Sentenze
Psicologi: il Consiglio di Stato “blinda” il segreto professionale
di Pietro Verna
24 Esclusivo per Sanità24
Il segreto professionale preclude l’accesso agli atti senza necessità di formale opposizione da parte del professionista interessato, giacché il principio di trasparenza cede innanzi alla esigenza di salvaguardare l’interesse protetto dalla normativa speciale sul segreto. Una diversa soluzione sarebbe in contrasto con l’art. 24, comma 1, lettera a), della legge n. 241 del 1990 secondo cui il diritto di accesso è escluso nei casi di divieti di divulgazione espressamente previsti dalla legge, tra i quali rientra il segreto professionale. Fermo restando che tale segreto è previsto anche a tutela della libertà di scienza che, nell’esercizio dell’attività professionale, deve essere garantita ai prestatori d’opera intellettuale ai sensi dell’articolo 2239 del codice civile e dell’articolo 33, primo comma, della Costituzione.
In questi termini il Consiglio di Stato (sentenza n.7658 del 2024) ha respinto il ricorso contro la pronuncia del Tar Toscana che aveva ritenuto legittimo il provvedimento con cui un dirigente scolastico aveva negato al genitore di un’alunna, vittima di atti di bullismo, l’ostensione della relazione redatta da una psicologa all’esito di una serie di riunioni con i compagni di classe della ragazza.
La sentenza del Consiglio di Stato
L’appellante aveva evocato l’art. 12 del codice deontologico degli psicologi, che consente di derogare al segreto professionale, previo consenso dell’interessato, per sostenere che il segreto professionale “tutela l’assistito ed il suo rapporto con lo psicologo, e non direttamente il professionista”. Tesi che non ha colto nel segno. Il Consiglio di Stato ha evidenziato che lo psicologo “interviene terapeuticamente, non solo con riferimento ad un singolo assistito, ma anche, di norma, ed anzi sempre più frequentemente, soprattutto in caso di terapie somministrate ad adolescenti, nei confronti di un gruppo ristretto di individui”. Ragion per cui, con riferimento al caso concreto, l’Alto Collegio ha statuito che “il consenso del singolo componente del gruppo, o anche il consenso di tutti i componenti giammai avrebbero potuto sollevare il professionista dal relativo obbligo di riservatezza, dal momento che l’oggetto della relazione terapeutica è il rapporto di quest’ultimo con l’intera comunità di riferimento”. Decisione che conferma l’orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui, nell’ambito dei segreti sottratti all’accesso ai documenti, rientrano gli atti redatti dai professionisti in relazione a specifici rapporti di consulenza con l’Amministrazione, trattandosi di un segreto che gode di una tutela qualificata, dimostrata dalla specifica previsione degli articoli 622 del codice penale e 200 del codice di procedura penale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza del 30 settembre 2010 n. 7237; Tar Puglia- Bari, sentenza 12 gennaio 2024, n. 58).
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