Medicina e ricerca
SARS-CoV-2: ridurre il clamore mediatico, alimentare la speranza. I social abbassino i toni e sostengano la scienza
di Giuseppe Ippolito *, David S Hui **, Francine Ntoumi *** Markus Maeurer § Alimuddin Zumla
24 Esclusivo per Sanità24
L’epidemia del nuovo coronavirus (SARS-CoV-2) ci ha svelato che il mondo è sempre più esposto all’insorgere di malattie infettive, siano esse nuove o riemergenti, che possono diffondersi più velocemente che in passato a causa del rapido movimento delle persone a livello globale. Quando appare una nuova malattia infettiva con potenziale pandemico si accende di solito un dibattito trasversale, politico, scientifico e mediatico, e gli eventi che hanno accompagnato l’epidemia del SARS-CoV-2 non fanno eccezione: così, nelle ultime 5 settimane, questo argomento ha catturato l’attenzione globale dei media, oltre che del mondo politico e scientifico.
Il proliferare di attività scientifica attorno al SARS-CoV-2 ha portato – dati aggiornati al 10 febbraio - a oltre 103 pubblicazioni, che ne hanno definito varie caratteristiche epidemiologiche e cliniche, ivi compresa l’evidenza della trasmissione da uomo a uomo in comunità, nuclei familiari e strutture ospedaliere. Queste pubblicazioni hanno portato allo sviluppo di numerose linee guida da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e di altre agenzie sanitarie pubbliche per quanto riguarda la diagnosi, la prevenzione e il controllo dell’epidemia. In conseguenza della pubblicazione di queste linee guida, molte compagnie aeree, tra cui British Airways, Lufthansa, Swiss Air e Austrian Air, hanno rapidamente reagito all’epidemia, sospendendo i voli da e verso la Cina. Diversi paesi hanno anche organizzato l’evacuazione dei loro cittadini e familiari dall’area di Wuhan.
Nella gestione di questa epidemia appare evidente che il mondo ha imparato le lezioni apprese in esperienze precedenti, quali la SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) nel 2003, la MERS (Middle East Respiratory Syndrome) nel 2012, ed Ebola, per le quali Cina, Arabia Saudita e l’OMS stessa erano state pesantemente criticate per aver agito con troppa lentezza. Per ogni nuova epidemia che si presenta, il livello di preparazione globale e la capacità di risposta alle malattie infettive emergenti e riemergenti possono essere costantemente migliorate. La rapida e ben coordinata risposta globale all’emergenza ed all’individuazione del SARS-CoV-2, e il livello di comunicazione tra scienziati, ricercatori ed epidemiologi, nonché tra le agenzie sanitarie e di finanziamento pubbliche, non hanno precedenti rispetto alle epidemie del passato. Ma è senza precedenti anche il clamore mediatico che ha generato questa epidemia, sin dalle prime notizie annuncio, sulla stampa e sui social media.
Il percorso che le informazioni scientifiche e di sanità pubblica compiono dalla loro elaborazione sino all’utilizzo da parte dei media contiene diversi passaggi, ciascuno dei quali può portare a esagerazioni quando non a vera e propria disinformazione. La proliferazione di notizie sanitarie ricavate da Internet potrebbe incoraggiare la selezione di contenuti, sia giornalistici che scientifici, che sopravvalutano la forza dell’inferenza causale. Abbiamo così studiato l’impatto dell’inferenza causale sulla ricerca sanitaria nella fase finale del percorso, ovvero quando viene consumata sui social media. Il clamore mediatico deriva da una inefficace comunicazione del rischio al pubblico e ai media? L’individuazione proattiva dei casi da parte delle autorità cinesi, con la ricerca e lo screening dei contatti delle persone contagiate, ha portato a un aumento esponenziale del numero di casi segnalati, con un conseguente aumento dell’interesse dei media e il conseguente clamore. Le previsioni sul tasso di riproduzione dell’infezione (R0), l’evacuazione di cittadini europei e nordamericani dalla Cina, e in alcuni casi la detenzione di persone in quarantena (ad es. nel Regno Unito), hanno acquisito grande visibilità sulla stampa e contribuito ad aumentare l’isteria mediatica.
Il racconto della situazione in tempo reale da parte del pubblico sui social media potrebbe contribuire ad una maggiore precisione nella raccolta di informazioni da parte dei mezzi di informazione. E tuttavia la rapidità negli sviluppi della situazione, l’aumento del numero dei casi, insieme ad una crescente eterogeneità delle informazioni, rendono sempre più difficile per i media assimilare questo canale informativo e ricavarne interpretazioni che abbiano un significato. Inoltre, il volume delle informazioni che vengono trasmesse alle autorità sanitarie, e che da queste vengono comunicate al pubblico, supera la capacità dei media di collegarle ed analizzarle utilmente, verificandole con altri dati. Questa incapacità di validare le informazioni può alimentare le speculazioni, generando quindi preoccupazione nei media e nel pubblico.
Trovare l’equilibrio tra fornire le informazioni necessarie per agire in maniera appropriata in risposta al rischio e fornire informazioni che alimentano azioni inappropriate è una operazione delicata. La risposta globale dei media a SARS-CoV-2 rimane sbilanciata, in gran parte a causa della continua evoluzione dello scenario; di conseguenza, la percezione pubblica del rischio rimane esagerata.
I molti fattori tuttora sconosciuti che circondano il virus possono condurre ad ulteriore clamore mediatico ed a risposte esagerate da parte del pubblico. Ad esempio: quante persone hanno viaggiato da e verso Wuhan prima che venissero implementate le restrizioni di viaggio e la quarantena? Quanti di questi individui erano asintomatici o stavano incubando il virus? Quanto sono efficaci lo screening e le attuali misure di controllo?
Alla data del 10 febbraio sono stati confermati 37.558 casi, e sono stati segnalati all’OMS 812 decessi. Al di fuori di Cina, sono stati rilevati 307 casi in 24 paesi. Pertanto, anche se rimangono diverse centinaia di pazienti in terapia intensiva, nel complesso il tasso di mortalità in ospedale rimane intorno al 2%. È giunto quindi il momento di abbassare il clamore e l’isteria che circonda l’epidemia di SARS-CoV-2, e ridurre la sensazionalizzazione di nuove informazioni, in particolare sui social media, dove si cerca in questo modo di catturare l’attenzione da parte dei follower. Inoltre, la disparità tra la forza del linguaggio utilizzata da alcuni ricercatori ed uomini politici nel rapporto con i media e l’inferenza condivisa sui social media richiedono ulteriori ricerche per determinare in che modo i contenuti devono essere canalizzati sulle diversi piattaforme.
Un modo efficace di mettere in prospettiva questa epidemia può essere quello di confrontarlo con altre infezioni del tratto respiratorio con potenziale epidemico. Il virus SARS-CoV-2 pare condividere lo stesso modello dell’influenza, con la maggior parte delle persone che guarisce e con un basso tasso di mortalità; le persone più a rischio di mortalità sono quelle più anziane, oltre i 65 anni, le persone con un sistema immunitario indebolito, o che presentano altre malattie. Attualmente non vi sono evidenze scientifiche in base alle quali il virus SARS-CoV-2 si diffonda più rapidamente rispetto all’influenza o abbia un tasso di mortalità più elevato.
I media dovrebbero concentrarsi su obiettivi più altruistici, sviluppando il dialogo con le autorità competenti al fine di proteggere la sicurezza sanitaria globale attraverso una collaborazione amichevole. Dovrebbero evidenziare gli sforzi che vengono fatti per sviluppare il vaccino, nonché le misure educative e sanitarie che vengono messe in atto per prevenire la diffusione dell’infezione. Sebbene ci siano molte cose ancora da sapere su come rispondere al meglio ad infezioni di questo tipo, ci sono anche diversi aspetti positivi, come i test diagnostici che sono stati sviluppati in appena due settimane, o il supporto finanziario disponibile per lo sviluppo del vaccino: tutte notizie che forse dovrebbero apparire nei titoli dei giornali e dei notiziari, per alimentare la rassicurazione piuttosto che la paura.
* Lazzaro Spallanzani, National Institute for Infectious Diseases - IRCCS, Rome, Italy
** Department of Medicine Therapeutics, Chinese University of HongKong, Prince of Wales Hospital, Shatin, New Territories, Hong Kong, China
*** Fondation Congolaise pour la Recherche Médicale, Brazzaville, Republic of the Congo
§ Champalimaud Centre for the Unknown, Lisbon, Portugal and I Med Clinic, University of Mainz, Germany
° Division of Infection and Immunity, University College London, and National Institutes of Health and Research Biomedical Research Centre, University College London Hospitals NHS Foundation Trust, London, UK
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