Medicina e ricerca
Sperimentazione animale, l’Italia frena e contraddice le norme Ue. Research4Life: «Innovazione paralizzata e il malato resta senza terapie»
di Giuliano Grignaschi*
24 Esclusivo per Sanità24
La sperimentazione animale rappresenta, ancora oggi, un passaggio fondamentale nello sviluppo di nuove terapie farmacologiche e, più in generale, nell’avanzamento delle conoscenze biomediche; proprio per questo motivo, però, esiste la necessita di regolamentare attentamente queste procedure con il duplice scopo di garantire la qualità del dato scientifico e, allo stesso tempo, un utilizzo etico del modello animale. A fare il punto la giornata di studi della Società Italiana di Farmacologia (SIF) dal titolo “Il ruolo del farmacologo nel sistema sanitario nazionale”, che si è svolta a Roma in questi giorni, aperta da un focus sulla sperimentazione animale a cui hanno partecipato rappresentanti del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e del mondo della ricerca biomedica (Research4life).
A questo proposito i rappresentanti del Ministero della Salute e dell’ISS, gli enti deputati a rilasciare le autorizzazioni necessarie per svolgere questo tipo di sperimentazioni, hanno evidenziato molto chiaramente come la normativa vigente in Europa (Direttiva Europea 63/2010 e il recepimento italiano nel D.Lvo 26/2014) abbia l’obiettivo di garantire la protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali autorizzando solo le sperimentazioni strettamente necessarie (per le quali cioè non esistono metodi alternativi) che coinvolgono il minor numero possibile di animali e riducono al minimo possibile la loro sofferenza, secondo il “principio delle 3R”: Replacement, Reduction e Refinement.
Dal mondo della ricerca biomedica italiana e da quello delle associazioni di pazienti è arrivato però un segnale di allarme dal momento che il corretto impegno nel garantire i diritti degli animali declinato nella direttiva europea è stato trasposto nella normativa italiana con ulteriori divieti e restrizioni, che non migliorano le condizioni degli animali ma riducono la possibilità dei ricercatori di svolgere in Italia gli esperimenti necessari a mettere a punto nuove terapie. Non è un caso infatti che nel nostro paese vengano coinvolti nelle sperimentazioni meno di un terzo degli animali utilizzati in Inghilterra, in Francia o in Germania (addirittura meno di quelli utilizzati in Svizzera), Paesi nei quali esistono condizioni evidentemente più idonee allo svolgimento dei progetti di ricerca.
Il risultato di queste politiche è, come denunciato anche dalla Senatrice Elena Cattaneo, che «dei dieci anni di investimento europeo nei prestigiosi bandi ERC (European Research Council), dei 751 progetti vinti da ricercatori italiani, 335 (il 45%) riguardano idee di studiosi italiani che hanno sviluppato o svilupperanno le loro ricerche in altri Paesi europei che li hanno accolti e dove investiranno i circa 2,5 milioni di euro dell’ERC». Come se questo non bastasse non va dimenticato che l’Italia è stata messa in mora dalla Comunità Europea proprio per lo scorretto recepimento della Direttiva 63/2010 e quindi esiste il rischio concreto di apertura di una infrazione, con relativa penale.
Tutto questo per che cosa? Per migliorare le condizioni degli animali? No, purtroppo no. La normativa italiana infatti vieta, ad esempio, l’allevamento di cani, gatti e primati non umani destinati alla ricerca biomedica (circa lo 0.1% degli animali utilizzati) sul territorio nazionale, ma è permesso il loro utilizzo! Questo, nella pratica, si traduce solo nel fatto che gli animali devono essere acquistati da allevatori esteri (non controllabili) e poi importati in Italia sottoponendoli al forte stress rappresentato dai lunghi viaggi. Perché quindi vietare l’allevamento se è consentito l’utilizzo?
Dal mondo della ricerca biomedica italiana quindi si è levato anche ieri l’appello alle autorità competenti affinché la Direttiva Europea sulla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali venga recepita correttamente anche in Italia, per dare ai nostri ricercatori le stesse possibilità di svolgere le loro attività che vengono offerte da tutti gli altri paesi europei e alle nostre associazioni di pazienti la possibilità di sostenere il loro lavoro qui e non oltre frontiera.
*Direttore Research4Life
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