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La relazione tra ospedali e assicurazioni nell’epoca del risk management

di Adolfo Bertani (presidente Cineas)

Si evolve lo scenario della sicurezza in ospedale con nuove disposizioni che mettono al centro la gestione del rischio. La legge di Stabilità 2016 prevede che le strutture sanitarie attivino la funzione di risk management e il più recente disegno di legge sulla responsabilità professionale del personale sanitario (Ddl Gelli) introduce alcuni elementi di innovazione.

In particolare si tratta di: obbligo di assicurazione per le strutture ospedaliere; inversione dell’onere della prova in caso di malpractice dal medico al paziente; obbligo di conciliazione.

Questi fattori incideranno sui principali protagonisti della sanità, cioè gli ospedali, le compagnie di assicurazione e il paziente.

Per quanto riguarda i primi, il lavoro del personale sanitario si svolge in un contesto di crescente conflittualità e diffidenza tra medico e paziente. L’approccio all’errore è quello di ricerca del colpevole che ha attivato una spirale viziosa di escalation di denunce e di diffusione della medicina difensiva (che costa allo Stato oltre 10 miliardi di euro).

Con l’introduzione dell’hospital risk management si creano i presupposti per un sistema virtuoso basato sul monitoraggio degli incidenti e dei near miss in quanto l’ottica non è quella del fallimento (individuale o organizzativo), ma del miglioramento della sicurezza e, quindi, della qualità delle prestazioni. Gestire i rischi per le strutture sanitarie vuol dire il controllo continuo delle attività, riducendo gli sprechi e le probabilità di errore (sbagliare diventa più difficile e le conseguenze dell’errore sono calmierate). In sostanza, ridurre i sinistri e rendere gli ospedali assicurabili.

Per il comparto assicurativo la sanità non è più, da anni, un ambito di business in quanto i rapporti tecnici hanno evidenziato una sinistralità troppo elevata. Ma lo sviluppo del settore è legato all’espansione del mercato che nei rami danni non-auto, negli ultimi 10 anni, è rimasto fermo in modo preoccupante. L’obbligo dell’assicurazione per gli ospedali aprirà nuove opportunità, in quanto, a fronte dell’imposizione, ci dovrà essere una reciprocità di disponibilità ad assicurare da parte delle compagnie.

Attualmente, non esistendo l’obbligo di assicurazione per gli ospedali, alcune strutture hanno optato per un regime di “autoassicurazione” in base al quale vengono accantonati dei fondi in vista di eventuali risarcimenti; tale sistema non garantisce l’utilizzo efficiente delle risorse finaziarie, né la capacità economica di risarcire il danno se l’incidente si verifica realmente (il regime dell’autoassicurazione non si basa, infatti, sui princìpi delle riserve matematiche, né viene effettuato un controllo sugli accantonamenti come accade, invece, quando ad assicurare è una compagnia). E per il futuro la situazione rischia di aggravarsi pericolosamente (la denuncia del sinistro può avvenire entro 10 anni dal riscontro del danno).

Una volta stabilita l’obbligatorietà, si apre la querelle su quanto costeranno le coperture per gli ospedali e per i professionisti della sanità (per i quali l’obbligo di stipula esiste già dal 2014).

Per il contenimento dei costi delle polizze, il risk management potrebbe essere la chiave di volta, ovvero l’ospedale che avrà attivato procedure di risk management permetterà alla compagnia una quantificazione più precisa. In pratica l’ospedale potrebbe attuare un self assessment sulle procedure di gestione del rischio da cui deriverà un rating all’assicuratore con l’evidenza dei punti di forza e di debolezza. Tale procedura implica che le compagnie si avvalgano di professionisti con le competenze necessarie per valutare i rischi specifici delle strutture sanitarie. Inoltre, l’assicuratore dovrà incentivare le strutture che miglioreranno nel tempo il proprio profilo di gestione del rischio offrendo degli sconti sulle polizze sottoscritte.

In caso di contenzioso, l’analisi degli avvenimenti e la composizione della controversia dovrebbe essere affidata a un gruppo di lavoro multidisciplinare che includa la partecipazione del personale sanitario, dei professionisti medico legali dell’ospedale, rappresentanti del broker e della compagnia.

Nel periodo di transizione dall’attuale situazione a quella prospettata dal Ddl in discussione, ci dovrà essere un impegno da parte del degli organi di controllo (ad esempio l’Ivass) nel produrre delle schede introduttive delle compagnie estere operanti, in Italia, in base all’assunto della Libera prestazione di servizio (Lps) con la finalità di rendere trasparente, all’ospedale che sottoscrive la polizza, con chi dovrà interloquire in caso di eventuale gestione del sinistro.

In questo quadro di relazioni complesse tra medici-ospedali e compagnie, s’inserisce il paziente che, in realtà, è il vero protagonista del processo di cura. In prospettiva si dovrà passare sempre più dalla figura tradizionale del “paziente” (connotazione passiva) a un modello in cui il malato sia un “utente razionale” (connotazione pro-attiva) che partecipa alle decisioni sulla propria salute (informandosi e scegliendo tra i vari percorsi di cura disponibili).

In quest’ottica di presa di coscienza e scelta attiva del malato-utente razionale si realizza pienamente la finalità del consenso informato che, attualmente, risulta più una procedura burocratica, utilizzata dal medico come strumento di difesa.

Per concludere, il nuovo scenario di gestione del rischio potrà, realmente, funzionare e innescare meccanismi virtuosi, solo se si realizzeranno queste condizioni:

1. edilizia sanitaria funzionale;

2. personale sanitario con elevate competenze - sia dal punto di vista delle conoscenze tecniche che delle soft skills - con un forte commitment, a tutti i livelli, nella qualità di vita del paziente;

3. informatizzazione dei processi;

4. apparecchiature biomedicali all’avanguardia;

5. implementazione di efficaci modelli di risk management con focalizzazione sul miglioramento continuo.

Recenti indagini sulla diffusione delle nuove tecnologie in sanità hanno delineato prospettive nelle quali, tra 5 anni, 500 milioni di persone in tutto il mondo utilizzeranno sistemi di mobile health (questa proiezione e la successiva sono tratte da “Medicina e nuove tecnologie: prime riflessioni sull’impatto” Enpam 2014).

In Italia, l’utilizzo delle tecnologie Ict potrebbe portare un risparmio di 4 miliardi di euro (includendo in questa cifra ad esempio la deospedalizzazione di pazienti cronici grazie all’assistenza domiciliare, ma anche i risparmi dovuti all’utilizzo della cartella clinica elettronica e alla dematerializzazione dei referti ecc.).

In conclusione, è evidente che il contesto normativo, gli strumenti di management e le innovazioni tecnologiche ci offrono interessanti scenari di miglioramento delle prestazioni sanitarie; le decisioni d’investimento che prendiamo oggi saranno determinanti per la qualità del Ssn del futuro.


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