Aziende e regioni
Decreto liste d’attesa, quell’occasione (persa) per ridefinire e rendere esigibile il diritto alla cura
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
Analizzando l’andamento della sanità degli ultimi tempi – ben diversa dai tempi della ministra Lorenzin e dei ben più lontani Anselmi, dalla Turco, dalla Bindi e da Balduzzi - viene lo sconforto. È tutto un rincorrersi di “spari a salve”, di promesse non mantenute e di errori di ipotesi programmatiche. Nessuno ministro:
- ha mai fatto il preventivo inventario dei malfunzionamenti esistenti, perché incancrenitisi;
- ha preteso dalle Regioni la rilevazione dei fabbisogni epidemiologici;
- ha responsabilmente previsto le garanzie assistenziali in caso di epidemie (l’assenza del piano anti-pandemico con a capo il ministro Speranza l’ha detta lunga in termini di decessi di massa);
- ha mai redatto il Piano sanitario nazionale da 2006 in poi né, dunque, non programmato alcunché.
Tutti hanno subito passivamente le storture, senza dare cura alla prevenzione e al personale sanitario in via di decimazione da più di un decennio.
Addirittura oggi più di ieri si registrano vani tentativi di rimediare ai disastri, supponendo interventi senza tenere in considerazione che la legge vigente – ivi compresa l’attuazione di essa recata nella legge di bilancio per il 2023 – prevede il cambio della metodologia di finanziamento. Dalla spesa storica ai costi e fabbisogni standard è la regola, trascurata da undici Governi, compreso l’attuale.
Insomma, si programma per strappare unicamente un consenso politico effimero, peraltro modificando i dicta costituzionali e le leggi in vigore.
Il disegno di legge in sala parto
Da qualche giorno si parla di una ipotesi di decreto legge, predisposto dal dicastero della salute, che dovrebbe essere approvato dal Governo, cinque giorni prima delle elezioni europee (si veda qui articolo del 24 maggio scorso e su IlSole24Ore del 25 successivo). A leggerla, da una parte, vengono i brividi, dall’altra, si comprende la fine del servizio pubblico, fatto fuori progressivamente da politiche di formazione universitarie non connesse con i bisogni di operatori sanitari e da un avanzamento dell’istanza privata, ben introdotta e favorevolmente accolta dai decisori nazionali e regionali.
Si fanno risorgere vecchi strumenti – del tipo la “Carta dei diritti dei cittadini in materia di prestazioni sanitarie” – in un Paese ove non si attua la Costituzione, a cominciare dalla istituzione delle Regioni, per finire ai Lep e alla perequazione, per concludere con la esigibilità dei diritti sociali degli anziani e dei disabili. Figuriamoci quali grandi benefici arriveranno dalla novella Carta dei diritti di cittadinanza, che peraltro trascura, al riguardo, la esatta percezione del destinatario del diritto alla tutela della salute che deve essere assicurato allo “individuo” (art. 32 Cost.).
Si continua nella logica dei monitoraggi dei tempi di attesa e con l’istituzione del “registro delle prenotazioni” affidandone lo svolgimento e la tenuta a chi starebbe lì da decenni per fare qualcosa, non limitandosi ad assistere al progressivo naufragio della sanità pubblica.
Interessante l’attribuzione al medico prescrittore di indicare “la classe di priorità” e il sospetto diagnostico, scandendo le urgenze e le attese ottimali da perfezionarsi da entro le 72 ore fino a 120 giorni dalla prenotazione. In proposito meraviglia la mancata individuazione nei percorsi prescrittivi, diagnostici e specialistici, l’assenza di ogni riferimento alle case di comunità, agli ospedali di continuità e dei centri operativi territoriali, che dovrebbero costituire l’anima e il corpo della novellata assistenza territoriale.
E qui, il destro da KO. Si incrementa il tetto per l’acquisto di prestazioni dei privati accreditati (ovviamente contrattualizzati ex art. 8 quinquies del d. lgs. 502/1992) prevedendo un impennamento nel grafico della spesa regionale dall’1% al 2% nel 2024, dal 3% al 4% nel 2025 e dal 4 al 5% dal 2026. Insomma, una tombola, certamente di non beneficenza. Un ruolo ben accolto dai presidenti di Regioni che così possono esercitare, ben contenti, il rilascio dei provvedimenti di accreditamento ai loro grandi sostenitori, sistemati così for ever.
Per il resto, buono il previsto incremento del tetto di spesa per il personale, sempreché si trovi. Il 25%, per il biennio 2024/2025, di aumento delle previsioni specifiche finanziate alle Regioni nel Fondo sanitario regionale risalente all’anno 2023.
Anche qui è tuttavia da rilevare un certa non curanza sull’imminente introduzione dei costi standard e dei fabbisogni standard, nazionale e regionale, che andranno, per l’appunto a sostituire i rispettivi Fondi nazionali e regionali, obsoleti dal 2000 (d.lgs. 56/2000)
La chicca dovrebbe essere rappresentata dalla esecuzione delle visite ed esami diagnostici, chimico- clinici e per immagini, estese anche alla domenica. Al riguardo, non si comprende la “estensione” al sabato, da considerare un normale giorno di lavoro, che si ritiene di estendere in termini orari, prolungandoli alla serata inoltrata.
Da accogliersi favorevolmente la stretta sui gettonisti con conseguente reinternalizzazione dei compiti, comunque, affidati alle spesso sedicenti cooperative. Un dovere di normalizzazione del servizio che è stato finalmente assolto, anche con ricorso a contratti di lavoro autonomo, di garantire il legittimo affidamento dell’utente a professionisti al medesimo noti, perché ufficialmente selezionati dalle istituzioni (le asl, le ao e le aou) che hanno l’obbligo di fornire le generalità del prestatore, ovviamente riconosciuto come abilitato ad hoc da preventive e accurate selezioni. Del tipo come dovrebbe avvenire da sempre nella regolarità irrinunciabile e nella continuità, a cura delle istituzioni pubbliche deputate ad assicurare costantemente il diritto alla salute, senza bisogno alcuno di intervenire su sollecitazioni dei media.
Perché perdere l’occasione
Dal momento che la bozza di decreto legge - in quanto tale da convertire in legge dal Parlamento con ovvi emendamenti da approvare - è da ritenersi per molti versi organica, perché non farlo divenire portatore di una riforma vera e propria? Del tipo quella che alla Nazione occorre perché la stessa possa finalmente esigere, ovunque, il diritto alla salute!
Tutto questo con la previsione delle modifiche che occorrono, senza alcuna esaustività, del tipo:
- la sanatoria per tutte del Ao Universitarie non tali perché prive del Dpcm di riconoscimento;
- la revisione dell’accreditamento (art. 8 quater) e dell’accordo contrattuale (art. 8 quinquies) nell’assoluto rispetto della concorrenza (legge 118/2022) e della esigenza che ad essere contrattualizzati siano gli accreditati più tecnologicamente attrezzati, con una intelligenza artificiale che galoppa;
- l’istituzione del rapporto di dipendenza per i medici di famiglia;
- la riscrittura dei criteri selettivi dei direttori generali della aziende sanitarie funzionali a sostituire quelli esistenti fondati su criteri “storici” e obsoleti;
- la revisione del sistema di monitoraggio, quello che ha sino ad oggi fallito, tanto da ancorarlo a chi diventa utile alla proposta migliorativa e non solo alla rendicontazione del disagio ;
- la modifica del sistema di controllo e verifica delle Regioni in piano di rientro, cristallizzato nelle competenze del Mef, assolutamente non garante di miglioramento alcuno, sia in termini erogativi che di bilanci, perché rimasti cosi come erano da circa vent’anni. Una attività resa peraltro non sempre in modo efficace, attesa – a mero titolo di esempio - la “svista”, con conseguente de-commissariamento ad acta, sul bilancio consolidato della sanità laziale del 2022, sulla quale ha invece puntato il ditola Sezione regionale di controllo in sede di parificazione del rendiconto consolidato delle Regione Lazio scoprendo svarioni per diverse centinaia di milioni di euro, sui quali sta operando anche la Procura della Repubblica della Capitale.
La persistenza dei soliti problemi
Tante le preoccupazioni e i soliti problemi.
Il primo: come colmiamo il deficit della assistenza territoriale? Case di comunità, ospedali di comunità e centri operativi territoriali pensati male, distribuiti peggio e ancora allo stato gassoso.
Il secondo: le misure previste sono sufficienti a risolvere le liste d’attesa? Ciò in quanto ci sono persone (individui e non solo cittadini) che aspettano, per esagerare ma non troppo, da prima del Covid, tra le quali tante sono decedute per diagnosi non fatte ovvero tardive e interventi mancati.
Il terzo: come ci prendiamo più cura degli anziani? Forse che continuando a trascurarli a tal punto da non avere neppure la conta e accorgersi di loro a cura del vicino che ne denunzia l’assenza da giorni e le mancate risposte al campanello.
Il quarto: cosa vuol dire l’affermazione del ministro che “il privato non è un nemico?” Una verità teorica, dal momento che è lo stesso che non collabora a risolvere le liste di attesa, perché impegnato ad assicurare la propria attività giornaliera proponendo l’alternativa a pagamento e ad incassare subito i quattrini, anche da chi non ce l’ha!
Il quinto: come abbiamo avviato l’assistenza domiciliare? Con un pubblico che fa fatica a coprire i turni, andrà a garantirla alle persone bisognose gli accreditati apposta, che fattureranno milioni di euro a quintali.
Il sesto e ultimo (altrimenti diventa il vocabolario dell’irrisolto): come si risolvono le differenze, spesso letali, di assistenza nel Paese e il grave problema della mobilità passiva? Qui da meridionale: non rimane che “Io speriamo che me la cavo!”
Post scriptum: Proprio per avere speranza di cavarcela: cerchiamo di rispettare i desiderata europei che finalizzano il Pnrr principalmente alla prevenzione, della quale si parla ma non si fa nulla! Alla quale si riconosce la priorità massima, senza definire appositi e irrinunciabili Lea ad hoc! In favore della quale occorre dare peso alla scienza che la insegna e la impone, con le università italiane non seconde ad alcuno per il sostegno alla buona alimentazione mediterranea e alle misure di cautela.
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