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Tumore del rene, finanziamento Airc per un progetto volto a personalizzare le cure e aumentare l’aspettativa di vita

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Il team del professor Roberto Iacovelli, Associato di Oncologia medica alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica e medico della Uoc di Oncologia medica Comprehensive Cancer Center diretta dal professor Giampaolo Tortora presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, cercherà di capire se nei pazienti con metastasi può essere efficace eliminare il tumore primitivo in contemporanea alle terapie medica per favorire il controllo di malattia ed aumentare la sopravvivenza.
Il progetto, chiamato Italic Rcc, ha ricevuto quest’anno da Airc un finanziamento di un milione di euro dopo aver vinto il bando Airc “Next Gen” (Next Generation of Scientist) in cui i migliori progetti in ambito oncologico sono stati valutati da un panel di esperti nazionali ed internazionali attraverso diverse fasi che sono durate mesi.
Già lo scorso anno la dottoressa Chiara Ciccarese appartenente alla stessa Uoc di Oncologia medica aveva ricevuto un finanziamento Airc di 490.000 euro dopo aver vinto il bando “My First Airc Grant” con il progetto “Caratterizzazione dei meccanismi responsabili della resistenza all’immunoterapia e agli inibitori dell’angiogenesi nel carcinoma renale”, volto a chiarire come e perché alcuni pazienti rispondono meno bene alle attuali terapia mediche disponibili per il trattamento del tumore renale avanzato.
Lo studio ITALIC RCC
Lo studio prevede di arruolare circa 400 pazienti in 30 centri in Italia, la durata sarà di 5 anni di cui 2 dedicati all’arruolamento e 3 al follow up dei pazienti.
I pazienti (tutti con malattia avanzata e in corso di terapia medica con immunoterapia) riceveranno trattamenti diversi a seconda delle dimensioni del tumore: se maggiore di 4 cm potranno ricevere o meno la chirurgia mentre continuano la terapia medica. Se inferiore a 4 cm potranno ricevere la chirurgia o la RT insieme alla terapia medica o la sola terapia medica. «Infatti – spiega il professor Iacovelli - non solo vogliamo vedere se la rimozione del tumore primario migliori l’aspettativa di vita, ma anche capire se la chirurgia possa essere sostituita dalla radioterapia nel caso dei tumori più piccoli, offrendo così una metodica meno invasiva. L’idea di togliere il tumore primitivo era considerata una pratica usuale e capace di aumentare la sopravvivenza in epoca remota (anni ’90) - prosegue - Iacovelli, quando non vi erano le stesse terapie che abbiamo oggi per il trattamento del tumore renale metastatico. Quell’esperienza aveva permesso di registrare un aumento dell’aspettativa di vita nei pazienti trattati con interferone. In epoca più recente altri studi non hanno mostrato lo stesso beneficio in pazienti trattati con farmaci molecolari che bloccano l’angiogenesi tumorale».
La rivoluzione degli ultimi anni con l’introduzione delle terapie basate sull’immunoterapia ha permesso di registrare un significativo aumento della sopravvivenza rispetto ai soli farmaci che bloccano l’angiogenesi del tumore del rene. Tuttavia, i pazienti con tumore primitivo in sede rispondono meno bene e hanno un’aspettativa di via inferiore. Lo studio vuole quindi valutare se l’asportazione del tumore primitivo tramite la chirurgia o l’ablazione dello stesso tramite la radioterapia possa avere un ruolo nell’aumentare la sopravvivenza di questi pazienti.
L’idea di fondo è che il tumore primitivo possa contribuire ancora alla disseminazione di cellule tumorali e limiti l’attività dell’immunoterapia. Ci sono evidenze precliniche che mostrano come la presenza del tumore primitivo favorisca un ambiente immunosoppressivo e produca fattori di crescita per lo stesso.


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