Medicina e ricerca
Anziani non autosufficienti: i gestori dei servizi soli davanti ad una crisi strutturale
di Elisabetta Notarnicola*
24 Esclusivo per Sanità24
Il settore dei servizi agli anziani non autosufficienti sta vivendo un momento di profonda crisi, conseguenza di anni di politiche pubbliche parziali e obsolete, e di alcuni impatti congiunturali che successivamente alla pandemia Covid-19 lo hanno colpito duramente, come la crisi del personale e l’aumento dei costi gestionali. Arrivato quest’anno alla sua 5° edizione in collaborazione con Essity Italia, il Rapporto di ricerca dell’Osservatorio Long Term Care del Cergas SDA Bocconi restituisce uno spaccato del settore assistenziale e per questo rappresenta un prezioso punto di incontro tra welfare pubblico e settore privato. Nello specifico il Rapporto si è occupato di comprendere a fondo quali siano oggi le caratteristiche dei servizi residenziali per anziani partendo dai dati dei gestori e confrontandoli con le regole vigenti e gli standard richiesti in 12 regioni.
Il primo elemento che emerge dall’analisi riguarda l’eterogeneità regionale: guardando a cosa sia la residenzialità socio-sanitaria per anziani (anche detta RSA) in 12 regioni si è osservato come ogni sistema sia profondamente diverso portando ad avere servizi che difficilmente possono essere confrontati. Questo produce una profonda iniquità per i cittadini ma anche complessità per i gestori che operano in più contesti e devono affrontare regole e meccanismi diversificati. Alcuni esempi: le tariffe riconosciute dalle regioni per i moduli a più alta intensità assistenziale variano da un minimo di 30 euro al giorno ad un massimo di 87,7 euro al giorno. Coerentemente, i minuti assistenziali previsti al giorno per assistito per i moduli a più alta intensità spaziano da un minimo di 17 a un massimo di 62 per gli infermieri, da 77 a 206 per gli OSS. Questo vuol dire che mediamente è richiesto un infermiere ogni 5,6 OSS, ma la variabilità tra regioni spazia da contesti dove ne troviamo 1 ogni 3,3 per le alte intensità a 1 ogni 9 per le basse intensità.
Osservando invece le performance 2021 e 2022 dei gestori, l’analisi mostra come il 90% delle aziende (pubbliche e private) intervistate ha visto aumentare i costi del personale, il 62% riporta un peggioramento del risultato di bilancio, il 74% riscontra un aumento del burn out del personale con conseguente peggioramento sulla qualità dei servizi. Nel 2022, infatti, i gestori riportano di aver vissuto una profonda crisi del personale legata ad una carenza diffusa e strutturale di infermieri (manca il 21,7%), OSS (il 10,8%) e medici (il 13%). Questo dato, che ci dice che gli operatori stanno operando con una dotazione di personale per loro insufficiente, va messo in relazione con quello che confronta la dotazione di organico effettivo riportata dai gestori con quello minimo richiesto dalle norme. Le aziende (sia pubbliche che private) operano infatti mediamente con dotazioni di organico maggiori di quanto richiesto dalle norme: il nostro campione mostra una media di un infermiere ogni 5,1 OSS (dato 2021) rispetto alla media richiesta di 5,6. Questo accade perché il case mix reale nei servizi residenziali per anziani è molto più complesso di quello ipotizzato dagli standard e, per offrire un servizio adeguato in termini di qualità e sicurezza, i gestori devono alzare necessariamente gli standard, e lo fanno nonostante le oggettive difficoltà nel reperire personale e nonostante le tariffe riconosciute dal sistema pubblico siano tarate su livelli di servizio più basso. Attenzione però: nel 2019 questo dato era pari a 1 ogni 4,8, denotando come il personale “extra-standard” si stia assottigliando in funzione delle crisi contingenti.
Un terzo elemento riguarda poi il settore nel suo complesso. La stima più aggiornata delle persone anziane non autosufficienti nel nostro Paese è di 3,9 milioni di persone (pari al 28,4% della popolazione over 65, stima basata su dati ISTAT). Di questi solo il 6,3% ha trovato risposta in una struttura residenziale, lo 0,6% in centri semi-residenziali, il 21,5% tramite ADI la cui intensità media si è assestata su 15 ore annue per assistito. I risultati del welfare pubblico in termini di servizi reali sono quindi molto limitati. Le famiglie si trovano sole nel gestire il caregiving considerando anche che l’offerta di servizi privati residenziali è residuale e pari ad un decimo di quella pubblica. Esiste quindi un numero altissimo di famiglie che rimangono escluse dai servizi formali, che chiedono supporto di varia natura e che si rivolgono al mercato delle “badanti”, la cui stima più recente è di 1,12 milioni, segnando un +11% rispetto al pre-pandemia. Le stime demografiche del prossimo futuro parlano di un ulteriore aumento delle persone anziane e non autosufficienti. Il settore dovrebbe quindi essere considerato priorità di intervento politico non solo per l’impatto su operatori, lavoratori e utenti dei servizi, ma soprattutto rispetto a tutti i cittadini (anziani e relative reti sociali) che sono oggi esclusi dal sistema.
*Coordinatore Osservatorio Long Term Care Cergas SDA Bocconi e Essity Italia
Associate Professor SDA Bocconi
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