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Tumori/ Solo il 25% delle terapie orali sono erogate fuori dagli ospedali. Cipomo: scarsità di risorse e personale ostacolano la delocalizzazione

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Lontani dagli ospedali, lontani dalle cure? È il vero tema dell’offerta sanitaria oncologica del nostro Paese, su cui pesa ancora una limitata organizzazione dei servizi e poca connessione tra ospedali e territorio. Nonostante quasi l’85% dei responsabili delle strutture oncologiche ospedaliere siano convinti dell’importanza di delocalizzare controlli e cure, solo il 25% delle terapie orali e sottocutanee vengono eseguite sul territorio. Un dato ‘chiave’ di un’indagine su 124 direttori di struttura oncologica ospedaliera che il Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo) ha presentato in occasione della sessione speciale che si è svolta al recente congresso Aiom (Associazione italiana di Oncologia medica), moderata dai rispettivi presidenti Luisa Fioretto e Francesco Perrone, con la partecipazione, tra gli altri, di Rossana Berardi (oncologa, professoressa di oncologia all’Università Politecnica delle Marche e tesoriere Aiom), Sandro Pignata (oncologo all’Istituto Nazionale dei Tumori di Napoli e coordinatore scientifico della Rete Oncologica Campana) e Giampiero Fasola (direttore del dipartimento di Area Oncologica Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale). Continua dunque il confronto e la sinergia tra i professionisti per una riorganizzazione dei servizi dell’offerta sanitaria oncologica nel Paese, inclusiva e in grado di affrontare una domanda sempre più ampia e complessa.
«Il Decreto ministeriale 77, con fondi Pnrr, ha approvato la deospedalizzazione per i malati cronici e ha definito le strutture territoriali in cui saranno erogati una serie di servizi che potranno essere gestiti da medici di medicina generale e/o personale infermieristico o specialisti ospedalieri a proiezione territoriale – spiega Luisa Fioretto, che dirige anche il dipartimento oncologico dell’Azienda sanitaria Toscana Centro –. Per quanto riguarda l’oncologia, sono in corso di definizione operativa le prestazioni, le tipologie di servizi e le modalità di coinvolgimento dell’oncologo. Per questo Cipomo, dopo aver definito ed espresso in un Manifesto un set di competenze e abilità professionali che delineano il rinnovato ruolo del profilo del Primario di Oncologia medica ospedaliera, capace di proiettarsi oltre i confini della propria struttura, ha raccolto in un’indagine le riflessioni dei primari di oncologia, le quali evidenziano alcuni aspetti importanti che meritano molta attenzione da parte di chi dovrà gestire questa transizione e questo cambiamento socio-sanitario ma anche culturale».
Dal’indagine è emerso anche che per il 60% degli intervistati non ci sono realtà assistenziali oncologiche territoriali. Nonostante questo, uno su 4 pensa che alcune attività possano essere erogate a domicilio, ma la maggior parte (75%) le preferirebbe in strutture come gli Ospedali e le Case di comunità. L’80% dei responsabili dei reparti oncologici degli ospedali pubblici sottolinea inoltre la grave carenza di personale sanitario. Mentre le attività considerate appropriate da svolgere sul territorio sono il follow-up, le terapie orali e di supporto (84,8%). Per il 23,5% il follow-up può essere svolto dall’oncologo o per il 72,7% insieme al medico di base. La metà degli intervistati (50,4%) vorrebbe la presenza fisica di un oncologo nel personale ospedaliero, mentre il 24,3% preferirebbe un oncologo dedicato al territorio e il 30% preferirebbe una presenza virtuale o su richiesta.
«Questi risultati mostrano l’interesse dei primari di Oncologia a partecipare attivamente alla deospedalizzazione di alcune attività oncologiche, ma non solo per il follow-up collegando in modo bidirezionale l’Ospedale con il territorio – commenta Cinzia Ortega, Direttore S.C. Oncologia – Asl CN2 Alba e Bra e Consigliere Nazionale Cipomo –. Il Dm77 è stato uno stimolo per Cipomo a cercare soluzioni su come gestire il passaggio dalla medicina incentrata sull’ospedale alla medicina incentrata sulla prossimità, ovvero più vicina al paziente e al luogo in cui vive. Non è ancora chiaro quali attività oncologiche potranno essere svolte localmente con la stessa sicurezza dell’ospedale. Questo passaggio è ora necessario in vista del numero sempre crescente di pazienti che vengono curati o trattati cronicamente grazie ai risultati ottenuti con le recenti innovazioni terapeutiche».
«In questo contesto diventa ancora più importante il monitoraggio dello stato di attuazione delle Reti oncologiche regionali che consente di misurare e valutare l’organizzazione dei servizi di assistenza e cura su tutto il territorio nazionale - dichiara Manuela Tamburo De Bella, Responsabile per Agenas delle Reti oncologiche regionali –. Si tratta di una necessità strategica nazionale, che tiene conto delle problematiche e dell’impatto delle patologie oncologiche sulla popolazione, della complessità dei processi di cura che vedono nella multidisciplinarità e nell’integrazione a tutti i livelli, istituzionale, infrastrutturale, organizzativo, informativo e tra i professionisti, i presupposti fondanti per la sua effettiva realizzazione».
L’obiettivo dell’oraganizzazione “a rete” dell’oncologia risponde al bisogno crescente di un miglioramente della qualità e dell’efficienza dell’assistenza e delle cure. «Il modello a rete – conclude Gianni Amunni, Oncologo, presidente di Periplo, l’associazione delle reti oncologiche regionali – si caratterizza prorio per meglio rispondere ai valori di prossimità dell’accesso, equità delle cure, omogeneità dell’offerta, governo del diritto all’innovazione, integrazione ospedale-territorio. I Pdta regionali sono gli strumenti con cui si ragiona in una logica di percorso come valore aggiunto rispetto alle diverse prestazioni. La governance di rete deve essere riconosciuta dall’insieme dei professionisti e dai decisori politici. È fondamentale che si produca un documento di programmazione regionale per l’oncologia rispetto al quale le diverse programmazioni delle aziende territoriali e ospedaliere devono essere coerenti e complementari».
In questo contesto l’indagine di Cipomo ha permesso di cogliere e mettere a disposizione dei legislatori il pensiero di gran parte dei direttori delle Strutture di oncologia medica ospedaliera, responsabili della gestione delle risorse e dell’organizzazione dei servizi oncologici con il compito di governare il processo di inclusione del territorio nell’offerta oncologica. «Il concetto essenziale resta che l’assistenza oncologica diffusa sul territorio deve essere parte integrante di una rete oncologica complessiva, in continuità con la rete ospedaliera – conclude Fioretto –. Nell’ambito della Rete, il Cipomo sostiene il ruolo centrale e strategico della struttura di oncologia medica, quale piattaforma sempre più ampia per la gestione dei percorsi di cura dentro e fuori l’ospedale. Ciò in linea anche con i documenti di indirizzo Aiom-Cipomo, rende necessario un confronto costante tra i diversi livelli della rete e tra le diverse società scientifiche con un impegno per una gestione sempre più efficace delle competenze all’interno dei team oncologici, affinché i percorsi siano efficienti, sostenibili e rispondano pienamente ai bisogni dei pazienti».


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