Medicina e ricerca

Terapie innovative, l’appello di 100 “top scienziati”: dialogo precoce con Fda ed Ema per accelerare le sperimentazioni sulle neurotrofine

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Il dialogo con le grandi autorità regolatorie statunitensi ed europee va sviluppato già nella fase di sperimentazione clinica, senza aspettare i risultati finali, per accelerare i tempi di sviluppo di terapie innovative come quelle basate sulle neurotrofine, la famiglia di fattori di crescita nervosa scoperta da Rita Levi Montalcini. È questa l’indicazione emersa con forza alla conclusione della Nature Conferences “From The Eye To The Brain”.
L’incontro, organizzato da Nature Italy, Nature Neuroscience e Nature Eye, grazie alla sponsorship di Dompé farmaceutici, ha visto la partecipazione di oltre 100 tra i più importanti scienziati mondiali, chiamati a riflettere sui possibili applicazioni terapeutiche delle neurotrofine.
«Il dialogo con gli enti regolatori - ha sottolineato Steven K. Galson, MD, MPH, oggi senior advisor di Boston Consulting Group e in passato anche Surgeon General delle amministrazioni Bush e Obama e direttore del centro per la valutazione dei farmaci della Fda statunitense - è molto importante per condividere le sfide che si affrontano in laboratorio ed ottenere input e idee su come migliorare le sperimentazioni. Quando si cerca di trasformare una scoperta in un farmaco bisogna chiedersi qual è il giusto percorso regolatorio perché in molti casi gli accademici e anche le aziende hanno competenze scientifiche molto specifiche, ma quando si recano dalle autorità di regolamentazione scoprono di aver pianificato lo studio sbagliato o di aver scelto la popolazione di pazienti sbagliata e per questo le agenzie non lo trovano convincente».
Visto che non esiste nessun manuale su come si crea un farmaco di successo secondo Galson «la cosa davvero importante è cercare di ottenere un input normativo molto precoce»s.
Questo approccio è particolarmente importante per le nuove, potenziali, applicazioni terapeutiche delle neurotrofine come il Nerve Growth Factor (NGF) scoperto da Rita Levi Montalcini e il Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF) e altre molecole, che come hanno mostrato gli interventi della conferenza riguardano anomalie corneali neurosensoriali, malattie retiniche, neuropatie ottiche, lesioni cerebrali traumatiche, rigenerazione assonale, demenza, Alzheimer e Parkinson.
«L’NGF e le altre neurotrofine sono tra le molecole di segnalazione più importanti del cervello perché organizzano il modo in cui i neuroni si sviluppano, connettono e organizzano il funzionamento del cervello - ha sottolineato Thomas Sudhof, Premio Nobel per la Fisiologia o Medicina nel 2013 -. La ricerca offre opportunità enormi e che si realizzeranno una volta che avremo una migliore comprensione del ruolo delle neurotrofine».
L’ultimo decennio ha registrato passi avanti fondamentali con la prima applicazione terapeutica di una neurotrofina. Il primo trattamento con NGF è infatti stato approvato nel 2018 dalla Fda statunitense per il trattamento di una rara malattia della cornea.
Come ha spiegato il Prof Jeffrey Louis Goldberg della Stanford University oggi sono in corso sperimentazioni effettive per verificare se l’NGF è utile a proteggere o addirittura ripristinare la vista di alcuni pazienti in patologie con vasto impatto sanitario. «Ad esempio abbiamo testato NGF su un campione di pazienti affetti da glaucoma e abbiamo riscontrato che è sicuro e molto ben tollerato».
Gli studi sulla molecola scoperta 70 anni fa, guardano già oltre l’occhio e considerano l’utilizzo dell’NGF nel cervello con possibili applicazioni nella depressione, nell’Alzheimer, nel Parkinson o nel ruolo della corteccia sul controllo del peso oltre che sulle applicazioni cliniche nella terapia di alcuni traumi cerebrali nei bambini.
Quello che oggi sappiamo su questo gruppo di molecole è solo la punta dell’iceberg e per capirne al meglio il funzionamento è necessario studiare anche tutto quello che ruota attorno, come ha ricordato Elliot Mufson, professore di Neurobiologia e direttore del laboratorio di ricerca sulla malattia di Alzheimer presso il Barrow Neurological Institute. «Abbiamo passato decenni a fare questo minuzioso lavoro e ora iniziamo ad avere un quadro molto più chiaro al punto di pensare di arrivare a terapie concrete in vari settori». Nel suo intervento Mufson ha discusso il ruolo che il fattore di crescita nervoso (NGF) ricopre nel mantenimento delle cellule colinergiche situate in profondità nel cervello. Si tratta di cellule che producono un neurotrasmettitore chiave per le capacità cognitive, la cui degenerazione contribuisce all’insorgenza della demenza nelle persone con malattia di Alzheimer, Parkinson e Sindrome di Down. «In questo senso la ricerca su l’NGF potrebbe sviluppare strategie per raggiungere la popolazione di neuroni colinergici influenzandone positivamente la sopravvivenza e il mantenimento - ha sottolineato Mufson -. La strada della ricerca è complessa, ma sono molto ottimista ascoltando quello che ho sentito negli ultimi due giorni perché il bisogno medico è enorme e non devo elencare le condizioni neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson di cui abbiamo parlato, riguardano centinaia di milioni di persone in tutto il mondo».


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