Medicina e ricerca

Ovociti coltivati in vitro e maturi, potenzialmente pronti per la fecondazione

di B.Gob.

La notizia è - come sempre accade quando di scena, insieme alla scienza, è la bioetica - di quelle destinate a creare dibattito e a dividere: un team dell’Università di Edimburgo è riuscito a coltivare in laboratorio i primi ovociti umani, fino a portarli a uno stadio di maturazione tale da poter potenzialmente reagire alla fecondazione. La ricerca, che è stata pubblicata dalla rivista Molecular Human Reproduction , dà conto di un risultato cui gli scienziati di tutto il mondo stavano lavorando da tempo - almeno 30 anni - e che aveva avuto un precedente cruciale nel 2016, con la realizzazione, da parte del team giapponese di Katsuhiko Hayashi della Kyushu University, di un esperimento da cui era stata ottenuta in laboratorio la crescita di cellule uovo fertili di topo, partendo da staminali. La percentuale di successo era bassissima, ma quel metodo - che produceva uova difettose ma era riuscito anche a ottenere individui vivi - ha avuto un ruolo cruciale per gli sviluppi successivi della ricerca.

La ricerca è stata coordinata dalla Scuola di Scienze Biologiche dell’Università di Edimburgo, condotta in collaborazione con il Royal Infirmary e l’ospedale pediatrico cittadino e con il Centro per la Riproduzione Umana di New York. Gli scienziati di Edimburgo sono guidati da Evelyn Telfer. Che spiega le potenziali ricadute per la medicina rigenerativa e le maternità difficili, magari dopo un cancro: «Essere in grado di far sviluppare ovociti umani in laboratorio potrebbe allargare la portata degli attuali trattamenti per la fertilità». Ad esempio, gli ovociti coltivati in provetta potrebbero essere d’aiuto alle donne infertili o che soffrono di menopausa precoce. Possono anche diventare una sorta di “banca della fertilità” per le donne colpite da un tumore che intendono poter avere dei figli dopo avere affrontato la chemioterapia.

Il punto cruciale per il successo è stato riuscire a mettere a punto il cocktail di sostanze nel quale far sviluppare le cellule primitive prelevate dallo strato più superficiale del tessuto ovarico di donne che avevano affrontato operazioni chirurgiche di routine. Un cocktail che potrebbe diventare un brevetto importantissimo. Il prossimo passo, però, sarà verificare se gli ovociti maturi sono “in buona salute” e, soprattutto, se sono in grado di essere fecondati. Per questo motivo, ha detto Telfer, «adesso stiamo ottimizzando l’insieme di sostanze nelle quali gli ovociti vengono coltivati e stiamo cercando di capire se gli ovociti sono del tutto sani». La prossima risposta importante riguarda la capacità degli ovociti in provetta di essere fecondati e prima di fare questo passo, ha concluso Telfer, «aspettiamo l’approvazione delle autorità regolatorie».

Le prime reazion in Italia. A commentare la notizia in Italia è il presidente del Comitato nazionale di bioetica, Lorenzo D’Avack. Che tiene a chiarire: «Se la realizzazione di ovociti in laboratorio ha una finalità legata alla salute, nel senso della messa a punto di una metodica che in futuro potrebbe ad esempio portare a migliorare le condizioni di pazienti affetti da malattie, allora si tratterebbe di una ricerca eticamente accettabile». Al contrario, «se questa ricerca è pensata come un primo passo per poi arrivare alla formazione di embrioni destinati alla nascita, ciò significherebbe accettare il fatto che l’essere umano possa essere creato “sotto sperimentazione”». E aggiunge: «Che garanzia avremmo che gli esseri generati con tale tecnica nascano sani? Per verificarlo dovremmo prima farli nascere e dunque dovremmo “sperimentare” sugli stessi esseri umani che la tecnica funzioni e non abbia conseguenze negative, portando ad esempio alla fine ad esseri umani malati o con qualche problema». Il fatto, sottolinea, «è che la certezza del risultato utilizzando tali ovociti a fini procreativi è impossibile da aversi a priori. Ciò perché non si tratta solo di stabilire se l’eventuale embrione prodotto risulti sano, ma di stabilire che effetto potrà avere una volta impiantato nella donna». Se anche l'embrione «che fosse ottenuto utilizzando un ovocita di laboratorio apparisse infatti sano, nessuno scienziato - conclude D'Avack - potrebbe dire con certezza ed a priori cosa potrebbe accadere una volta impiantato».


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