Medicina e ricerca

Ex Covid, la ricerca conferma: il virus può persistere a lungo nell’organismo, occultandosi in distretti tissutali remoti

di Chiara Collesi *

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Aspetti inattesi del danno polmonare causato dal virus Sars-CoV-2 emergono da un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Pathology da un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste, del King’s College of London e dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (Icgeb), coordinato da Mauro Giacca, docente dell’Università di Trieste, direttore della Scuola di medicina cardiovascolare al King's College di Londra e Group Leader in Icgeb.
Si tratta di una ricerca basata sull’analisi istopatologica e molecolare di campioni autoptici di pazienti deceduti in epoca pre-vaccinale nell’ospedale del capoluogo giuliano, caratterizzati da un quadro diagnostico e clinico non correlato direttamente al Covid. Questi, nonostante un’apparente guarigione dimostrata dalla ripetuta e persistente negatività (fino a 300 giorni consecutivi) dei tamponi naso-faringei o dei lavaggi bronco-alveolari cui erano stati sottoposti durante il loro ricovero, hanno rivelato un quadro istopatologico polmonare del tutto sovrapponibile ai casi d’infezione acuta e conclamata da Sars-CoV-2. Il tessuto polmonare, infatti, ha rivelato evidenze di polmonite interstiziale focale o diffusa, accompagnate spesso da estesa sostituzione fibrotica, infiammazione dell’endotelio vascolare, trombosi disseminate, caratteristiche dismorfiche nella cartilagine bronchiale e frequenti anomalie citologiche, quali enormi cellule multinucleate definite "sincizi", generate dalla capacità della proteina Spike del Coronavirus di stimolare la fusione tra le cellule infettate e quelle vicine.
L’analisi molecolare dei campioni ha evidenziato l’assenza di tracce virali nell’epitelio respiratorio, in modo coerente con la negatività del test molecolare. Tuttavia, l’Rna e le proteine indispensabili all’infezione e alla replicazione del virus (rispettivamente Spike e quella del Nucleocapside), sono stati identificati a livello della cartilagine bronchiale e nell’epitelio ghiandolare parabronchiale. Questi dati avvalorano l’ipotesi che il virus possa aver sviluppato, in questi pazienti, una strategia di "mimesi" e latentizzazione in compartimenti tissutali reconditi, come quello cartilagineo, cronicizzando la propria infezione ed erodendo dall’interno soggetti particolarmente fragili.
Queste evidenze non devono, però, indurre un allarme ingiustificato.
Tutti i pazienti oggetto dello studio avevano contratto l’infezione ed erano stati ospedalizzati in epoca pre-vaccinale. Una specifica risposta immunitaria, cellulare e umorale, indotta dai vaccini contro Sars-CoV-2, limita verisimilmente l’area d’infezione delle vie aeree superiori, abbassando le probabilità che il virus si diffonda nell’organismo.
Questa ipotesi rafforza la necessità di continuare nella prevenzione dell’infezione da Coronavirus, non sottovalutando il potenziale patologico e le conseguenze a lungo termine dell’infezione. Non è da escludere, infatti, che almeno in parte, i sintomi della cosiddetta sindrome del "Covid lungo", dovuti a uno stato di prolungata infiammazione in soggetti guariti dall’infezione da Covid-19, possano essere correlati alla persistenza di Sars-CoV-2 in "santuari" tissutali poco accessibili, così da rendere meno efficace l’effetto specifico della sorveglianza immunitaria individuale, almeno nei soggetti non vaccinati.

* Docente di Biologia molecolare dell’Università degli studi di Trieste e ricercatrice presso l’International Centre of Genetic Engineering and Biotechnology (Icgeb)


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