Aziende e regioni
L’epidemiologia al servizio della qualità dell’assistenza in salute mentale: “vasto programma” ma sempre più necessario con l’autonomia differenziata
di Fabrizio Starace *
24 Esclusivo per Sanità24
L’area della salute mentale è stata esposta, forse più di altre, alle disomogeneità causate dal “regionalismo imperfetto” introdotto dalla Riforma Costituzionale del 2001. La Società italiana di Epidemiologia Psichiatrica documenta da anni le intollerabili differenze inter-regionali nell’accesso alle prestazioni incluse nei Lea. Esse sono tanto più odiose in Salute mentale in quanto non risolvibili ricorrendo a centri o specialisti di un’altra Regione, attivando la c.d. mobilità passiva a carico della Regione inefficiente. L’assistenza territoriale è infatti rigidamente prestata ai soli cittadini residenti nell’area di competenza del Dsm, salvo naturalmente le fasi di acuzie che richiedono ricovero ospedaliero; né potrebbe essere diversamente, considerando la necessità che gli interventi si realizzino nei contesti ordinari di vita delle persone, per favorirne l’inclusione sociale, abitativa, lavorativa e relazionale.
L’attuale dibattito sull’autonomia differenziata delle Regioni rende se possibile ancor più preoccupanti questi rilievi. Nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla determinazione e sull’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l’Ufficio parlamentare di Bilancio ha recentemente ribadito che “per garantire la tutela dei diritti sociali e civili è necessario che la definizione e il finanziamento dei Lep (Livelli Essenziali delle Prestazioni, in sanità indicati come Lea, nda) siano accompagnati da procedure di monitoraggio e di correzione che ne assicurino l’effettiva erogazione”.
A cosa guarda o dovrebbe guardare la ricerca epidemiologica. Il primo ambito di ricerca che l’epidemiologia deve affrontare è quindi un’attività di monitoraggio e documentazione, funzionale a garantire la fruizione uniforme del diritto alla cura indipendentemente dalla Regione o dal Comune di residenza. In salute mentale una delle maggiori difficoltà per procedere in tal senso è stata costituita dall’assenza – sino a circa 10 anni orsono – di un sistema informativo in grado di fornire dati attendibili su modalità, risultati e costi della Salute mentale erogata nei servizi pubblici e del privato accreditato. Negli ultimi anni tuttavia è intervenuta una importante novità: dopo lunga gestazione è finalmente divenuto operativo il Sistema informativo Salute mentale, la più estesa e aggiornata raccolta di informazioni che un Paese rende disponibile sul proprio sistema di cura per la salute mentale.
Nel breve volgere di alcuni anni si è passati, quindi, dalla pressoché totale assenza di dati quantitativi a una enorme mole di informazioni. Purtroppo, a nostra conoscenza, nessuna iniziativa specifica è stata adottata dai decisori politici nazionali e regionali per il superamento dei numerosi problemi, evidenziati anche nei documenti tecnici dello stesso ministero Salute. Le vistose inadempienze, sia sul piano amministrativo che su quello dell’efficace perseguimento degli obiettivi prioritari del Piano d’azione nazionale del 2013 , permangono indisturbate e impermeabili ai cambi di colore delle compagini di governo, nazionali e regionali.
Un primo vincolo nella realizzazione di attività epidemiologiche a sostegno di scelte di politica sanitaria è quindi la verifica di una reale, autorevole e incisiva azione di governo volta a tutelare l’interesse generale estendendo l’opera di monitoraggio dall’esclusiva analisi dei bilanci agli effettivi esiti (risultati di salute) delle attività sanitarie.
Superato questo scoglio si potrà dedicare attenzione a potenzialità e limiti degli attuali sistemi di valutazione della qualità dell’assistenza in salute mentale. Per contrastare l’impressione che l’enorme mole di dati disponibile sia sostenuta da un mero interesse documentario (quello che Cislaghi ha – con efficace espressione – definito il “bird watching” epidemiologico) piuttosto che dal genuino intento di migliorare la qualità delle cure, occorre mettere a sistema le migliori applicazioni sin qui condotte.
Percorsi di cura ancora ampiamente disattesi. Un recente studio finanziato dallo stesso ministero della Salute in 4 Regioni (Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio e Sicilia), che ha coinvolto oltre 70.000 pazienti con disturbi mentali gravi, ha mostrato che le indicazioni sui percorsi di cura approvate in sede di Conferenza Unificata il 13 novembre 2014 sono in larga parte disattese. Ad esempio, solo il 10% del campione aveva accesso a interventi psicologici e di psicoeducazione e solo in un terzo dei casi si realizzavano interventi rivolti specificamente alle famiglie. La maggior parte dei pazienti aveva ricevuto farmaci antipsicotici, ma la loro aderenza al trattamento a lungo termine era bassa (addirittura inferiore al 50%) e la politerapia era frequente. Inoltre, pur essendo ben nota l’elevata frequenza di sindrome dismetabolica nei soggetti che assumono farmaci antipsicotici, solo il 30% dei pazienti in trattamento aveva effettuato gli esami per il controllo di iperglicemia e iperlipidemia. Non ci risulta che a seguito di questo studio siano stati avviati processi di verifica e revisione della qualità dell’assistenza.
Il gap di indicatori di esito uniformi. Una delle carenze più gravi dell’attuale sistema informativo per la salute mentale riguarda la mancanza di indicatori di esito, se non indiretti (ad es.: ricoveri ripetuti). Molte regioni si stanno muovendo autonomamente per colmare questo gap e il risultato sarà il proliferare di valutazioni non confrontabili, con portato informativo differente. L’adozione di uno strumento univoco a livello nazionale (ad es.: la versione italiana della HoNOS) potrebbe finalmente fornire una risposta, almeno preliminare, alle domande-chiave che pone il cittadino-utente: le cure “reali” che questo servizio fornisce (non quelle “teoriche” contenute nelle linee-guida) funzionano? Con quale probabilità di successo? Dopo quanto tempo?
Il Piano azioni nazionale per la Salute mentale individuava tra i compiti del Dsm “l’attivazione di un sistema di documentazione dei casi gravi presi in carico (ammessi e dimessi) e attenzione volta a rilevare eventuali drop out (i cosiddetti “persi di vista”)”. Un’analisi sistematica del fenomeno dei drop-out condotta nell’ambito della World Mental Health Survey Initiative , ha documentato che nei Paesi ad alto reddito circa un paziente su quattro abbandona i servizi di salute mentale in modo non concordato, concludendo che “non solo è importante garantire l’accesso alle cure per i problemi di salute mentale, ma è anche necessario mantenere i pazienti in cura abbastanza a lungo perché possano trarne beneficio”. L’uso del sistema informativo per analizzare i predittori di drop-out e sostenere strategie di attenzione e mantenimento dei percorsi di cura varrebbe da solo l’impegno necessario ad alimentare il sistema stesso.
Sarà infine necessario orientare e ampliare le potenzialità del sistema informativo alle aree che in modo più rilevante e critico stanno incidendo sulle attività dei servizi di salute mentale, come quella delle persone che presentano comorbidità con uso di sostanze (realizzando, laddove non ancora esistenti, interfacce operative con i sistemi informativi delle dipendenze patologiche), quella degli autori di reato con disturbi psichiatrici, sia in condizioni detentive che alternative, con particolare riferimento a coloro ai quali viene comminata una misura di sicurezza in ragione delle condizioni psicopatologiche, quella delle persone che si rivolgono ai servizi di Emergenza Urgenza per problemi di natura psichiatrica (realizzando interfacce operative con il sistema informativo Emur al fine di garantire laddove necessario la continuità assistenziale e/o attivare programmi di prevenzione indicata, ad es.: nelle persone che giungono in Ps per tentativo di suicidio), quella delle persone per le quali sono necessari programmi di intervento integrati sociosanitari, realizzando interfacce operative con i sistemi informativi delle politiche sociali e di ambito territoriale.
In conclusione, quanto tratteggiato potrà apparire – citando De Gaulle – un “vasto programma” e “troppo ambizioso”, ma forse le probabilità di successo dipendono più che dalle competenze degli epidemiologi, dalla rimozione di quegli impedimenti ai quali il leader francese riferiva la sua battuta.
* Direttore DSMDP AUSL Modena, Presidente della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (SIEP), Presidente Sez. III - Consiglio Superiore di Sanità
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