Medicina e ricerca
Dolore cronico, in Italia serve una rieducazione agli oppioidi
di William Raffaeli *
24 Esclusivo per Sanità24
Il dolore cronico è oggi una patologia a cui si riserva poca attenzione in ambito sanitario e sociale, benché ne soffrano 13 milioni di italiani e 150 milioni di cittadini europei. I farmaci oppiacei, strumenti terapeutici d’elezione per il trattamento delle patologie dolorose, restano sottoimpiegati nel nostro Paese e indebitamente screditati da fenomeni di abuso che si sono verificati negli Usa.
Secondo l’ultimo rapporto Osmed nel 2021 gli oppiacei, farmaci che sono indispensabili per il trattamento del dolore severo nelle persone con malattie oncologiche e in particolare nelle fasi avanzate di malattia, hanno fatto registrare in Italia 7,7 dosi giornaliere (ddd, Defined Daily Dose) per 1000 abitanti, rimanendo stabili rispetto all’anno precedente. Il confronto con altri Paesi europei come Germania e Austria, che si attestano su valori oltre le 20 ddd (e dove non si sono verificati fenomeni di abuso o dipendenza), fa comprendere quanto il nostro Paese sia poco virtuoso nell’impiego di questi medicinali. Di contro, i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) nel 2021 hanno toccato quota 17,8 ddd, segnando un +5,6% rispetto al 2020. In Italia, gli oppiacei sono usati non solo poco ma anche per brevi periodi: il 50% dei pazienti che li assume lo fa per meno di 2 settimane all’anno, contro i 45 giorni di trattamento con i Fans. Vi è, inoltre, una forte disparità tra le diverse Regioni, con i consumi del Nord maggiori del 15% rispetto alla media nazionale e quelli del Sud inferiori del 22%.
Questo grave stato di sottoutilizzo dei farmaci oppiacei ci svela come, ancora oggi, nel nostro Paese troppe persone affette da dolore severo, oncologico e non oncologico, siano lasciate sole nella sofferenza per mesi e come la classe medica si avvalga in modo eccessivo di altri analgesici tra cui gli antinfiammatori il cui utilizzo protratto nel tempo, per il trattamento di una condizione di dolore cronico, può risultare in alcune patologie del tutto inappropriato e non privo di effetti collaterali. Quel percorso virtuoso di avvicinamento a un buon uso dei medicinali oppiacei, avviato in Italia grazie alla legge 30/2010, ha subìto un’importante battuta d’arresto a causa delle notizie di abuso giunte dagli Stati Uniti, senza che si svolgesse un’opportuna analisi critica e contestualizzata del fenomeno. Oltreoceano si è verificata, infatti, una situazione che deriva da attitudini di gestione dei farmaci totalmente differenti dal nostro Paese, che ha generato un eccessivo e incontrollato impiego di oppiacei, con dosaggi inappropriati e prescrizioni a categorie di pazienti fragili e a rischio di abuso, e che ha portato molte persone a sviluppare dipendenza. In Italia assistiamo, invece, al problema diametralmente opposto: lo storico sottoutilizzo degli analgesici e la minore attenzione posta al trattamento del dolore rispetto alla cura delle patologie sottostanti.
Oggi è tempo di tornare a quel percorso inaugurato con la Legge 38 e riaccreditare una classe farmacologica indispensabile per garantire una buona terapia del dolore cronico. Serve una "rieducazione sentimentale" all’uso dei farmaci oppiacei, che sgomberi il campo da falsi miti: il loro appropriato e monitorato impiego non comporta rischi; piuttosto, è il loro mancato utilizzo che sottrae cura ai pazienti facendoli vivere in uno stato di sofferenza inutile e disabilità.
Con l’obiettivo di riaccendere i riflettori sul dolore cronico, favorire, senza pregiudizi, un uso più appropriato dei farmaci oppiacei e proporre azioni concrete da attuare con rapidità per migliorare la gestione del problema, dando sollievo ai pazienti, Fondazione Isal ha organizzato il convegno "I farmaci umiliati: gli oppioidi e il riscatto della buona cura", durante il quale si sono confrontati a Roma medici, farmacologi, società scientifiche e rappresentanti delle Istituzioni. Al termine dei lavori, sono state illustrate e discusse le proposte che Isal avanza per delineare una via italiana all’uso corretto dei farmaci oppiacei. Innanzitutto, bisogna puntare sulla buona pratica clinica, sul controllo esercitato dal medico, associato a controlli periodici dell’Aifa su target di rischio ben precisi; è inutile un warning rivolto indistintamente a tutta la popolazione, che genera timori infondati e allontana dalla cura i pazienti. È, poi, cruciale raggiungere una maggiore appropriatezza prescrittiva, in particolare al Sud, e ripristinare il monitoraggio sull’applicazione della Legge 38/2010, che ha sancito nel nostro Paese il diritto a non soffrire. Servono Pdta e registri regionali dedicati all’impiego degli oppiacei e alla prevenzione di malpractice e abuso. Va rafforzata la formazione Ecm dedicata alla terapia del dolore nei differenti setting di cura, per tutte le discipline specialistiche, e quella rivolta ai farmacisti per sostenere il buon uso degli oppioidi. La via che dobbiamo percorrere è quella mediana, tenendoci lontani dai due estremi dell’eccesso: l’abuso e il non uso.
* Presidente Fondazione Isal
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