Aziende e regioni
Esami diagnostici e visite: come dribblare le liste d’attesa pagando solo il ticket
di Rosanna Magnano (da www.ilsole24ore.com)
Le liste d’attesa infinite per accedere a una prestazione sanitaria non sono una fatalità da accettare con rassegnazione. Se i tetti massimi previsti dalla normativa sono superati da un'azienda sanitaria e non ci sono strutture alternative, il cittadino ha infatti il diritto di accedere a una prestazione intramoenia pagando l'equivalente del ticket, senza alcuna maggiorazione. Peccato che questo diritto sia poco conosciuto e che gli sportelli delle Asl solo in rarissimi casi informano il paziente di questa possibilità. A confermarlo è Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva (Tdm): «Il diritto ad accedere alle cure pubbliche in tempi certi – spiega - nonostante sia previsto da una serie di norme, nella realtà è ancora troppo poco conosciuto dai cittadini e ostacolato in pratica. Tra le cause c'è la scarsa trasparenza delle amministrazioni sui diritti dei cittadini. Ciò alimenta le asimmetrie informative, che penalizzano ancora una volta i più deboli. Sul rispetto dei tempi di attesa, sul corretto esercizio dell'intramoenia e più in generale sul rispetto dei diritti dei cittadini c'è da migliorare ancora molto dal punto di vista dei controlli, troppo pochi e con molte falle».
Le code in sanità sono una piaga diffusa – tra i pochi esempi virtuosi va segnalata l'Emilia Romagna - e i limiti massimi previsti dal Piano nazionale per le liste d'attesa restano obiettivi di carta. Per una visita oncologica o neurologica nel sistema sanitario pubblico non si dovrebbero superare per legge 30 giorni di attesa, in realtà i tempi si allungano anche fino a un anno (dati Cittadinanzattiva). Per una mammografia o un'ecografia, secondo i tetti previsti dal Piano nazionale, la soglia di tolleranza è di un paio di mesi. Ma anche in questo caso i cittadini arrivano ad aspettare fino a 13 mesi.
Sanità, ticket: al via tavolo revisione ministero Salute-Regioni
Se una struttura non può garantire il rispetto dei tempi previsti, Il dlgs 124 del 1998 prevede che l'Azienda sanitaria debba indicare al cittadino le strutture pubbliche o private accreditate (convenzionate) che assicurano il rispetto della tempistica; nel caso nessuna struttura pubblica o convenzionata sia in grado di erogare la prestazione, l'Azienda sanitaria deve autorizzare la prestazione in regime intramurario (intramoenia). In questo caso il cittadino non deve sostenere alcun onere economico aggiuntivo, se non l'eventuale ticket (se non esente). Per avviare la procedura è necessario compilare un modulo.
Anche un medico può certificare che la prestazione è urgente
In alternativa, il Piano nazionale di Governo delle liste d'attesa prevede la possibilità per il medico (medico del servizio pubblico, medico di famiglia, pediatra, guardia medica) di applicare un codice di priorità alla prestazione richiesta. Sulla ricetta potrà quindi indicare il codice U (urgente) per cui la prestazione dovrà essere erogata entro 72 ore, B (breve) entro 10 giorni, D (differibile) entro 30 giorni le visite e 60 giorni la gli esami diagnostici, P programmabile.
Raddoppia il ticket per il licenziamento
La griglia dei tempi “giusti” per le diverse prestazioni (sono 58 quelle regolamentate dal Piano nazionale) dovrebbe essere adeguatamente diffusa tra i cittadini, quindi disponibile presso i centri di prenotazione, i siti web aziendali e gli uffici di relazione con il pubblico. Nei fatti questa buona pratica è poco rispettata. «A parte un'iniziativa della Regione Lombardia decisa dall'assessore al Welfare, Giulio Gallera – continua Aceti – che ha previsto la pubblicizzazione chiara e diffusa della possibilità di questa procedura, le Regioni sono generalmente silenti. A nostro parere la procedura dovrebbe invece scattare in automatico».
Gli interessi sul tavolo
Sul piatto c'è il valore complessivo dell'intramoenia, pari a 1,1 miliardi. Di questi, circa 800-900 milioni di euro vanno ai professionisti che erogano la prestazione, circa 200 milioni di euro sono destinati al Sistema sanitario nazionale. Nel caso di prestazioni “fuori tempo massimo” pagate solo con l'equivalente del ticket, ovviamente questi flussi si ridurrebbero. Insomma, rispettare la legge, a quanto pare, non conviene a nessuno.
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