Aziende e regioni
Altre tre "vergogne" del Servizio sanitario nazionale... e fanno 15
di Roberto Caselli
24 Esclusivo per Sanità24
Stefano Simonetti, nel suo intervento pubblicato il 28 febbraio , ha elencato dodici “vergogne” che caratterizzano il Servizio sanitario nazionale, che nonostante tutto si può ancora considerare eccellente , ma la cui efficacia potrebbe migliorare in modo apprezzabile se si varassero misure che nella maggioranza dei casi sarebbero a costo zero. Simonetti ha illustrato le criticità che affliggono in modo particolare l’area delle risorse umane, a cominciare dallo squilibrio di genere degli assessori regionali alla sanità e dei Direttori generali, per finire all’insufficienza delle retribuzioni dei medici e degli infermieri e, per ognuna delle dodici tematiche trattate, suggerisce soluzioni del tutto condivisibili, che i politici faranno bene a considerare con attenzione.
Dopo aver letto questo brillante intervento non posso esimermi dal mettere in evidenza almeno altre tre " vergogne" che penalizzano, dal mio punto di vista, l’area fiscale del Servizio sanitario nazionale, anche se quello che sto per scrivere ho cercato, negli ultimi anni, sulle pagine di questa testata, di portarlo più volte all’attenzione di chi dovrebbe legiferare per superare le anomalie più evidenti, che incidono in misura inaccettabile sul diritto costituzionale dei cittadini alla salute.
Chi si dovrebbe vergognare nei tre casi che sto per illustrare ? Sicuramente i politici in generale, senza distinzioni di colore, considerando che nulla è cambiato negli ultimi venti anni, nonostante l’alternanza delle forze politiche che hanno governato il nostro Paese, ma anche, con poche eccezioni, i giornalisti economici, i conduttori televisivi e tutti coloro che con le loro posizioni pubbliche avrebbero potuto informare e influenzare l’opinione pubblica.
1) IL PESO INSOPPORTABILE DEL FISCO
Quante volte mi è capitato, parlando con amici e conoscenti, di captare la loro sorpresa e incredulità, quando ho loro esposto come la sanità pubblica sia non solo gravata da imposte, ma lo sia addirittura in misura assai superiore rispetto alla sanità privata! La maggioranza delle persone, anche di una certa cultura, non immagina che le aziende pubbliche, il cui compito è quello di attuare a favore dei cittadini, gratuitamente, il loro diritto alla salute, debbano pagare imposte (Ires) per utilizzare immobili a loro trasferiti (1992) al momento del processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie, conseguente alla riforma sanitaria che, nel 1978, aveva istituito il Ssn, e che debbano pagare un’imposta dell'8,5% (Irap) sulle retribuzioni dei loro dipendenti o collaboratori (Direttori generali, medici, infermieri, tecnici), erodendo così la propria capacità finanziaria.
Chi legge potrà obiettare che le imposte devono essere pagate, come previsto nella Costituzione, da tutti i soggetti, che però devono essere trattati senza discriminazioni e senza privilegi. Ebbene, in questo caso non è così : i soggetti che gestiscono cliniche private non pagano alcuna imposta per l’utilizzo degli immobili di proprietà, né imposte Irap sulle retribuzioni e sui compensi pagati al loro dipendenti e collaboratori.
Forse ho sintetizzato troppo e allora, per non ripetere per l’ennesima volta un elenco delle principali anomalie che affliggono il settore sanitario pubblico, rinvio ad alcuni fra gli interventi più recenti qui pubblicati rivista e che i lettori possono facilmente reperire con la funzione "cerca":
- 23 settembre 2020: "Riforma fiscale, ecco da dove cominciare per gli enti del Ssn"
- 16 marzo 2021: "Se non ora quando? La sanità pubblica si aspetta una riforma sostanziale del fisco"
- 28 dicembre 2021: "Ddl Bilancio: le aziende del Ssn escluse dal taglio dell’Irap"
2) IL RUOLO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Ogni volta che viene varata una Legge di natura fiscale, considerata la superficialità e la scarsa chiarezza con cui, purtroppo da molti anni, le stesse vengono scritte, sono necessarie lunghe circolari dell’Agenzia delle Entrate, per interpretare i numerosi punti oscuri che mettono in difficoltà i contribuenti. Anche le istruzioni alle Dichiarazioni dei redditi sono fascicoli lunghissimi, pieni di rinvii a Leggi, Decreti, Circolari, che anziché chiarire i dubbi ne fanno spesso venire di nuovi, provocando un progressivo aumento del contenzioso tributario. Ma questo è un problema che riguarda tutti i contribuenti.Quel che colpisce però la Sanità pubblica è un altro : ogni volta che è stata varata una Legge basilare per l’assetto fiscale della nostra economia, e mi riferisco in particolare all’Ires ( ex Irpeg) ed all’Irap, di fronte a fattispecie per le quali non sono definiti in modo chiaro quali siano i soggetti o le basi imponibili, arriva sempre una Circolare dell’Agenzia delle Entrate che, nel silenzio della Legge, tira fuori una interpretazione sfavorevole alle Aziende pubbliche.Se le Aziende pubbliche colpite da accertamenti, molte volte basati non sulla Legge, ma su una interpretazione di parte, ricorrono in giudizio, si assiste spesso ad un accanimento particolare da parte degli uffici dell’Agenzia delle entrate, per tentare di smontare anche le argomentazioni più ragionevoli; come se i vertici delle Aziende pubbliche non perseguissero, cercando di evitare il pagamento di imposte indebite, i loro compiti istituzionali, evitando cioè di distogliere risorse finanziarie dallo scopo cui sono destinate. Se lo stesso impegno venisse profuso nei confronti degli evasori l’incremento di gettito per l’Erario sarebbe notevole!
Per esemplificare il problema basta citare: per quanto riguarda l’Ires:
•l’imposta sui fabbricati strumentali, che grava il settore sanitario pubblico e non quello privato
•la discussa “tassa sulla bontà”, così definita dal Presidente Mattarella, che aboliva, con la manovra di bilancio del 2019, ogni agevolazione in favore del settore sanitario pubblico e del terzo settore; la misura venne poi sospesa (non abolita) dal Governo, per cui rappresenta ancora una spada di Damocle per i due settori
• La discriminazione, agli effetti dell’agevolazione di cui sopra fra Aziende ospedaliere ed Irccs da una parte e le Aziende sanitarie locali dall’altra; a queste ultime una controversa circolare dell’Agenzia delle Entrate del 2002 la nega con motivazioni giuridicamente inaccettabili; sono ormai quasi vent’anni che questa rivista si occupa di questo problema, che il Legislatore non ha mai ritenuto di risolvere, provocando un infinito contenzioso, che ancora non si è concluso
• per quanto riguarda l’Irap, la detraibilità dall’imponibile, dei contributi Inail, prevista dalla Legge, disconosciuta da un’assurda interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, riconosciuta da numerose sentenze di Commissioni di primo e di secondo grado ed infine anche dalla Corte di Cassazione; ebbene, nonostante che la prima pronuncia della Corte di Cassazione risalga al 2017, le istruzioni alle Dichiarazioni contengono ancora l’ illegale posizione dell’ Agenzia delle Entrate
• Sempre in materia di Irap, l’imponibile per i soggetti pubblici è stabilito dalla Legge, per la quota più consistente, che sia pari alle retribuzioni erogate ai dipendenti, senza che sia precisato se l’importo debba essere considerato al lordo od al netto dei contributi a carico dei dipendenti stessi; l’Agenzia delle Entrate interpreta la norma nel senso che venga massimizzato il gettito, cioè al lordo, mentre l’interpretazione che appare corretta, per una serie di ragioni che in questa sede sarebbe lungo elencare, è quella di considerarle al netto
3) IL COMPORTAMENTO DEI GIUDICI TRIBUTARI
La peculiarità della disciplina fiscale della sanità pubblica, richiederebbe dei Giudici particolarmente preparati e consci degli effetti economici delle sentenze sulle Aziende pubbliche. La realtà è purtroppo molto diversa, come purtroppo emerge da un gran numero di sentenze; non si deve naturalmente far di ogni erba un fascio perché non mancano sentenze pregevoli, ben argomentate, scritte in un buon italiano, che fanno trasparire un lungo ed attento studio della problematica; è capitato molte volte a chi scrive, di commentare favorevolmente su questa rivista alcune sentenze, sia di primo che di secondo grado, non solo perché era condivisibile la decisione, ma per l’approfondimento che traspariva e per la chiarezza dell’esposizione. In casi più numerosi però le sentenze sono scritte con sciatteria, in cattivo italiano, anche con errori di ortografia, senza logiche argomentazioni, che fanno capire come il relatore non conoscesse la problematica e che né il Presidente né gli altri membri siano intervenuti né nel merito né nella forma e come non siano neanche state rilette dal Presidente prima della firma. Nella maggioranza dei casi i Giudici delle Commissioni tributarie e della stessa Cassazione trovano più comodo, anziché studiare a fondo gli aspetti evidenziati dalle aziende pubbliche, appiattirsi sulla posizione espressa in giudizio dall’Agenzia delle Entrate o dall’Avvocatura dello Stato, pensando forse, in cuor loro, che si tratta di controversie fra due soggetti pubblici, per cui è indifferente la decisione, perché gli importi oggetto del contendere, spesso molto elevati, restano comunque nell’area pubblica, senza lesioni né vantaggi per interessi privati.Forse molti Giudici affrontano i loro compiti con scarse motivazioni, con compensi modesti, ma non sono certo obbligati ad accettare l’incarico, visto che la loro maggioranza gode già di ricche pensioni. Come esempio di tutti questi aspetti negativi che ho segnalato resta famosa una sentenza della Commissione Tributaria provinciale di Firenze ( n 904 del 10 settembre 2019 depositata il 26 Novembre 2019) che ha respinto un ricorso di un’ Azienda sanitaria locale, in quanto, pur prendendo atto, la Commissione, che le più recenti sentenze della Suprema Corte avevano riconosciuto applicabile l’agevolazione richiesta sull’aliquota Ires, quantomeno ai Presidi ospedalieri delle Asl ( in conformità di una delle denegate ipotesi formulate dalla ricorrente) ha sorprendentemente negato l’agevolazione stessa in quanto "non può estendersi la sua applicazione agli enti privati…". Ogni commento è superfluo…Un altro aspetto molto negativo che ha caratterizzato la Giustizia tributaria negli ultimi due anni caratterizzati dalla pandemia Covid, è stato l’allungamento dei tempi di attesa per la fissazione delle udienze ( che peraltro non avvengono ancora con la presenza delle parti) e per la pubblicazione delle sentenze. Il lockdown avrebbe potuto permettere un certo smaltimento dell’arretrato, visto che non erano indispensabili le riunioni in presenza ed erano disponibili mezzi informatici sia per le riunioni a distanza, sia per la consultazione del materiale prodotto in giudizio, sia della giurisprudenza; invece è accaduto il contrario. I tempi, in generale, con poche eccezioni, si sono tutti allungati enormemente ed in particolare non si spiegano quelli per la pubblicazione delle sentenze, che vengono depositate anche a quattro o cinque mesi dal giudizio.
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