Medicina e ricerca

Risultati confortanti nel “real Life” contro la leucemia mieloide acuta

di Felicetto Ferrara*

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La leucemia mieloide acuta (LMA) è uno dei tumori del sangue più aggressivi e difficili da trattare con un tasso di sopravvivenza molto basso e poche opzioni di trattamento per i pazienti che non sono idonei a ricevere la chemioterapia intensiva. Nasce nel midollo osseo, la ‘fabbrica’ delle cellule del sangue e si caratterizza per la proliferazione incontrollata di cellule patologiche, i blasti, a livello del midollo osseo, del sangue periferico e di altri organi. La cellula madre che produce le cellule del sangue si altera, il suo percorso fisiologico viene deviato e si determina così la leucemia. La LMA può insorgere come forma primaria o “de novo”, cioè a insorgenza primitiva in cui non si conosce la causa primaria, o come forma secondaria, se insorge dopo un disordine ematopoietico precedente, sindrome mieloproliferativa o mielodisplastica, o come conseguenza dell'esposizione a sostanze leucemogene, quali radioterapia e/o chemioterapia, a sostanze chimiche cancerogene o dal processo di invecchiamento.
Anemia, stanchezza, pallore legati alla riduzione dei globuli rossi, sanguinamenti ed ematomi, legati alla carenza di piastrine, e infine le infezioni sono i principali sintomi.
Le alterazioni dei valori dell’emocromo portano alla diagnosi, che passa anche attraverso il prelievo di midollo osseo. Ogni anno nel mondo vengono diagnosticati 190.000 casi di LMA, con un’incidenza stimata intorno a 3,5 casi per 100.000 individui; può presentarsi a qualsiasi età, ma la sua frequenza aumenta con l’età avanzata, tanto da rappresentare la quasi totalità delle leucemie acute dell’anziano: l’età media alla diagnosi è di 68 anni.
La LMA è caratterizzata spesso da decorso molto rapido e prognosi infausta; solo il 20% dei pazienti, con età superiore ai 65 anni, sopravvive a 5 anni. Proprio i pazienti anziani o fragili, nella maggior parte dei casi affetti da altre patologie, non sono però in grado di tollerare la chemioterapia intensiva standard, seguita dal trapianto allogenico di cellule staminali, se indicato. Questi pazienti possono avere una sopravvivenza mediana di soli 6-10 mesi.
Le nuove armi oggi a nostra disposizione permettono di trattare in maniera efficace un numero più elevato di pazienti anziani e di ottenere una sopravvivenza mediana superiore di almeno sette-otto mesi rispetto alle terapie precedenti, aspetto importante se si commisura all'età, spesso avanzata, dei pazienti non eleggibili a chemioterapia intensiva. Le prospettive future, inoltre, sembrano ulteriormente positive, ma ci vorranno almeno altri due-tre anni per averne contezza. L'impressione però è che le terapie basate, ad esempio, sulla combinazione fra venetoclax, che si lega alla proteina Bcl2, e l'azacitidina possano dare risultati importanti nella cura di questa malattia. Nello studio registrativo VIALE-A, condotto su oltre 400 pazienti con leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi e non idonei a chemioterapia intensiva, il trattamento in combinazione venetoclax più azacitidina si è dimostrato più efficace rispetto alla sola azacitidina. La sopravvivenza globale mediana è stata di 14,7 mesi rispetto a 9,6 mesi. La remissione completa ottenuta con venetoclax più azacitidina è risultata due volte superiore (66%) rispetto alla sola azacitidina (28,3%).
Le risposte sono state rapide e durature. Circa la metà dei pazienti trattati ha ottenuto la remissione completa già prima dell’inizio del secondo ciclo. Inoltre, i dati sono stati confermati nella ‘real life’, cioè nella pratica clinica quotidiana anche in Italia.
Siamo insomma davanti a un approccio rivoluzionario che potrebbe non dico riscrivere ma sicuramente aggiornare la strategia terapeutica di questa patologia.

* Direttore della Divisione di Ematologia dell'AORN A.Cardarelli di Napoli


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