Medicina e ricerca
Malattie rare: individuato un nuovo bersaglio terapeutico per la sindrome di Rett
di Tiziana Borsello*
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La sindrome di Rett è una malattia genetica rara del neurosviluppo che si presenta con un’incidenza pari a un caso ogni 10.000 nati e rappresenta la seconda causa di ritardo cognitivo nel genere femminile. Affligge, infatti, principalmente le donne, in quanto causata da mutazioni del gene MECP2 localizzato sul cromosoma X. Questo gene codifica per una proteina che si lega al DNA e influenza la trascrizione genica, ma al di fuori di questa attività, la reale funzione MECP2 non è ancora del tutto chiara.
I sintomi della malattia sono molto variabili, dalla perdita delle abilità di linguaggio, a comportamenti compulsivi e stereotipati soprattutto delle mani, crisi epilettiche, problemi gastrointestinali e apnee gravi con conseguenti crisi respiratorie. Queste ultime sono una delle principali cause di morte dei pazienti Rett: le bambine, infatti, spesso muoiono durante la notte per gravi problemi di apnee.
A livello cerebrale si ha una riduzione del peso del cervello, ed un disequilibrio tra neuroni eccitatori ed inibitori, oltre alla disfunzione delle sinapsi, cioè del punto di contatto e di scambio di informazioni tra i neuroni. Ad oggi non esistono cure efficaci per rallentare o arrestare il decorso della malattia; è fondamentale cercare di individuare strategie terapeutiche per cercare di bloccare la progressione della patologia e migliorare la qualità e l’aspettativa di vita delle pazienti e delle loro famiglie. In laboratorio studiamo la neurodegenerazione e la disfunzione sinaptica con l’obiettivo di contrastarle farmacologicamente e promuovere la neuroprotezione. La proteina JNK è coinvolta nella risposta agli stress, nella disfunzione sinaptica e nella morte neuronale in molte malattie del sistema nervoso.
Abbiamo studiato JNK in tre diversi modelli di Sindrome di Rett:
-il primo caratterizzato da fenotipo severo: grandi deficit locomotori, comportamento ansioso e un numero elevato di apnee che peggiora durante il corso della malattia;
-il secondo più lieve, legato al mosaicismo di inattivazione del cromosoma X tipico delle bambine. Infatti, in ogni soggetto femmina uno dei due cromosomi X viene inattivato in modo random in ogni cellula.
- il terzo analizzato sono le cellule di pazienti affette da Rett, grazie alla tecnologia delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs).
Vi è una attivazione di JNK in entrambi i modelli preclinici analizzati sia severo che lieve. E’ rilevante che le cellule mutate derivanti dalle pazienti, iPSCs-differenziate in neuroni, mostrano la stessa attivazione trovata nei modelli sperimentali di malattia, così come un aumento della morte neuronale che non si osserva però nelle cellule sane provenienti dalle stesse pazienti. Questi dati danno da valore traslazionale al risultato. Abbiamo studiato l’inibizione di JNK tramite il peptide D-JNKI1, per verificare se la sua somministrazione potesse migliorare il fenotipo patologico nei modelli di sindrome di Rett. Il trattamento con l’inibitore produce un netto miglioramento delle performance locomotorie e cognitive nei modelli di malattia, così come una forte riduzione del numero di apnee. Questo è molto importante clinicamente poiché i disturbi respiratori sono i sintomi più invalidanti della malattia. L’inibizione di JNK porta anche ad un recupero della corretta organizzazione delle spine dendritiche, fondamentale per il loro buon funzionamento del cervello. L’inibizione di JNK nelle cellule dei pazienti previene la morte neuronale indotta, dimostrando per la prima volta nell’uomo il ruolo chiave di JNK nella patogenesi della sindrome di Rett. Questi risultati indicano come l’inibizione di JNK può rappresentare una strategia terapeutica per prevenire la disfunzione sinaptica migliorando così la sintomatologia della sindrome di Rett ma anche di altre patologie, come le malattie neurodegenerative, caratterizzate anch’esse da disfunzione delle sinapsi.
*Professore Ordinario Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari-Università degli Studi di Milano & Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS
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