Medicina e ricerca

Malattie tiroidee croniche: servono più informazione e meno esami inutili

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In Italia le persone che soffrono di patologie della tiroide sono più di 6 milioni. La Settimana Mondiale della Tiroide (SMT) è l’occasione per parlare delle malattie che colpiscono questa ghiandola, dell’importanza di una diagnosi corretta e degli opportuni controlli. Anche quest’anno la SMT si celebrerà a partire dal 20 maggio e si concluderà il 25 maggio, in occasione della Giornata Mondiale della Tiroide. “Malattie tiroidee croniche: più informazione meno esami inutili” vuole essere un invito, rivolto a tutta la popolazione, ad avere un ruolo attivo nell’informarsi, da fonti qualificate, sui temi della salute e che l’informazione sia considerata parte degli stili di vita raccomandati al pari della buona alimentazione e del movimento. “Le organizzazioni dei pazienti e la comunità scientifica chiedono che l’Organizzazione Mondiale della Sanità riconosca le malattie tiroidee quali malattie NON trasmissibili che, per definizione della stessa OMS, sono le patologie croniche, a lungo decorso, che derivano da una combinazione di fattori genetici, ambientali e comportamentali, differenziandosi quindi dalle malattie infettive contagiose, trasmissibili da un soggetto all’altro, che causano epidemie”. Le malattie non trasmissibili costituiscono la principale causa di morte e di disabilità nel mondo: appartengono a questa categoria le malattie cardiovascolari, il cancro, le malattie respiratorie croniche, il diabete e anche l’obesità. L’interesse principale nel far riconoscere le malattie della tiroide nell’ambito delle malattie croniche risiede nel fatto che la ricerca biomedica in questo settore richiede finanziamenti cospicui; riconoscere le malattie tiroidee quali malattie croniche consentirebbe l’accesso a maggiori finanziamenti per nuovi studi i cui risultati andrebbero a beneficio della popolazione interessata da tali patologie.

«La Settimana Mondiale della Tiroide 2024», introduce Rossella Elisei, presidente Associazione Italiana Tiroide (AIT) e coordinatrice della SMT, «è patrocinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e promossa dalle principali società scientifiche endocrinologiche, mediche e chirurgiche, quali Associazione Italiana della Tiroide (AIT), Associazione Medici Endocrinologi (AME), Società Italiana di Endocrinologia (SIE), Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), Società Italiana Unitaria di Endocrino Chirurgia (SIUEC), Associazione Italiana Medicina Nucleare (AIMN), European Thyroid Association (ETA), insieme a CAPE Comitato delle Associazioni dei Pazienti Endocrini e sostenuta con un contributo incondizionato da parte di Eisai, IBSA Farmaceutici e Merck Serono».

«La maggior parte delle malattie della tiroide possono entrare di diritto nel gruppo delle malattie non trasmissibili, infatti, sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo sono patologie croniche, nella maggior parte dei casi di natura “autoimmune”, ovvero causate da una reazione immunitaria anomala che si rivolge contro le cellule della tiroide, causandone distruzione nel caso dell’ipotiroidismo o eccessiva stimolazione nel caso dell’ipertiroidismo. In entrambi i casi si tratta di patologie che hanno necessità di essere periodicamente controllate, senza eccedere nel numero dei controlli e nel tipo di esami da eseguire ciclicamente. Ad esempio, il dosaggio degli autoantianticorpi, il cui valore numerico può variare indipendentemente dalla variazione clinica della malattia, non va ripetuto ad ogni controllo, ma solo in particolari momenti del percorso di cura identificati dallo specialista, conclude l’esperto», afferma Gianluca Aimaretti, presidente SIE.

«È importante tuttavia sottolineare che, se è vero che da un lato la frequente ripetizione di esami clinici e strumentali non strettamente necessari, rappresenta una delle voci più dispendiose, per quanto riguarda il bilancio del nostro SSN, dall’altro non deve essere dimenticata, come invece purtroppo spesso accade, la necessità del monitoraggio della funzione tiroidea nei pazienti anziani con nota patologia, soprattutto se in terapia con ormone tiroideo o farmaci antitiroidei», dice Fabio Monzani, Delegato SIGG.

«Proprio per la natura cronica della maggior parte delle patologie tiroidee», evidenzia Renato Cozzi, presidente AME, «è indispensabile che l’endocrinologo avvicini con empatia questi pazienti, che spesso incontrano lo specialista dopo lunghi periodi di attesa, ascoltando con attenzione i sintomi che lamentano, visitandoli mettendo anche la mano sul collo e rassicurandoli, una volta visti gli esami, che i loro sintomi sono curabili in maniera efficace quando dipendenti da una reale patologia tiroidea».

«Anche la patologia nodulare tiroidea è una patologia cronica», prosegue Laura Fugazzola, presidente ETA. «La presenza di noduli di ridotte dimensioni, a volte più piccoli di 1 cm, è molto comune nella popolazione generale adulta (50 per cento degli over 50) ma la loro rilevanza clinica è molto scarsa. Per tale motivo l’esecuzione di ecografie tiroidee su grandi segmenti di popolazione, eseguite senza una motivazione clinica, è oggi sconsigliata perché evidenzierà noduli che avranno una scarsissima importanza clinica, ma che provocheranno inutile preoccupazione nel soggetto in cui sono stati casualmente rilevati. Diversamente, i noduli di dimensioni più grandi rispetto a quelli sopra descritti devono essere valutati per la possibilità di alterare la funzione tiroidea e per verificarne la loro natura. Noduli benigni che non alterano la funzione ghiandolare dovranno comunque essere controllati periodicamente e l’inserimento di questa condizione clinica tra le malattie croniche potrebbe contribuire a ridurre la spesa sanitaria attraverso una migliore programmazione dei controlli clinici, evitando quindi la ripetizione di esami inutili. Allo stesso tempo si potrebbe prevedere di inserire questa patologia, in quanto cronica, tra le esentabili dal pagamento del ticket», conclude Fugazzola.

È invece molto più importante, secondo Antonella Olivieri, ISS, Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, Endocrino-Metaboliche e dell’Invecchiamento, «fare prevenzione attraverso la profilassi con sale iodato: la patologia nodulare tiroidea è infatti fortemente condizionata dalla carenza di iodio. Sebbene in Italia, grazie alla campagna sull’uso del sale iodato iniziata nel 2005, la nutrizione iodica sia molto migliorata, occorre che la popolazione continui ad essere sensibilizzata ad utilizzare poco sale e solo iodato già a partire dall’età pediatrica, al fine di contrastare in maniera rilevante la formazione del “gozzo” e dei noduli tiroidei».

«Parlando dei tumori della tiroide - aggiunge Rossella Elisei - in particolare la forma papillare, sono senz’altro da considerare tra le malattie croniche non trasmissibili in quanto spessissimo, e fortunatamente, guariscono o cronicizzano con una bassa probabilità di recidivare ma, essendo comunque i pazienti tiroidectomizzati e sottoposti a terapia con ormone tiroideo, devono essere seguiti per lungo tempo. Anche per questa patologia vi sono dei fattori di rischio che possono essere positivamente modificati, ad esempio evitando o minimizzando l’esposizione della regione del collo alle radiazioni ionizzanti.

L’identificazione della malignità del nodulo avviene con l’agoaspirazione e l’esame citologico che però oggi vengono riservati solo a noduli di dimensioni maggiori di un centimetro e con caratteristiche ecografiche sospette. È importante ricordare che solo il 5% dei noduli tiroidei è di natura maligna e raramente si presenta in forma avanzata con lesioni a distanza. La terapia chirurgica e, quando opportuno la terapia radiometabolica, possono risolvere completamente la malattia. Viste le caratteristiche di queste malattie molto diffuse, ma spesso, non gravi e curabili con successo, è particolarmente importante promuovere un’informazione esauriente ma non allarmistica, evitando approfondimenti diagnostici non motivati».

«Nella gestione delle patologie croniche della tiroide anche la medicina nucleare svolge un ruolo importante, in particolare, due procedure comuni utilizzate sono la scintigrafia tiroidea e la terapia con iodio radioattivo (RAI). Queste procedure richiedono la valutazione accurata del paziente, la scelta appropriata della procedura, dosaggi precisi, monitoraggio attento e gestione responsabile dei rifiuti radioattivi. Queste pratiche contribuiscono a garantire risultati efficaci e sicuri per i pazienti affetti da patologie tiroidee croniche», evidenzia Marco Maccauro, delegato AIMN.

«È quindi importante che giungano a valutazione chirurgica, sia per patologia benigna che tumorale, i soggetti che trovino effettiva indicazione e che al paziente venga proposto il percorso e l’eventuale opzione chirurgica più idonea. Non esiste un trattamento standard per tutti ma numerose opzioni terapeutiche da verificare caso per caso in cui, dopo una attenta valutazione di tutti fattori di rischio, il colloquio tra l’endocrinologo, il chirurgo ed ovviamente l’interessato riveste un ruolo fondamentale nel proporre il trattamento più adeguato», ribadisce Giovanni Docimo, presidente SIUEC.

«Ricordiamo che l’unico screening di massa necessario per le patologie tiroidee (in atto, per legge, da molto tempo nel nostro paese) è lo screening per l’ipotiroidismo congenito, che ancora oggi rappresenta la più frequente endocrinopatia dell’infanzia e che grazie allo screening consente di identificare i neonati affetti, e iniziare subito la terapia che risolverà il quadro clinico, ma che dovrà essere portata avanti per tutta la vita. Lo screening per l’ipotiroidismo congenito, durante i suoi 50 anni di storia, ha permesso, grazie all’intervento tempestivo, di prevenire il ritardo psico-motorio e mentale nei soggetti affetti dalla citata patologia», aggiunge Malgorzata Wasniewska, presidente eletto SIEDP.

Riassumendo, si può affermare che la prevenzione delle patologie della tiroide passa sia attraverso un’adeguata assunzione di iodio con l’alimentazione sia attraverso controlli di prevenzione reale ma solo per le persone a rischio come soggetti di età superiore ai 50 anni, soggetti con familiarità accertata per le malattie tiroidee e, tra questi in particolare le donne che programmano una gravidanza e, infine, monitorando la funzione tiroidea di soggetti sottoposti all’assunzione di alcuni farmaci ad elevato contenuto di iodio come, ad esempio l’amiodarone.

«Siamo impegnati a portare e facilitare, attraverso tutte le nostre iniziative sul territorio, un’adeguata e corretta informazione che pensiamo possa aiutare il paziente a “convivere” con queste patologie croniche. Il loro eventuale riconoscimento all’interno delle malattie croniche non trasmissibili comporterà un beneficio sia clinico che economico per i pazienti che ne sono portatori», spiega Anna Maria Biancifiori, presidente CAPE.


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