Sentenze

Covid/ Il Tar Lazio dà ragione allo Smi: le cure a casa spettano solo alla Usca e non al Mmg

di Paola Ferrari

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24 Esclusivo per Sanità24

L'assistenza a domicilio dei pazienti Covid non spetta al medico di medicina generale ma alle Unità speciali di continuità assitenziali (Usca). Questa è l’opinione del Tar del Lazio, sezione terza quater, contenuta nella sentenza del 1191/2020.
Il Tar ha accolto il ricorso del sindacato Sindacato dei Medici Italiani (Smi) avverso una serie di provvedimenti della Regione Lazio che allargavano al Mmg questo ruolo (Ordinanza del Presidente della Regione Lazio n. Z00009 del 17.3.2020; provvedimento della Regione Lazio – Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria prot. «Int. 0314552.10-04-2020; Determinazione della Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria - Area Risorse Umane, a firma del Direttore regionale, prot. G04569 del 20.4.2020 e prot. G04586 del 20.4.2020 nonche della la Nota della Regione Lazio, Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria – Direzione Regionale per l’Inclusione Sociale prot. 301502 del 9.4.2020) .
Secondo i sindacati, per effetto dei provvedimenti regionali impugnati i medici di medicina generale risultano investiti di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid del tutto impropria, che per legge (art. 8 D.L. n. 14/2020 ed art. 4-bis D.L. n. 18/2020) dovrebbe spettare unicamente alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (cd Usca), istituite dal legislatore nazionale d’urgenza proprio ed esattamente a questo scopo. Sempre secondo il sindacato, i Mmg sarebbero gravati di compiti del tutto avulsi dal loro ruolo all’interno del SSR, vengono pericolosamente distratti e di fatto sollevati dal loro precipuo compito che è quello di prestare l’assistenza ordinaria, a tutto detrimento della concreta possibilità di assistere i tanti pazienti non Covid, molti dei quali affetti da patologie anche gravi.
Nell’accogliere il ricorso, il Tar ha ritenuto determinante la previsione contenuta nell’art 8, comma 1, del citato D.L. n. 14/2020, secondo cui «Al fine di consentire al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta o al medico di continuità assistenziale di garantire l'attività assistenziale ordinaria, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano istituiscono, entro dieci giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, presso una sede di continuità assistenziale già esistente una unità speciale ogni 50.000 abitanti per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero (…)».
Nel prevedere che le Regioni “istituiscono” una unità speciale “per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero”, la citata disposizione rende illegittima, secondo il Tar, l’attribuzione di tale compito ai Mmg, che invece dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza domiciliare ordinaria (non Covid).
Al contrario, secondo le determine della Regione Lazio contemplano come meramente «eventuale» l’intervento di assistenza domiciliare delle Uscar laziali. Ma tale tipologia di intervento dovrebbe costituire, secondo la norma primaria dell’art. 8 cit. (così come del successivo art. 4-bis che lo ricalca), non una semplice «eventualità», ossia una mera possibilità di intervento tra le molte, bensì il precipuo ed esclusivo obiettivo delle Usca, ossia l’unico intervento che tali Unità Speciali dovrebbero eseguire. In sostanza, la previsione di una «eventuale attivazione» delle Uscar Lazio per l’assistenza a domicilio disattende apertamente la volontà del legislatore d’urgenza, che pure sul punto non aveva lasciato alcuno spazio di discrezionalità alle Regioni.
Un tema delicato che trova il suo punto di partenza, oltre che dalla necessità di non lasciare i pazienti non Covid senza assistenza alcuna, anche nella diversa copertura assicurativa antinfortunistica dei medici di famiglia i quali, al contrario dei colleghi che operano nelle Usca, non hanno alcuna copertura Inail nel caso si infettino a causa del contatto con pazienti Covid e la loro copertura assicurativa sottoscritta da Enpam ha rifiutato il risarcimento . Un tema già emerso nella prima ondata e che pare ignorato dal legislatore.


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