Medicina e ricerca

Tumore della vescica, da immunoterapia combinata con la chemio migliora la sopravvivenza dei pazienti

di Lorenzo Antonuzzo *, Massimo Di Maio **

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24 Esclusivo per Sanità24

Il tumore della vescica è uno dei più frequenti, nel 2023 in Italia sono stati stimati 29.700 nuovi casi. È una neoplasia subdola, perché nelle fasi iniziali può essere del tutto asintomatica. I primi segni d’allarme sono sintomi urinari, ad esempio difficoltà a urinare e minzioni frequenti, e la presenza di ematuria, cioè sangue nelle urine. Il principale fattore di rischio è il fumo di sigaretta, a cui si aggiunge l’esposizione professionale a determinate sostanze cancerogene, come ammine aromatiche e nitrosamine.
I risultati positivi dello studio di Fase III Niagara mostrano che l’immunoterapia con durvalumab in combinazione con la chemioterapia ha prodotto un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante dell’endpoint primario di sopravvivenza libera da eventi (Efs) e del principale endpoint secondario di sopravvivenza globale (Os) rispetto alla chemioterapia neoadiuvante nei pazienti con carcinoma della vescica muscolo-invasivo (Mibc). I pazienti sono stati trattati con durvalumab in combinazione con la chemioterapia neoadiuvante prima della cistectomia radicale (chirurgia per la rimozione della vescica) seguito da durvalumab come monoterapia adiuvante.
Questi risultati sono stati presentati durante il Simposio Presidenziale del Congresso 2024 della European Society for Medical Oncology (ESMO) di Barcellona, e contemporaneamente pubblicati nel The New England Journal of Medicine.
A un’analisi ad interim predefinita, i pazienti trattati con il regime perioperatorio con durvalumab mostrano una riduzione del 32% del rischio di progressione di malattia, di recidiva, di non completare la chirurgia prevista o di morte rispetto al braccio di confronto. La EFS media stimata non è stata raggiunta nel braccio durvalumab rispetto a 46,1 mesi nel braccio di confronto. Si stima che il 67,8% dei pazienti trattati con il regime durvalumab fosse libero da eventi a due anni, rispetto al 59,8% del braccio di confronto.
I risultati dell’endpoint secondario di sopravvivenza globale mostrano che il regime perioperatorio con durvalumab ha ridotto il rischio di morte del 25% rispetto alla chemioterapia neoadiuvante pre cistectomia radicale. La sopravvivenza mediana non è stata raggiunta in entrambi i bracci. L’82,2% dei pazienti trattati con il regime durvalumab è vivo a due anni rispetto al 75,2% del braccio di confronto.
Lo studio Niagara dimostra che l’aggiunta dell’immunoterapia con durvalumab, prima e dopo la chirurgia, può rappresentare una strategia innovativa, in grado di cambiare la pratica clinica per i pazienti con tumore uroteliale della vescica infiltrante operabile. Questo regime immunoterapico permette di migliorare in modo significativo i due endpoint principali dello studio, cioè la sopravvivenza libera da eventi e la sopravvivenza globale. Il dato sulla sopravvivenza globale è particolarmente rilevante in una popolazione di pazienti complessa da trattare, come quella colpita dal tumore uroteliale della vescica infiltrante. Pur trattandosi di una neoplasia localizzata a livello della vescica, è più aggressiva rispetto a quella non infiltrante e può estendersi localmente fino a invadere gli strati muscolari e l’intera parete vescicale.
Nello studio Niagara, che ha coinvolto circa 1000 pazienti, sono stati utilizzati il trattamento neo-adiuvante, cioè perioperatorio, costituito dalla chemioimmunoterapia e durvalumab in monoterapia dopo l’intervento chirurgico. Il braccio di confronto è costituito dalla chemioterapia neoadiuvante. Niagara è il primo studio registrativo in cui un regime immunoterapico, prima e dopo l’intervento chirurgico, prolunga la sopravvivenza in questa patologia.
Il trattamento standard, per circa 20 anni, è stato costituito dalla chemioterapia neoadiuvante seguita dalla chirurgia, ma la metà dei pazienti va incontro a recidiva o progressione di malattia, per cui resta un bisogno clinico ancora insoddisfatto. Inoltre, in Italia, il trattamento delle forme infiltranti operabili è variegato, perché vi sono pazienti che vengono trattati direttamente con la chirurgia. Gli importanti risultati dello studio Niagara possono costituire uno stimolo all’utilizzo della terapia neoadiuvante in tutti i pazienti. Va anche sottolineato che il regime chemioimmunoterapico è ben tollerato e sicuro.
Nella gestione della malattia e per garantire il miglior percorso terapeutico, è fondamentale il team multidisciplinare, che deve comprendere, tra gli altri, il radiologo, il chirurgo, l’oncologo, l’urologo e l’anatomo patologo.

* Direttore Struttura complessa di Oncologia clinica all’Azienda ospedaliero universitaria Careggi, Dipartimento di Medicina sperimentale e Clinica università di Firenze
* Presidente eletto Associazione italiana di Oncologia medica (Aiom)


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