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Riforma cronicità Lombardia: botta e risposta sul futuro del sistema

di Guido Marinoni (vicesegretario regionale Fimmg Lombardia)

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24 Esclusivo per Sanità24

Il recente articolo di Emanuele Vendramini sulla riforma cronicità in Lombardia, riportato su Sanità24 del 30 agosto, rappresenta l'occasione per tentare un'analisi delle reali prospettive della riforma lombarda.

(Leggi l’articolo )
In premessa, va precisato che, al contrario di quanto sembrerebbe desumersi dall'articolo di Vendramini, il medico di famiglia che si proporrà come gestore potrà seguire, con il modello della presa in carico, tutti i suoi pazienti, anche i più gravi.
Appaiono comunque condivisibili i dubbi sulla sostenibilità del sistema, sostenibilità difficile non solo nel contesto lombardo, ma, più in generale, nel contesto del Piano Nazionale della Cronicità. Se, come previsto dal Piano Nazionale della Cronicità, tutti i pazienti cronici fossero gestiti secondo linee guida con un PAI personalizzato, le risorse messe a disposizione in modo rigorosamente prefissato in termini di quota capitaria, fondata sulla fiscalità generale, difficilmente potrebbero essere sufficienti: che il contingentamento avvenga, come nella realtà lombarda, tramite i contratti con gli erogatori o con altre metodiche individuate dalle diverse Regioni, la sostanza resta la stessa.

Il nodo sostenibili tà: verso un sistema misto?
Il problema è legato alla effetti
va sostenibilità di un sistema finanziato esclusivamente dalla fiscalità generale, problema noto a tutti, sebbene scotomizzato dalla politica, e che è illusorio pensare, in concreto, di risolvere solo con interventi sull'appropriatezza e sulla riduzione degli sprechi. Il sistema è effettivamente sottofinanziato e pertanto rischia di implodere: la riforma lombarda lo ha solo messo in evidenza, nel momento in cui, per prima, si è posta il problema di attuare realmente il Piano nazionale della cronicità.
La particolare modalità di attuazione del Piano realizzata in Lombardia è la diretta conseguenza delle caratteristiche strutturali della sanità regionale: importante presenza, da sempre, del privato accreditato, assenza di una operatività strutturale dei distretti, prevalenza delle grandi strutture ospedaliere. Premesse di fondo delle quali qualsiasi riforma avrebbe dovuto tener conto e che sarebbe estremamente difficile, per qualsiasi versione del variegato mondo della politica, modificare in tempi brevi, salvaguardando i complessi interessi in gioco.
La soluzione al sottofinanziamento della sanità italiana non è facile da identificare e il problema sembra essere comune a tutti i sistemi sanitari di questo tipo, a partire da quello del Regno Unito. Il sistema lombardo sembra porre le premesse, senza dirlo, di un sistema misto di tipo mutualistico: se non altro è l'occasione per cominciare a discuterne.

Il ruolo centrale del Mmg
Si discute della “centralità” o meno del medico di medicina generale. La Riforma Lombarda non lo pone certamente al “centro”: gli propone un ruolo. Fermo restando che è sbagliato descrivere scenari apocalittici secondo cui il medico di medicina generale, se privato del ruolo di “gestore” della cronicità, sarebbe destinato alla scomparsa. E basterebbe passare una giornata in uno studio di un medico di famiglia lombardo per rendersi conto di quanto variegate e complesse siano le attività che gli vengono richieste e quali siano i volumi di attività. Il ruolo proposto dalla Regione è di primaria importanza e sarebbe un clamoroso errore non riconoscerne le potenzialità di sviluppo professionale.
Se si vuole salvaguardare l'autonomia professionale del medico, svincolandolo da un rapporto di subordinazione rispetto ad altri soggetti economici, responsabilizzandolo e mantenendolo al tempo stesso in grado di garantire ai suoi pazienti gli strumenti organizzativi (non clinici) necessari a gestire una situazione complessa di cronicità, lo strumento dell' associazione tra professionisti è una scelta obbligata e, al momento attuale, per fornire supporti organizzativi del tipo di quelli richiesti dalla riforma lombarda, quella della società cooperativa è l'unica realmente sostenibile.
La cooperativa, secondo le delibere regionali, dovrà a sua volta offrire una filiera/rete di erogatori estesa e potrà garantire al cittadino la gestione di tutte le patologie, indipendentemente dalla complessità, mantenendo il paziente l'effettiva libertà di scelta che, in effetti, potrebbe essere invece condizionata nel caso di altri gestori, i quali, svolgendo anche il ruolo di erogatori, potrebbero internalizzare la gran parte dell'offerta di prestazioni, qualora non riuscissero o non ritenessero utile, a loro volta, costruire una rete.
Il medico di medicina generale ,associato in cooperativa, verrebbe realmente a trovarsi in una posizione di “centralità”, costruita sul rapporto personale di fiducia, sulla disponibilità di una filiera di erogazione quanto più possibile estesa, sulla possibilità di stabilire accordi per erogare prestazioni nel proprio studio, anche con lo sviluppo, con modalità ancora da definire, della telemedicina e del telemonitoraggio.
Più debole potrebbe essere la posizione del medico di medicina generale cogestore, in quanto vincolato alle proposte delle diverse e non univoche strutture, rispetto alle quali dovrebbe dare disponibilità per la sola redazione del PAI.

Gestori privati e pubblici
Quanto alla supposta “potenza” delle strutture ospedaliere pubbliche e private nei rapporti con il paziente, si tratterà di verificare la reale capacità delle stesse. Anche e soprattutto nei casi di maggiore complessità bisognerà stabilire un reale rapporto fiduciario con i pazienti, fidelizzarli rispetto ai problemi di libertà di scelta, costruire dei PAI su grandi numeri di assistiti in situazioni di comorbidità non conosciute a priori, a differenza del medico di medicina generale che dispone di tutta la storia clinica e della conoscenza personale del paziente. Pensare a PAI standardizzati, costruiti sulla base della banca dati assistiti regionale porterebbe al fallimento della riforma oltre che a prevedibili contenziosi.
Altro elemento da considerare è che il gestore / erogatore è sottoposto alla logica dei tetti e dei contratti in modo diretto. La cooperative dei medici solo ai limiti generali del sistema, non avendo nessun ritorno economico da eventuali risparmi.
Chi ha consigliato ai medici di non mettersi in gioco in questa partita ha certamente ottenuto il facile consenso di una parte dei colleghi, ma forse non ha fatto un buon servizio allo sviluppo del ruolo professionale del medico di medicina generale.

Nubi sul futuro del medico di famiglia
Tuttavia nubi minacciose si addensano sulla professione del medico di medicina generale: i prossimi pensionamenti di gran parte dei medici e l'assenza di ricambio professionale per il numero clamorosamente insufficiente dei diplomati al corso di formazione specifica in medicina generale vedono messa in crisi l'esistenza stessa della figura professionale: nei prossimi anni, in assenza di interventi urgenti, il carico di assistiti passerà necessariamente da 1:1500 a 1:2000, se non, in tempi lunghi, a 1:3000.
Non è sufficiente potenziare i centri servizi dei gestori. Se la Regione non vuole l'implosione del sistema deve supportare direttamente gli studi dei medici di famiglia con infermieri e personale amministrativo, oltre che garantire un ormai almeno parziale, ma sostenibile, ricambio dei medici: ad oggi non si rileva alcun segnale in tal senso.
Questo è un grave rischio che stanno correndo il sistema lombardo e tutto il servizio sanitario nazionale ed è diretta conseguenza dell' incapacità di capire che le riforme non si sostengono solo con i modelli organizzativi, tutti validi purché coerenti, ma con i professionisti in grado di realizzarli


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