Medicina e ricerca

Tumore seno, diagnosi più precise con l'intelligenza artificiale. In 6 anni -7% di morti ma per le cure servono Breast Unit

di Francesco Cognetti *

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Diagnosi di tumore della mammella più precise, decisioni ‘su misura’ sul trattamento di precisione assunte utilizzando fino a 20mila variabili nella pratica clinica, definizione esatta dei tempi di accesso alle cure e monitoraggio accurato della qualità di vita. Tutti obiettivi non raggiungibili da parte degli operatori sanitari con gli strumenti tradizionali. Le numerose applicazioni dell’Intelligenza Artificiale nella diagnosi e terapia della neoplasia del seno sono già realtà nei principali centri di riferimento del nostro Paese. Nell’identificazione dei carcinomi mammari, studi condotti negli Stati Uniti hanno evidenziato che, grazie agli algoritmi di deep learning su cui si basa l’Intelligenza Artificiale, è possibile ottenere una riduzione assoluta del 5,7% dei falsi positivi e del 9,4% di quelli negativi. Non solo. Nel confronto con l’operato di 6 radiologi, è stato dimostrato un aumento dell’11,5% della sensibilità. I risparmi per il sistema sanitario sono notevoli, perché vengono evitate biopsie nelle persone con tumori che si rivelano benigni. Alle nuove strategie nella cura del cancro della mammella è dedicata la settima edizione dell’International Meeting on New Drugs and New Insights in Breast Cancer, in corso a Roma al Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs, con la partecipazione di circa 200 esperti da tutto il mondo.
Oggi, in Italia, vivono più di 834mila donne dopo la diagnosi di tumore del seno, con una sopravvivenza a 5 anni che raggiunge l’88%. Dal 2015 al 2021, è stata stimata una riduzione dei decessi pari quasi al 7% (-6,8%) per la neoplasia più frequente nel nostro Paese (54.976 casi nel 2020). Un risultato molto importante, ottenuto grazie ai programmi di screening, che consentono di individuare la malattia in fase iniziale, e a terapie sempre più efficaci. Siamo giunti alla settima edizione di questo congresso, in cui intervengono clinici e ricercatori di fama internazionale. Grazie all’innovazione possiamo ulteriormente migliorare i risultati già raggiunti. Passi in avanti sono in corso nelle forme tumorali più difficili da trattare come quelle triplo negative, che rappresentano circa il 15% di tutti i tumori della mammella. In questi casi, fino a oggi, la chemioterapia è stata l’unica arma utilizzabile. L’immunoterapia, in associazione alla chemioterapia, cambia il panorama terapeutico in questa popolazione di pazienti, anche nella malattia locale o localmente avanzata.
Anche negli istotipi che già dispongono di numerose opzioni terapeutiche, come quelli con iperespressione della proteina HER2, oggi assistiamo allo sviluppo di ulteriori armi soprattutto nelle forme più avanzate e in presenza di metastasi cerebrali. È possibile prolungare la sopravvivenza anche in queste pazienti più difficili da trattare. Ci sono poi le prospettive di utilizzo di una nuova classe di terapie a bersaglio molecolare, gli inibitori di CDK4/6, dopo la chirurgia, con migliori risultati rispetto all’ormonoterapia da sola. Nelle fasi più avanzate di malattia, nelle pazienti già trattate con l’associazione di ormonoterapia tradizionale con anti-cicline, possono essere utilizzati i nuovi SERD, cioè farmaci selettivi sui recettori per gli estrogeni, con ulteriori possibilità di riposta e controllo della malattia. E la chirurgia è sempre meno aggressiva anche in pazienti con metastasi linfonodali. Nella diagnosi e trattamento, l’Intelligenza Artificiale sta aprendo un nuovo mondo, ma servono Linee Guida e una struttura di governance a livello istituzionale per rendere operativi in tutto il territorio questi sistemi, che oggi sono una realtà in centri di riferimento come il Gemelli. L’Intelligenza Artificiale è lo strumento con cui possiamo studiare un’enorme massa di dati e trasferirla nella pratica clinica a beneficio dei pazienti.
Come ha evidenziato Luca Boldrini (oncologo radioterapista e direttore della facility di ricerca di Radiomica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma), attraverso la radiomica, le immagini ottenute da esami radiologici, come Tac, Risonanza Magnetica o Pet, vengono convertite in una grandissima mole di dati numerici. La loro analisi richiede l’utilizzo di tecniche molto avanzate, rappresentate dalle metodiche di machine learning, che vengono utilizzate anche nella gestione dei big data. Siamo di fronte a un grande patrimonio di dati numerici, che non riuscirebbe a essere elaborato e valorizzato opportunamente con la semplice osservazione visiva da parte dell’essere umano. Si pensi ad esempio che alcuni studi di intelligenza artificiale, applicata alla lettura delle mammografie, hanno dimostrato un aumento della sensibilità media di circa il 10% nella diagnosi di tumori mammari. Un risultato molto significativo. L’intelligenza artificiale può anche rappresentare uno strumento al servizio dell’oncologia di precisione. Le neoplasie della mammella sono caratterizzate da specifiche alterazioni molecolari, bersaglio di terapie mirate, che rappresentano la base del meccanismo decisionale delle terapie. È possibile unire queste informazioni alle migliaia di altri dati clinici disponibili (come età, stadio di malattia o valori ematologici) ed inserirle negli algoritmi su cui si basano i modelli d’Intelligenza Artificiale per individuare, ad esempio, nuovi biomarcatori oppure realizzare comparazioni tra specifiche variabili e la sopravvivenza delle pazienti, lo stadio di malattia o la risposta alle terapie, creando veri e propri modelli predittivi. L’Intelligenza Artificiale può essere utile anche per definire i tempi di accesso alle cure oncologiche. I nostri ricercatori hanno sviluppato un modello che indica, ad esempio, quanto tempo attende una paziente prima di iniziare la radioterapia dopo l’intervento chirurgico, anche in relazione alla disponibilità della cura presso il luogo di residenza.
Nel trattamento della patologia avanzata i progressi sono notevoli. Come ha spiegato Giovanni Scambia (Direttore scientifico Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs), nel nostro Paese vivono più di 37mila persone con carcinoma mammario metastatico, una cifra in costante aumento grazie ai nuovi trattamenti. Il 30% di queste pazienti infatti è vivo a 5 anni dalla diagnosi. Nella malattia metastatica diffusa riusciamo a ottenere remissioni prolungate, per cui per molte donne si può parlare di cronicizzazione con una buona qualità di vita. Non è raro trovare pazienti vive anche a oltre 10 anni dalla diagnosi. Questi risultati possono essere migliorati, superando gli ostacoli ancora presenti nell’assistenza. È fondamentale che la valutazione della neoplasia metastatica avvenga da parte di gruppi multidisciplinari. Tutte le pazienti devono essere trattate nelle Breast Unit, cioè in Centri di Senologia, dove è più alta l’adesione alle linee guida, migliore l’esperienza degli specialisti ed è garantita l’adozione di un approccio multidisciplinare. A livello europeo, è stabilito che possano definirsi Breast Unit solo le strutture che trattano almeno 150 nuovi casi ogni anno. È dimostrato che, in questi centri, la sopravvivenza è migliore.
Come ha sottolineato Giampaolo Tortora (Ordinario di Oncologia medica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, direttore del Comprehensive Cancer Center e della Uoc di Oncologia medica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs), sono diversi i sottotipi di carcinoma mammario, definiti in relazione alle alterazioni molecolari. Questo ci consente di scegliere in maniera altamente selettiva il trattamento in relazione alle caratteristiche di ogni sottogruppo. In alcuni tipi di tumore della mammella, pari a circa il 20% del totale, una proteina, HER2, è presente in quantità eccessiva, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate. Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, non essendoci armi disponibili, queste pazienti presentavano la prognosi peggiore. Oggi invece, grazie a terapie mirate che bloccano il recettore HER2, utilizzate sia nelle forme iniziali non metastatiche che in quelle metastatiche, è cambiato radicalmente il decorso clinico.
La terapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia, può essere considerata uno dei maggiori successi in oncologia negli ultimi trent’anni. Nelle pazienti con malattia in stadio iniziale e iperespressione di HER2, il trattamento sistemico adiuvante con la chemioterapia, la terapia ormonale e un anno di terapia biologica con un anticorpo anti-HER2 rappresenta oggi lo standard di cura ed è in grado di ridurre il rischio di recidiva e di morte. Una percentuale di pazienti compresa fra il 15 e il 20% continua a recidivare con un picco di incidenza a 18-24 mesi dall’intervento chirurgico, anche se alcune pazienti presentano recidive tardive anche a 10 anni di follow-up. Nuove possibilità sono oggi disponibili perché studi recenti hanno dimostrato che farmaci innovativi, aggiunti alle terapie standard a quel 15-20% delle pazienti non ancora guarite, sono in grado di ridurre ulteriormente le recidive a distanza a 5 anni.
In fase neoadiuvante, cioè prima della chirurgia, nelle forme HER2 positive sono inoltre disponibili associazioni di diversi farmaci anti-HER2 e ormonoterapia, evitando così il ricorso alla chemioterapia e ottenendo gli stessi risultati in termini di efficacia.
Come ha spiegato Alessandra Fabi (Responsabile della Medicina di Precisione Neoplasia della Mammella al Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs), altri passi avanti sono stati realizzati nella malattia metastatica che esprime i recettori ormonali e HER2 negativa, in pazienti in postmenopausa. È dimostrato che la combinazione degli inibitori di CDK4/6 con la terapia ormonale è migliore rispetto alla sola terapia ormonale standard. Grazie a questo regime metà delle pazienti è vivo a 5 anni. È la più lunga sopravvivenza finora raggiunta nel carcinoma della mammella avanzato e ciò ci consente di parlare di vera e propria cronicizzazione della malattia, ritardando il ricorso alla chemioterapia. Si stima che circa il 40% delle donne sane che provengono da una chemioterapia, dopo le cure per il tumore della mammella, continui a percepire la fatigue, una sensazione soggettiva di profonda stanchezza, indipendente dallo sforzo fisico. E, proprio perché coinvolge l’aspetto fisico, psichico ed emotivo, impatta inevitabilmente, in circa una donna su tre, sulla qualità della vita. I clinici devono porre più attenzione a questi problemi. La prevenzione resta la prima arma per sconfiggere la malattia.
Come ha affermato Riccardo Masetti (Direttore Chirurgia Senologica Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Presidente Susan G. Komen Italia), gli screening mammografici e la maggiore sensibilizzazione delle donne all’adesione a questi programmi di prevenzione secondaria hanno portato, negli ultimi anni, a un consistente incremento di diagnosi di carcinomi in stadio precoce. Vanno recuperati quanto prima i ritardi accumulati durante la pandemia, pari a quasi 5 mesi. Gli esami di screening effettuati tra gennaio 2020 e maggio 2021 si sono ridotti, rispetto al 2019, del 28,5% per il cancro della mammella. E sono oltre 3558 le diagnosi mancate. Se scoperta in fase precoce, questa neoplasia presenta altissime percentuali di guarigione. La chirurgia conservativa ha progressivamente sostituito la mastectomia nel trattamento delle neoplasie in stadio iniziale, perché, associata alla radioterapia, è in grado di garantire alle pazienti le stesse percentuali di sopravvivenza globale e libera da malattia e migliori risultati estetici, oltre all’indubbio vantaggio psicologico collegato alla conservazione della mammella, che si traduce in una migliore qualità di vita.
Coma ha spiegato Ahmad Awada (Direttore del Dipartimento di Oncologia Medica al Jules Bordet Cancer Institute di Bruxelles) è importante stimolare interazioni tra gli scienziati provenienti da diversi Paesi e fornire loro i mezzi necessari per svolgere attività di ricerca. Oggi abbiamo a disposizione molte armi per combattere questo big killer: prevenzione, diagnosi precoce, chirurgia conservativa, chemioterapie combinate, terapie ormonali e farmaci biologici che permettono di assicurare la guarigione alla maggioranza delle donne colpite. I risultati presentati al convegno confermano come la strategia vincente sia quella di tarare la terapia sulle caratteristiche specifiche delle pazienti.

* Presidente di FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi) e di Fondazione Insieme Contro il Cancro


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