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Minaccia Omicron, l'appello degli infettivologi: non perdere fiducia in vaccini e anticorpi monoclonali
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«Questa situazione evidenzia ulteriormente l’importanza della campagna vaccinale. Un’elevata circolazione del virus può favorirne le mutazioni e quindi le varianti, proprio come avvenuto con la Omicron, emersa in Sudafrica, dove il tasso di vaccinazione è molto basso, appena del 25-30%». Lo sottolinea Claudio Mastroianni, Presidente Eletto Simit: vaccinarsi contro il Covid-19, anche con la terza dose, è ancora più importante alla luce del moltiplicarsi delle varianti e dei primi casi di omicron riscontrati in Europa. Questo è uno dei messaggi che emerge del XX Congresso della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali - Simit, in corso a Milano al 1 dicembre.
Il Congresso Simit è partito in un momento già estremamente delicato per la recrudescenza della pandemia, caratterizzata da un aumento del numero dei casi, dall’aumento dei ricoveri in degenza ordinaria e in terapia intensiva e dalle nuove chiusure in diversi Paesi europei. L’arrivo della nuova variante B.1.1.529, denominata “omicron” dall’Oms con 32 mutazioni della proteina spike (la parte del virus che i vaccini usano per innescare il sistema immunitario contro il Covid) ha reso l’appuntamento ancora più significativo.
«Anticipare la terza dose alla scadenza del quinto mese dalla seconda è corretto per il calo della protezione immunitaria che si verifica a partire dal 4° mese– sottolinea Claudio Mastroianni –; la dose di richiamo è poi essenziale per i soggetti fragili, anziani, i soggetti con comorbidità e immunocompromessi. In attesa di meglio definire il livello di trasmissibilità, patogenicità ed escape immunitario di questa nuova variante, resta fondamentale effettuare la terza dose, che è la principale strategia che abbiamo per contrastare la diffusione di questa come di altre varianti che dovessero emergere. Poi fortunatamente i vaccini a mRna possono essere facilmente modificati in base alla circolazione di nuove varianti virali, quindi si potranno apportare agevolmente eventuali correttivi».
Nella prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2 il vaccino è l’arma principale, ma per alcune situazioni potrebbero essere utili - spiegano gli infettivologi - gli anticorpi monoclonali. Non è ancora una strategia attuabile, ma può essere uno sviluppo futuro nell’utilizzo dei monoclonali, già impiegati in funzione terapeutica. «I soggetti che potrebbero trarre beneficio da un uso degli anticorpi monoclonali in profilassi pre-esposizione sono coloro che non possono fare il vaccino, che non sviluppano una risposta immunitaria o si prevede che non la sviluppino. Sono quei soggetti fragili sottoposti a terapie immunodepressive – spiega Mastroianni –. Accanto al possibile uso in profilassi pre-esposizione, ci sono dati che indicano che sono efficaci anche come profilassi post-esposizione in soggetti fragili con tampone negativo ma che sono stati contatti stretti di persone infettate dal virus. D’altra parte l’impiego degli anticorpi monoclonali orami è una realtà consolidata nel trattamento delle fasi precoci dell’infezione in quei soggetti che presentano un alto rischio di sviluppare una progressione severa della malattia. Fondamentale è la somministrazione precoce che deve avvenire preferibilmente entro 3-5 giorni dall’esordio dei sintomi. Poi vi sono coloro che vengono ospedalizzati perché hanno una polmonite che non necessita di un supporto respiratorio intensivo, e hanno un test sierologico negativo agli anticorpi: anche per loro i monoclonali possono funzionare come cura. Gli anticorpi monoclonali rappresentano una terapia dal grande impatto nell’evitare l’ospedalizzazione, una delle conseguenze più devastanti del Covid. Oggi vengono somministrati in via endovenosa, ma l’auspicio è che presto possa essere possibile anche la formulazione intramuscolare e sottocutanea per eseguire la terapia a domicilio».
Il long Covid come nuova emergenza. Già gli studi relativi ai primi mesi di pandemia rivelavano come il Covid-19 fosse una malattia multisistemica, in grado di causare danni anche in altri organi e apparati. Le esperienze cliniche maturate nel corso del 2021 hanno analizzato le molteplici manifestazioni che si possono presentare anche in diverse fasi. Gli effetti del Covid a lungo termine, il cosiddetto “Long Covid”, possono avere un serio impatto sulla capacità delle persone di tornare al lavoro o di avere una vita sociale e sono frequenti anche nei bambini, anche nelle persone che abbiano avuto un’infezione apparentemente poco sintomatica. Sintomi come diarrea, difficoltà respiratoria, disturbi cardiaci, patologie psichiatriche, perdita di peso, astenia possono dunque caratterizzare il decorso successivo alla malattia. La stessa definizione di “Long Covid” si presta a una duplice interpretazione. Da un lato, infatti, vi sono dei sintomi che possono persistere nel tempo; dall’altro, vi sono danni residuali nei vari organi. Sono due temi distinti, in quanto al sintomo può non corrispondere necessariamente un danno che resta nel tempo. Se tra i sintomi prevalgono astenia e spossatezza, i danni d’organo non sono limitati al polmone, ma si estendono a tutto l’organismo, a partire dal cuore e dal sistema nervoso centrale. «Nell’approccio multidisciplinare necessario per fronteggiare il Long Covid, l’infettivologo detiene la regia – evidenzia il professo Mastroianni – Fin dall’inizio della pandemia abbiamo appreso che le persone guarite continuano ad avere disturbi, anzitutto di tipo respiratorio perché il polmone è l’organo principale a essere colpito, ma poi vi sono danni di tipo cardiaco, neurologico, dermatologico, metabolico, endocrinologico, psichiatrico, che persistono anche a distanza di mesi. Essendo il Covid di una malattia sistemica, è molto importante approfondire le ricerche sul “long covid” al fine di comprendere i meccanismi patogenetici, individuare i fattori di rischio e delineare la corretta gestione multidisciplinare di questa sindrome».
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