Medicina e ricerca
Dermatite atopica: al Gemelli un progetto di sensibilizzazione per il pubblico
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La dermatite atopica è la più comune malattia infiammatoria cronica della pelle. Molto frequente nell’infanzia (interessa fino ad un bambino su 5), la sua prevalenza sta aumentando anche tra gli adulti nei Paesi occidentali, arrivando ad interessare dal 2 al 5% della popolazione generale. “Un fenomeno forse dovuto all’inquinamento – spiega la professoressa Ketty Peris, Ordinario di Dermatologia e Venereologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore della UOC Dermatologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS - ma anche alla mancata esposizione ad agenti batterici e parassiti in età infantile, che determina un alterato sviluppo del sistema immunitario (è la cosiddetta ‘teoria dell’igiene’); in particolare ad essere alterata nelle patologie atopiche (dermatite atopica, asma allergico, ecc) è la linea dell’asse immunitario Th2, proprio quella adibita alla difesa contro le infezioni parassitarie, sempre più rare alle nostre latitudini”.
Un mito da sfatare. La dermatite atopica non è una malattia su base allergica, ma un difetto caratterizzato da un danno della barriera cutanea, sostenuto da un’alterazione dell’asse immunitario Th2 (infiammazione di tipo 2). “Questo - commenta il dottor Niccolò Gori, ricercatore presso l’Università Cattolica e dermatologo presso la UOC di dermatologia di Fondazione Policlinico Gemelli - può a sua volta determinare la sensibilizzazione a tante sostanze, dai pollini all’acaro della polvere, che non sono però i primi responsabili della dermatite atopica, bensì una conseguenza del fatto che il danno di barriera cutanea consente la penetrazione di queste sostanze, determinando fenomeni di allergia secondari che possono aggravare la situazione, ma mai scatenarla perché la dermatite atopica non è una malattia allergica”.
Identikit del paziente con dermatite atopica. “Un terzo dei pazienti adulti – spiega la professoressa Peris - presenta forme di dermatite atopica di grado moderato-severo, caratterizzate da sintomi debilitanti come il prurito, che hanno un pesante impatto sulla sfera sociale ed affettiva del paziente. E il prurito, che è il sintomo cardine della dermatite atopica, può essere così pervasivo da disturbare il lavoro o lo studio (con conseguenti ridotte performance lavorative o scolastiche) e provocare insonnia”. La sede di queste manifestazioni cutanee cambia con l’età: nel neonato e nel bambino le lesioni eczematose sono localizzate sulle guance e sulle superfici estensorie degli arti; nell’adolescente e nell’adulto si distribuiscono classicamente a livello delle pieghe del gomito e del ginocchio, sull’area del collo, della regione periorale e perioculare. Ma nelle forme severe la dermatite può arrivare a coprire tutta la superficie corporea.
Le patologie associate. “I pazienti presentano spesso anche altre patologie atopiche, Th2-mediate – spiega il dottor Gori - quali asma allergico, rino-congiuntivite, poliposi nasale. Possono inoltre comparire infezioni della pelle (perché viene meno la funzione barriera della pelle) ed extra-cutanee; nelle forme moderato-severe, sono frequenti anche i disturbi psichici, quali ansia e depressione”.
La diagnosi. Si basa su un’attenta valutazione clinica della morfologia e della disposizione delle lesioni, sull’anamnesi di dermatite atopica nell’infanzia, sulla presenza di patologie quali asma e raffreddore da fieno, e se ci sono altri familiari affetti da queste patologie (c’è una importante componente genetica). Nei casi più difficili, come le forme che esordiscono in età adulta o le forme atipiche, il sospetto clinico può essere confermato da una biopsia cutanea, mentre i patch test consentono di escludere una componente allergica e quindi un’allergia da contatto (che a volte può essere concomitante).
Trattamento. “In tutti i pazienti – ricorda la professoressa Peris - raccomandiamo di effettuare quotidianamente l’idratazione della pelle con creme emollienti, proprio perché il danno di barriera è centrale nella patologia. È importante restaurare la pelle con creme ricche di lipidi perché già questo migliora l’infiammazione cutanea e la qualità di vita, riducendo il prurito. Nelle forme lievi si possono associare antinfiammatori topici (corticosteroidi o inibitori della calcineurina). Per le forme moderate-severe un aiuto può venire dalla fototerapia (lampade con una lunghezza d’onda filtrata, UV-B a banda stretta), che ha un ruolo anti-infiammatorio; non a caso queste forme migliorano in estate con l’esposizione al sole, che ha un effetto immunosoppressivo”. Se tutto ciò non devesse funzionare, il dermatologo ricorre ai trattamenti sistemici. “Stiamo vivendo una rivoluzione nella gestione di questa malattia grazie all’arrivo di terapie mirate, dette anche terapie target proprio perché rivolte verso meccanismi patogenetici specifici della malattia –prosegue la professoressa Peris -. Oggi abbiamo a disposizione farmaci biologici quali gli anticorpi monoclonali diretti contro le citochine IL-4 e IL-13 (dupilumab) o la sola IL-13 (tralokinumab e lebrikizumab), che stanno rivoluzionando il trattamento della dermatite atopica, offrendo un ottimo profilo di sicurezza”.
Il progetto per far conoscere la dermatite atopica. La dermatologia del Policlinico Gemelli ha avviato un progetto di sensibilizzazione sulla dermatite atopica con il supporto non condizionante di Sanofi. Scopo del progetto è far conoscere l’ambulatorio dedicato alla gestione della dermatite atopica all’interno del Gemelli, che non solo offre tutta la gamma di trattamenti approvati per la patologia ma che, essendo un centro di terzo livello, consente anche ai pazienti di entrare nei trial clinici, offrendo loro nuovi trattamenti ancora sperimentali (come l’amlitelimab, un anti-Ox40L, farmaco a meccanismo d’azione innovativo).
Gli strumenti di sensibilizzazione della campagna consistono in una Clip sulla Dermatite Atopica, proiettata sui monitor interni negli spazi comuni e nelle sale di attesa della unità di dermatologia oltre a dei pieghevoli informativi distribuiti nelle sale d’attesa, e post sui canali social della Fondazione Policlinico Gemelli (Facebook, Instagram, Linkedin).
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