Medicina e ricerca
Biomedicina spaziale: come proteggere la salute degli astronauti e sviluppare tecnologie utili sulla Terra
di Mariano Bizzarri*
24 Esclusivo per Sanità24
La Biomedicina spaziale ha da sempre suscitato curiosità, ma è solo in tempi recenti che ha ricevuto l’impulso necessario che la colloca oggi tra le priorità della ricerca spaziale.
I motivi sono riconducibili a due ordini di considerazioni fondamentali: assicurare le conoscenze essenziali a garantire la salute degli astronauti esposti ad un ambiente estremamente ostile; sviluppare tecnologie e prodotti farmacologici/nutraceutici utili sulla Terra. Pochi sanno che traguardi straordinari sono stati (già) conseguiti a valle di ricerche condotte per le missioni spaziali. Basti pensare alla Risonanza Magnetica, all’Ecografia, allo sviluppo del bioprinting e dei tessuti artificiali, così come alle tecnologie di purificazione dell’acqua e degli ambienti.
Su queste tematiche è previsto un mio intervento ad NSE, New Space Economy Expoforum, la manifestazione organizzata dal 16 al 18 dicembre da Fiera Roma in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana, con il patrocinio, tra gli altri, del ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Il tema torna oggi di attualità in relazione al progetto Artemis, che punta alla realizzazione di una stazione orbitante nuova e alla costruzione di un insediamento umano stabile sulla Luna. L’Italia è coinvolta a pieno titolo nella realizzazione di questo straordinario programma. Ciò pone nuove sfide, in particolare per la esigenza di garantire l’abitabilità dell’ambiente lunare per periodi prolungati, settore in cui è leader la Thales Alenia Space Italia. Sta nascendo per questo una nuova branca della medicina, centrata sulla diagnosi e terapia personalizzata dell’astronauta: la medicina personalizzata dell’ambiente spaziale. Il Laboratorio Nazionale di Biomedicina Spaziale - nato da un accordo tra l’Università la Sapienza e Thales Alenia Space Italia - sta funzionando come incubatore di numerosi progetti avveniristici, che spaziano dalla fisiologia, alla chimica, alle bioingegneria. Merita una sottolineatura particolare lo studio finalizzato ad ottenere nuovi antibiotici prodotti da funghi esclusivamente in condizione di microgravità. Questo esperimento potrà presto avvalersi di una innovazione prodotta dall’azienda italiana Space-Factory di Napoli, che consentirà di collocare in orbita un satellite laboratorio che – per la prima volta nella storia - sarà recuperabile dopo alcune settimane di volo. La identificazione di molecole non sintetizzabili sulla Terra – e verso le quali nessun microbo può aver sviluppato resistenza – è di valore straordinario in un momento in cui l’inefficacia di intere classi di antibiotici è diventata un’emergenza mondiale. Non solo di antibiotici ci si occupa nello spazio, ma anche di sintesi di molecole più complesse – come gli anticorpi monoclonali – che, grazie alla mancanza di gravità possono essere prodotti pressoché privi di impurità e difetti strutturali. Questo risultato straordinario non solo riduce i costi produttivi, ma permette di evitare molti degli effetti avversi che si registrano proprio a causa delle imperfezioni del processo di sintesi. Un’altra ben definita area di sviluppo è quella diagnostica, che non solo ha permesso di perfezionare i sistemi di telemedicina, ma che ha portato alla definizione di una tuta teranostica e di costruire sensori per l’identificazione di nuovi marcatori di malattia. Tra i sensori ci si sta concentrando su quelli capaci di evidenziare – nella saliva - nuovi marker per il danno cardiaco e muscolare scheletrico. Questo è uno dei progetti finanziati proprio dal PNRR spazio. La tuta teranostica – capace di eseguire diagnosi e prestare un primo intervento terapeutico grazie alla somministrazione di stimoli elettrici sul muscolo – sarà non solo utile per gli astronauti, ma altresì necessaria per monitorare il metabolismo e l’impegno funzionale di persone coinvolte in stress fisici particolari (atleti, forze dell’ordine, etc.). Tute di questo tipo – che permettono un monitoraggio dinamico su lunghi periodi temporali - aiuterebbero a scoprire potenziali disturbi cardiaci nei soggetti (bambini e giovani sportivi) impegnati in attività agonistiche, individuando difetti congeniti che non emergono dalle analisi di routine.
È proprio per identificare targets e percorsi molecolari «nascosti» che sfruttiamo la microgravità nello studio delle patologie endocrine. Sappiamo oggi – grazie ai risultati del progetto italiano OVOSPACE – che le ovaie smettono di produrre estrogeni. L’analisi dei componenti molecolari ha permesso di studiare una contromisura che potrebbe essere usata anche per le patologie simili sperimentate dalle donne sulla Terra (sindrome dell’ovaio policistico) e che sarà oggetto di conferma nella prossima missione ORION.
Non c’è però solo medicina nei programmi spaziali, ma anche ricerca sulla nutraceutica e sul controllo ambientale. Per esempio è stato osservato che gli astronauti sviluppano una forma di insulino-resistenza, una condizione di rischio che precede la comparsa del diabete. Per contrastare questa evenienza è in corso di realizzazione il progetto MYO-PASTA grazie alla collaborazione tra l’ASI, il CREA (Centro Ricerche Alimentari del Ministero Agricoltura) e il Laboratorio di Biomedicina Spaziale. L’obbiettivo è quello di «modificare» la pasta addizionandola con un componente che già ora ha dimostrato di poter antagonizzare il pre-diabete, migliorando la funzionalità dell’insulina. È evidente che la realizzazione di questo prodotto, e la sua successiva commercializzazione potrebbe costituire un ausilio prezioso nella prevenzione delle malattie del metabolismo.
Lo spazio offre dunque alla ricerca opportunità straordinarie. Per affrontare questa sfida occorre tuttavia che si sviluppino nuove figure professionali, con la costruzione di percorsi accademici e tecnologici adeguati. È imperativo per garantire ai giovani nuove prospettive e opportunità lavorative. E il primo compito è per questo veicolare la corretta informazione su ambiti troppo spesso negletti.
*Università la Sapienza, Roma. Laboratorio di Biomedicina Spaziale
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