz’altro molti la apprezzeranno per l’aspetto remunerativo ma si può anche ipotizzare che non tutti accetteranno ulteriore extraorario in quanto – forse è il caso di ricordarlo – le prestazioni aggiuntive sono richieste su base volontaria e non possono essere obbligatorie, al netto poi del rispetto della normativa europea su riposi e durata massima della settimana lavorativa. In ogni caso, questa disposizione costituisce una vera rivoluzione perché, a mia memoria, è la prima volta in assoluto che benefici di defiscalizzazione vengono estesi a pubblici dipendenti. E non c’è chi non ha visto un possibile profilo di incostituzionalità. Nondimeno la questione è in campo da tre anni perché è doveroso ricordare che nel Patto per il lavoro pubblico del 10 marzo 2021, nel paragrafo 6 si parlava proprio di procedere “estendendo anche ai comparti del pubblico impiego le agevolazioni fiscali previste per i settori privati a tali fini”. L’estensione tuttavia è molto sui generis perché i lavoratori privati godono di una flat tax sui premi di produzione del 5% fino a 3.000 €. Poteva anche essere presa in considerazione la decontribuzione per i soggetti interessati ma la questione è assai complessa perché queste prestazioni sono erogate in regime libero professionale con iscrizione all’Enpam e non all’Inps. Taluni hanno scritto che questo articolo interviene sugli “straordinari” dei medici (lo ha detto anche il ministro) mentre dal punto di vista tecnico l’istituto cui viene applicata “una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 15 per cento” sono soltanto le “prestazioni aggiuntive”, disciplinate dall’art. 89, comma 2, del Ccnl del 23 gennaio 2024 in una particolare e derogatoria forma di libera professione intramuraria. Il lavoro straordinario ex art. 31 del citato Ccnl continua a essere tassato normalmente. Piuttosto bizzarra risulta la stesura della norma laddove i compensi fissati a decorrere dal 24 gennaio risultano “rideterminati” venticinque giorni prima dalla legge di bilancio. Ma al di là di un po’ di confusione, il senso è chiaro. Proviamo a fare un esempio concreto. Un’ora di prestazione aggiuntiva è valorizzata 100 € (nemmeno da prendere in considerazione la tariffa base di 80). Premesso che tutti i medici superano lo scaglione dei 50.000 € cui si applica l’aliquota massima del 43%, fino ad oggi per un medico, ad esempio, lombardo in busta paga andava un netto di 55,27 € (100 – 43% - 1,73% di addizionali); da domani l’importo netto diventa 85 € (100 – 15%). A proposito della decorrenza, a una prima lettura del comma 5 poteva sembrare che si celasse una vera “sola”, ma la contorsione della norma è dovuta all’intreccio tra decorrenza del diritto, riflessi contabili e coperture finanziarie – pari a quasi 200 ml di € -, tutte scaricate sul 2025. Per questi sei mesi del 2024 il beneficio è, diciamo, virtuale e i medici continueranno a pagare alla fonte il 43% di Irpef più le addizionali che potranno recuperare in sede di dichiarazione dei redditi 2025 con la quale sarà possibile ottenere il conguaglio fiscale. Forse a livello tecnico non si poteva fare altrimenti ma è indubbio che un simile astruso meccanismo non aiuta affatto l’attrattività delle prestazioni aggiuntive. La vera e unica soluzione, si ripete per l’ennesima volta, non è quella di far lavorare di più chi è già in servizio ma quella di poter aumentare in modo congruo gli organici allo stremo.
Nei prossimi giorni si proverà ad analizzare il contenuto del disegno di legge che, al momento della ufficializzazione, dovrà essere corredato dalla relazione illustrativa e avallato dal Quirinale, alla luce dell’art. 87, comma 4, della Costituzione (almeno fino a quando sarà vigente) che stabilisce che il Presidente della Repubblica, “autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo”.


© RIPRODUZIONE RISERVATA