Sentenze

La Cassazione sul caso-Cucchi: intempestivi e inadeguati gli interventi dei medici

Il percorso che ha portato i giudici d’appello ad assolvere i sanitari accusati dell’omicidio colposo di Stefano Cucchi, non si confronta «con l’accertata intempestività e inadeguatezza delle cure derivanti dal comportamento palesemente inattivo dei medici», che pure era
stato evidenziato dal giudice di primo grado e dai periti. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 19 aprile ha annullato l’appello bis. Una decisione arrivata, tra l’altro, nell’imminenza della prescrizione per cinque medici dell’ospedale Pertini che parla anche di «terapie inidonee» e «mero adempimento burocratico» .

«Il giudice d'appello è giunto a un’ingiustificata semplificazione del proprio compito - sottolinea la Cassazione - e, per conseguenza, si è arreso davanti alla difficoltà di accertare le responsabilità di coloro che, ricoprendo specifiche posizioni di garanzia, avevano posto in essere una serie di comportamenti giudicati gravemente negligenti».

«Per tale via è stato, paradossalmente, premiato il ritardo nella diagnosi e cura di Stefano Cucchi»: il giudizio controfattuale, spiega la Cassazione, «non ha tenuto conto di tutti i comportamenti negligenti» ma si è limitato, «erroneamente», a vagliare se tali comportamenti potessero spiegare la morte di Stefano, senza invece valutare se «un comportamento doveroso fosse in grado di evitare l’evento».

In questo caso, secondo la Corte - non si tratta di porre in verifica una «specifica condotta curativa caratterizzata da particolare difficoltà tecnica o diagnostica, ma semplicemente l’adempimento del generico dovere di anamnesi e “ascolto” del paziente». E «lo sguardo del giudice deve rivolgersi all'indietro verso qualsivoglia condotta omissiva antecedente, perché al contrario sarebbe premiato il medico neghittoso e distratto che trascuri il giuramento d’Ippocrate».

La Cassazione era già intervenuta annullando, nel dicembre 2015, la prima assoluzione dei medici, e chiedendo all’appello di pronunciarsi sulla particolare forma di reato, «omissivo improprio o commissivo mediante omissione», di chi nella sua attività professionale viola i suoi doveri e non impedisce un evento lesivo. Ma anche la nuova pronuncia di assoluzione della Corte d’Appello di Roma, di luglio 2016, secondo la Cassazione è viziata da «contraddittorietà e illogicità». A cominciare dalla causa della morte, che la Cassazione aveva chiesto di individuare. «In sintesi - sottolinea oggi la Cassazione - la sentenza impugnata identifica la causa della morte nella sindrome da inanizione: Stefano Cucchi è morto di fame e di sete». Stefano sarebbe morto per privazione di acqua e cibo: una
situazione auto-inflitta che aveva aggravato il suo già compromesso quadro clinico (la rottura delle vertebre, la tossicodipendenza, la celiachia), escludendo la responsabilità
dei medici. Una spiegazione che, evidentemente, non soddisfa la Cassazione, che sottolinea come l’appello, «dopo aver aspramente stigmatizzato le numerose e gravi condotte dei sanitari», abbia sottovalutato le conclusioni dei periti e «impiegato la propria scienza privata per discostarsi da esse», senza procedere ad ulteriori approfondimenti tecnici su temi che potevano essere dubbi.


© RIPRODUZIONE RISERVATA